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Simcha Rotem - Il passato che è in me - 20/11/2014 -

Il passato che è in me
Simcha Rotem
a cura di Anna Rolli
Postfazione di David Meghnagi
Salomone Belforte euro 20

“Racconto soltanto ciò che ricordo, senza riserve e senza tener conto dell’immagine della mia persona o dell’impressione che lascerò nella Storia. Il mio obiettivo era narrare i fatti come allora li vidi – e come li vedo ora – alla mia maniera e mi assumo la piena responsabilità per tutto ciò che qui è scritto…”

Sono le parole che l’ultimo combattente ancora in vita del Ghetto di Varsavia, Simcha Rotem, pone all’inizio del suo diario tradotto in tutto il mondo che ora arriva in Italia pubblicato dalla Casa editrice Belforte, a cura della ricercatrice Anna Rolli e arricchito dalla postfazione del professor David Meghnagi. Quella di Rotem non è solo la testimonianza commovente di un coraggioso protagonista della rivolta del ghetto di Varsavia, ma è un tassello storico di immenso valore che ricordando uno degli episodi più tragici della Storia ci riporta alla memoria la tragedia dell’Olocausto. E’ la prima azione armata durante l’occupazione nazista di giovani ebrei dotati soltanto di pistole e qualche bottiglia Molotov che per tre settimane tengono in scacco il potente esercito del Terzo Reich con un coraggio e una determinazione che ancora oggi destano rispetto e ammirazione. Schivo e riservato di carattere, Simcha Rotem ha accettato di scrivere il diario prima su invito del suo comandante Antek quando a vent’anni militava nell’Organizzazione ebraica di Combattimento e poi, una volta giunto in Israele nel kibbutz Lohamei HaGeta’ot, sono i suoi compagni a convincerlo a portare a termine l’opera. Simcha dimostra un coraggio inusuale sin dall’adolescenza quando, sepolto fra le macerie della sua casa bombardata subito dopo l’invasione tedesca della Polonia nel settembre 1939 e gravemente ferito, riesce a trarsi in salvo. Sono pagine lucide ma cariche di sofferenza quelle in cui Simcha racconta della militanza clandestina, delle fughe nei cunicoli delle fogne con il terrore di essere scoperti, dei cumuli di macerie e dei cadaveri abbandonati lungo le strade ma anche della dolorosa consapevolezza di dover conservare un distacco affettivo dinanzi alla morte che coglie le persone più care. Grazie ai tratti del viso non tipicamente ebraici il giovane combattente è destinato a missioni pericolose in mezzo a gente ostile sempre con l’intento di salvare i compagni in difficoltà e rifuggendo qualsiasi opportunità per mettersi in salvo. Anche se non possono sperare in una vittoria i giovani dello Zob affermano con le armi il proprio diritto a vivere riscattando una dignità che i tedeschi vorrebbero annullare; il tutto però nella totale indifferenza del mondo ma anche della popolazione ebraica del ghetto troppo impaurita per reagire. Fra momenti di disperazione come il ritrovamento di un bambino vivo fra le braccia di una donna morta e attimi di azione per punire i collaborazionisti o esortare gli ebrei benestanti a donare denaro, Simcha troverà il coraggio di affrontare a viso aperto i nazisti sparando loro addosso nei dieci giorni fra l’aprile e il maggio del 1943 durante i quali l’esercito tedesco perde il controllo del ghetto. Non c’è vanto o clamore nelle parole di questa figura eroica ma solo commozione e rimpianto per i compagni che non è riuscito a salvare. Per questo tutta la vita si è interrogato sulla possibilità o meno di tornare indietro per aspettare qualcun altro, pur sapendo che sarebbe stato impossibile e forse avrebbe messo a rischio l’incolumità di coloro che invece era riuscito a strappare alla morte. Dopo la fine della guerra Simcha entra nel gruppo dei Vendicatori che, guidato da Abba Kovner, tenta di vendicarsi dei nazisti in Europa scontrandosi con la persistenza del sentimento antisemita nella Polonia del dopoguerra. La decisione di emigrare in Erez Israel, maturata sin dagli anni della gioventù, rappresenta per Simcha Rotem “ l’unica cura possibile” per l’impegno quotidiano e per il lavoro che dedicherà allo sviluppo economico della patria degli ebrei. Senza orpelli letterari ma con la consapevolezza di compiere un dovere, l’indomito combattente del ghetto di Varsavia ci regala una testimonianza preziosa, un racconto di grande potenza espressiva da cui emerge l’energia e la forza vitale di giovani che hanno saputo opporsi all’aggressore nazista conservando intatta la propria umanità.


Giorgia Greco

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