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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Sole 24 Ore - Il Manifesto Rassegna Stampa
27.10.2017 Business con l'Iran in pericolo! L'allarme di Sole 25 Ore e Manifesto è già una buona notizia
I commenti preoccupati e disinformanti di Laura Cavestri, Michele Giorgio

Testata:Il Sole 24 Ore - Il Manifesto
Autore: Laura Cavestri - Michele Giorgio
Titolo: «A rischio gli scambi con l'Iran - L'indipendenza salta, Netanyahu attacca Tehran»

Riprendiamo dal SOLE24ORE di oggi, 27/10/2017, a pag. 15 con il titolo "A rischio gli scambi con l'Iran" il commento di Laura Cavestri; dal MANIFESTO, a pag. 9, con il titolo "L'indipendenza salta, Netanyahu attacca Tehran", il commento di Michele Giorgio.

Il Sole 24 Ore è preoccupato per il business delle aziende italiane in Iran. L'articolo di oggi non cita la natura del feroce regime degli ayatollah, ma si concentra unicamente sui mancati guadagni che potrebbero affliggere le aziende qualora venissero reintrodotte sanzioni contro Teheran.

Michele Giorgio, invece, continua ad accusare Israele di "aggressione" nei confronti dell'Iran, rovesciando completamente la realtà. Non una parola sulla natura terrorista del regime fondamentalista sciita, né su Hezbollah finanziata e armata dall'Iran, né sull'espansionismo sciita in tutto il Medio Oriente e sui diritti umani sistematicamente calpestati. Per non dire degli armamenti di Hezbollah, finanziati e accresciuti grazie all'Iran.

Ecco gli articoli:

IL SOLE 24 ORE - Laura Cavestri: "A rischio gli scambi con l'Iran"

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L'atteggiamento delle aziende che si sono lanciate in ricchi affari con il regime degli ayatollah...

«Conosco l'Iran da prima che cadesse lo Scià. Sa che lì, oggi, quasi il 70% dell'elettromeccanica degli impianti oil e gas è italiana? E va sostituita. Gli iraniani ci cercano. Ma se non potremo garantire i contratti acquisiti da privati, regaleremo il mercato ai concorrenti». Il pensiero dell'imprenditore varesotto delle caldaie - che preferisce l'anonimato - è, tra preoccupazione e rassegnazione, anche quello di molti "colleghi" della meccanica, dell'engineering, della componentistica oil e gas, della chimica e delle materie plastiche, che hanno tutti una cosa in comune: non esportano sporadicamente piccole partite. Ma operano su forniture e progetti di medio-lungo periodo (oltre 24 mesi). Operazioni che non riescono ad essere finanziate dagli istituti di credito nazionali e, di conseguenza, non trovano le garanzie di assicurazione sul credito in caso di mancato pagamento.

L' incognita Trump
Un problema europeo, non solo italiano. Colpa dell'incertezza che aleggia sul Paese (che cresce del 5% l'anno ed è un pagatore puntuale). Un timore nato un anno fa con l'elezione del presidente Usa Donald Trump, che io giorni fa, dopo molti annunci, ha confermato la decisione di voler decertificare l'accordo sul nucleare raggiunto con Teheran nel luglio 2155 (con cui la Ue ha rimosso e gli Usa, per ora, sospeso le sanzioni). Nonostante le banche iraniane siano ormai agganciate al sistema swift e abbiano recepito le normative antiriciclaggio, il ripristino delle sanzioni renderebbe impossibile, per gli iraniani, onorare i pagamenti e, per le banche e le società di assicurazione crediti, rientrare delle esposizioni. Troppi rischi. Non solo. È vero che le sanzioni sono sospese per le realtà finanziarie che vogliono operare con Teheran. Ma al minimo errore commesso da una banca europea in Iran, si rischia una doppia sanzione americana quella per una violazione delle regole e ripercussioni sulla propria operatività negli Usa (mercato enormemente più importante di Teheran). Insomma, il rischio è di dover scegliere tra un Paese con cui facciamo 2,5 miliardi di interscambio con uno che ne vale oltre 50.

Dual use e black list
Non solo. Non si può esportare merce che può finire per avere un "dual use" cioè "innocenti" (per noi) valvole,turbine ma anche software e composti chimici che potenzialmente possono essere utilizzati anche nell'industria nucleare. Oltre al fatto che sono sanzionabili banche e imprese che (anche a loro insaputa) si mettano in affari con società locali in cui siano presenti, come amministratori, soci e componenti di board, cittadini iraniani inseriti in una black list perchè fortemente compromessi con il regime. E ricostruire gli organigrammi aziendali è complesso. Banche alla finestra Per questo il sistema bancario europeo da oltre un anno rimane alla finestra. Soprattutto dopo quello che è successo, nel 2014, a Bnp Paribas. Si dichiarò colpevole davanti a un tribunale di New York per avere fatto transazioni da miliardi di dollari con tre paesi sotto embargo, tra cui l'Iran, e fu costretta a una multa da 9 miliardi di dollari. In realtà, la Francia mostra segni di dinamismo. Ad agosto, i francesi di Renault e gli iraniani hanno firmato un contratto dal valore di 66o milioni di euro per costruire in Iran 150mila automobili l'anno. Non solo. La Bpi France - l'equivalente della nostra Sace - ha dichiarato che finanzierà progetti di investimento di società francesi in Iran dal 2018, concedendo fino a 500 milioni di euro in crediti annuali. Ma, a differenza degli italiani, può farlo perchè non ha esposizioni verso gli Stati Uniti.

«Con la sospensione delle sanzioni verso l'Iran - ha spiegato Sace - abbiamo ripreso a sostenere le forniture , per lo più di Pmi, nel Paese, con strumenti a copertura del rischio di mancato pagamento e lettere di credito emesse da banche iraniane (Mellat, Tejarat, Parsian, Sama, Bank of Industry e Mine) e confermate da banche italiane, nel pieno rispetto del complesso quadro sanzionatorio. Si tratta di operazioni che prevedono dilazioni di pagamento inferiori ai 24 mesi perle quali sono comun necessari consistenti approfondimenti per essere conformi al nuovo sistema di regole». Nel 2016 l'export di Made in Italy verso l'Iran è comunque cresciuto di quasi il 30% rispetto al 2015, passando da 1,2 a oltre 1,5 miliardi (mentre noi importiamo peri miliardo, quasi tutto greggio). Era oltre i 7 miliardi prima delle sanzioni. Tuttavia, «il forte entusiasmo ha ceduto il passo a un forte stand-by - spiega Carlo Banfi, presidente di Assopompe (Anima) e gruppo Aturia (25 milioni di fatturato e 250 addetti) -. Un po' si lavora con Teheran. Ma quando le commesse diventano importanti e si acquisisce l'ordine nessuna banca emette lettera di credito. E se le banche non sono nelle condizioni di effettuare crediti a lungo termine anche le imprese restano al palo». «Nel 2017 ci attendevamo il boom. L'export crescerà, ma al di sotto del potenziale - ammette Alessandro Grassi , presidente di Amaplast (le aziende che costruiscono macchine e stampe per materie plastiche) -. Non ci saranno problemi per chi fa vende con pagamenti per cassa. I pagamenti diretti, con bonifico, da 100-150mila euro non sono automatici ad accredito diretto. C'è un po' di burocrazia, ma la si supera. Mentre resta quasi impossibile farsi erogare lettere di credito a 18-24 mesi».

IL MANIFESTO - Michele Giorgio: "L'indipendenza salta, Netanyahu attacca Tehran"

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Michele Giorgio 

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Iran, Iran e ancora Iran. Non si parla d'altro ai vertici politici e militari di Israele. Da quando Donald Trump non ha certificato l'accordo sul programma nucleare iraniano del 2015, il governo Netanyahu sa di aver un'occasione d'oro, forse unica, per vedere Tehran costretta a fare i conti con nuove pesanti sanzioni americane e, forse, anche internazionali. Senza l'esclusione dell'uso della forza. Il ministro per l'intelligence, Israel Katz, in visita in Giappone in questi giorni, ha detto perentorio che Israele è pronto a ricorrere a un attacco militare pur di «fermare» l'Iran.

IL PROBLEMA di Israele è che l'Iran la bomba atomica non la possiede e le sue centrali nucleari per la produzione di energia sono soggette a controlli rigidi e costanti previsti dall'accordo del 2015. I suoi attacchi all'Iran perciò si concentrano su altri aspetti, le altre «forme di aggressione iraniane di cui parla Trump, che, si augura Tel Aviv, potrebbero indurre la comunità internazionale a cestinare l'intesa sul nucleare, come, ad esempio, la produzione di missili balistici. Sul tavolo sono finite anche le vicende nel Kurdistan iracheno, con i Peshmerga costretti ad abbandonare Kirkuk sotto la pressione dell'esercito governativo e delle milizie sciite dopo il referendum per l'indipendenza curda del 25 settembre. Per Israele ciò dimostra che l'Iran ha il controllo dell'Iraq attraverso l'impiego le milizie sciite sue alleate. L'Arabia saudita gioca ugualmente le sue carte in Iraq e così fanno la Turchia, il Qatar e lo stesso Israele che nel Kurdistan ha sempre avuto buoni amici, al punto da essere stato l'unico Stato al mondo a pronunciarsi il mese scorso a favore dell'indipendenza curda. L'attenzione tuttavia si concentra solo sui disegni di Tehran.

IL GOVERNO Netanyahu tace ma in Israele più voci denunciano d'abbandono da parte dell'Occidente del presidente curdo Masoud Barzani. Si sottolinea che i Peshmerga che sono stati decisivi perla sconfitta dello Stato islamico in Iraq eppure sono stati lasciati soli. E alcuni puntano l'indice contro i curdi del clan Talabani vicino all'Iran, al contrario dei filo-israeliani e filo-occidentali Barzani. Sul Jerusaleem Post, Caroline Glick, analista cara alla destra, ha ricordato che Jalal Talabani, morto qualche settimana fa, si opponeva all'indipendenza curda. «Sabato scorso- ha scritto Glick -, affiancato dai due comandanti sciiti iracheni, il generale iraniano Qassem Soleimani (capo della Brigata Gerusalemme nella potente Guardia Rivoluzionaria, ndr) ha detto ai Talabani di sostenere il ripristino del controllo del governo iracheno, cioè il controllo iraniano, su Kirkuk». L'analista ha accusato Alaa Talabani, nipote di Jalal, di aver raggiunto un'intesa con Soleimani, per affossare l'indipendenza curda e isolare Barzani. Altre fonti israeliane parlano della costituzione di una autorità nella zona di Halabja-Sulaymaniyah-Kirkuk amministrata dal governo iracheno e dai curdi non indipendentisti. In linea, dicono, con gli interessi dell'Iran. Interessi da contrastare ad ogni costo, anche con la guerra.

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