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La Stampa - Il Foglio - Il Giornale Rassegna Stampa
06.09.2017 Corea del Nord, commenti: ecco chi destabilizza la situazione internazionale
Commenti di Stefano Stefanini, Daniele Raineri, Fausto Biloslavo

Testata:La Stampa - Il Foglio - Il Giornale
Autore: Stefano Stefanini - Daniele Raineri - Fausto Biloslavo
Titolo: «Nord Corea: la sfida di Putin all'America - L’orrore della soglia atomica - Gli 007 di Putin proteggono Kim Jong-un»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/09/2017, a pag. 1, con il titolo "Nord Corea: la sfida di Putin all'America", l'analisi di Stefano Stefanini; dal FOGLIO, con il titolo "L’orrore della soglia atomica", l'analisi di Daniele Raineri; dal GIORNALE, a pag. 12, con il titolo "Gli 007 di Putin proteggono Kim Jong-un", il commento di Fausto Biloslavo.

A destra: Vladimir Putim, Kim Jong-un e la bomba

L'appoggio offerto da Putin alla Corea del Nord è evidente. Ancora una volta il dittatore russo si schiera con i peggiori regimi in funzione anti-occidentale. Ci aspettiamo che questo asse apra gli occhi ai putiniani in Italia e in Europa, numerosi soprattutto a destra.

Ecco gli articoli:

 

 

LA STAMPA - Stefano Stefanini: "Nord Corea: la sfida di Putin all'America"

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Stefano Stefanini

Non sarà guerra fredda ma ci manca poco. Mettendo una trave fra le ruote americane sulla crisi nordcoreana, il presidente russo conferma che l’opposizione agli Stati Uniti è (ri)diventata punto cardinale della politica estera russa. Non è il confronto planetario fra le due superpotenze, ma un costante disegno teso a mettere in difficoltà Washington su tutti gli scacchieri. La penisola coreana non fa eccezione.

La Rappresentante americana alle Nazioni Unite, Nikki Haley, aveva appena chiesto «le sanzioni più dure» per rispondere all’ultimo test nucleare di Pyongyang, forse una bomba H, che segue a ruota una sfilza di lanci missilistici (un altro atteso a giorni). Liquidando le sanzioni come «inutili», forte del veto in Consiglio di Sicurezza, Vladimir Putin le ha stroncate sul nascere. Senza una risposta forte del Consiglio di Sicurezza, Washington è con le spalle al muro, perde credibilità e rischia una rottura con gli alleati asiatici.

Il percorso americano al Palazzo di Vetro diventa ora proibitivo. Haley aveva anticipato una proposta di risoluzione americana, partendo dal presupposto che il test nucleare crei un consenso sull’indurimento delle sanzioni. La proposta radicale, compreso embargo petrolifero, perderebbe poi qualche pezzo nel negoziato con gli altri membri del Consiglio. Gli americani mettevano certamente in conto qualche prezzo da pagare per l’appoggio o l’astensione di Russia e Cina. Adesso possono sperare al massimo in una condanna di Pyongyang, con apparato sanzionatorio all’acqua di rose. Altrimenti, veto di Mosca: se accettasse nuove sanzioni il presidente russo smentirebbe se stesso.

Senza risoluzione Onu, ulteriori sanzioni americane e europee contro Pyongyang hanno i denti spuntati. Sarà vero che «chi commercia con la Corea del Nord sta solo aiutando il regime» ma il partner principale è Pechino; punire unilateralmente la Cina, maggior creditore del Tesoro americano, è a dir poco irrealistico. Se la via dello strangolamento economico di Pyongyang è chiusa, ricompare inevitabilmente la rischiosissima opzione militare.

Anche facendo la tara a Donald Trump («fuoco e furia»), è sicuramente fra le prospettive che quest’amministrazione americana tiene presenti, per quanto malvolentieri. Washington, a cominciare dal Pentagono, sa che le conseguenze sarebbero devastanti e destabilizzanti. L’ambasciatrice Haley ha girato intorno all’intervento militare senza però mai escluderlo. Malgrado Kim Jong-un stia «supplicando la guerra», ha detto, è l’ultima cosa che gli Usa vogliono ma «la nostra pazienza non è illimitata».

Putin pertanto si contraddice quando da una parte blocca le sanzioni e dall’altra condanna «l’isteria militare» (sottinteso degli Usa). Dopo aver detto che un conflitto nella penisola coreana piò portare a una catastrofe globale, egli sbarra la porta alle pressioni su Pyongyang, spingendo così Donald Trump verso il sentiero militare. Non può non rendersene conto. Lascia il tempo che trova il suo invito alla diplomazia e al dialogo - con un regime che è stato sordo per oltre vent’anni alle varie iniziative negoziali americane e internazionali e che ha accelerato la corsa nucleare e missilistica sotto l’attuale giovane dittatore.

Il presidente russo guarda soprattutto ai guadagni immediati che ottiene paralizzando gli americani: frustrazione e perdita di faccia al Palazzo di Vetro (alla vigilia dell’Assemblea Generale) e di credibilità strategica in Asia e nel Pacifico; incrinatura del rapporto con i principali alleati asiatici, Seul e Tokyo, doppiamente inquieti, per la minaccia nordcoreana e per l’imprevedibilità americana (l’ultima cosa che i sudcoreani vogliono è un’azione preventiva americana); distrazione di Washington da altri teatri di più diretto interesse russo in Europa (Ucraina) e in Mediterraneo e Medio Oriente (Siria, Iran).

La scommessa di Putin è che alla fine Donald Trump sia trattenuto dall’intervento militare e che l’America esca dalla crisi come potenza indebolita. Se poi scoppiasse un nuovo conflitto coreano, vedere Usa e Cina ai ferri corti, se non in guerra come fu negli Anni 50, non sarebbe forse una tragedia per la Russia. Il calcolo è tanto geniale quanto pericoloso. Nella penisola coreana, fra i giocattoli di Kim Jong-un, si scherza col fuoco.

Peccato. In altri tempi, non tanto lontani, questa crisi sarebbe stata il terreno ideale di un’intesa fra i «grandi» per tenere a bada un bandito internazionale con armi nucleari. Anziché comunicare per tweet e discorsi, i leader di Russia, Usa e Cina si sarebbero riuniti di corsa per gestire l’emergenza nordcoreana. Ma erano altri tempi - e altri leader.

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "L’orrore della soglia atomica"

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Daniele Raineri

Negli ultimi due mesi la Corea del nord ha dato una brusca accelerazione al suo programma nucleare. Il 4 luglio ha annunciato di avere lanciato un missile balistico intercontinentale “capace di raggiungere qualsiasi punto del pianeta”, che è un’esagerazione ma non troppo: si tratta comunque di un vettore che può arrivare fino alla costa est americana, al Giappone e ovviamente alla Corea del sud. Il 3 settembre ha fatto esplodere un ordigno nucleare molto più potente di quelli usati nei cinque test precedenti. Se si mettono assieme il vettore e la testata atomica, si ottiene la crisi di questi giorni: la Corea del nord è il primo regime a varcare con successo la soglia del club dell’armamento nucleare negli ultimi vent’anni, dopo il Pakistan che l’ha fatto nel 1998. Molti regimi avevano tentato di superare quella soglia ed erano stati bloccati in tempo. Nel giugno 1981 l’aviazione israeliana distrusse il reattore nucleare di classe “Osiris” che Saddam Hussein stava costruendo vicino Baghdad assieme ai francesi – come rivela quella k finale, così francese, nel nome del progetto: Osirak. Nel dicembre 2003 America e Gran Bretagna assieme riuscirono a costringere il dittatore libico Gheddafi ad annunciare la fine del suo programma di armamento nucleare clandestino, che la Libia stava portando avanti andando a cercare pezzi e tecnici sul mercato nero, per esempio in Svizzera.

Nel settembre 2007 di nuovo l’aviazione israeliana distrusse un reattore nucleare che la Siria stava costruendo, anche con l’aiuto di tecnici nordcoreani, nel deserto vicino Deir Ezzor. Il governo del presidente Bashar el Assad negò a lungo (che sorpresa, vero?) che quello fosse un sito nucleare fino a quando gli ispettori delle Nazioni Unite trovarono che in effetti era stato un sito nucleare. Infine, nel luglio 2015 l’Amministrazione Obama ha ottenuto dal governo dell’Iran un accordo che sospende il programma nucleare in cambio della fine delle sanzioni internazionali. E’ un accordo che però è molto criticato perché secondo alcuni osservatori è stato violato (per esempio l’Iran continua a fare test con i missili balistici – che possono essere vettori di testate atomiche – e nega agli ispettori internazionali l’accesso ai siti militari, il che vanifica il concetto stesso di “ispezioni”). Altre critiche puntano invece sul fatto che, per ottenere quell’accordo, l’Ammini - strazione Obama è passata sopra ad altre situazioni che invece erano più importanti, come la crisi in Siria, ma ormai questo è il punto in cui siamo. Perché la Corea del nord è un ammonimento così importante sul rischio della proliferazione? Uno dei motivi è la visione modesta del regime. La Corea per ora non sta lavorando a un programma atomico in chiave offensiva. Non vuole attaccare e invadere il Giappone oppure il nemico americano, per ora – per ora sottolineato – la sua visione è l’auto - conservazione, preservarsi come paese museo del comunismo asiatico e prolungare la dinastia dei Kim. Il New York Times quattro giorni fa ha pubblicato una lunga analisi per capire se la Corea per esempio volesse conquistare altro territorio, ma la conclusione è che poi dovrebbe anche occuparlo e controllarlo e non sarebbe un compito facile per una nazione che soffre letteralmente la fame.

Lo stesso non si può dire degli altri governi che avevano sottomano le stesse risorse e le stesse conoscenze dei coreani – in molti casi anche maggiori – e però hanno fallito. Tutti gli aspiranti membri del club atomico coltivavano visioni imperiali da far sembrare Kim un novizio timido. In questo caso siamo fortunati che soltanto la Corea sia riuscita dove gli altri hanno per ora fallito: è il più marginale dei pretendenti. Gheddafi sognava di diventare il rivale nucleare di Israele e coltivava una visione grandiosa e panafricana, con se stesso al centro come leader della nuova Africa. Se è finito a lottare per la sopravvivenza in un canale di scolo di Sirte è anche perché il suo programma di armamento clandestino era stato troncato otto anni prima. Saddam Hussein in Iraq aveva piani di dominio megalomani sulla regione, che sono passati in effetti per lo sterminio dei curdi a nord a fine anni Ottanta e l’invasione del Kuwait a sud nel 1991, e provò a realizzarli sul serio – ma almeno senza più impianti nucleari a disposizione.

La Siria e l’Iran sono alleati storici – oggi Damasco è in posizione debitoria verso gli iraniani, perché deve loro la sopravvivenza durante la guerra civile – e seguono fin dal 1979 lo stesso disegno: diventare egemoni nella regione mediorientale e oltre, e nel caso dell’Iran esportare la rivoluzione khomeinista, umiliare il blocco contrapposto che fa capo all’Arabia Saudita ed è alleato con gli americani, e sfidare direttamente Israele. La storia non si fa con i condizionali, ma se la Siria avesse ancora avuto un progetto nucleare oggi sarebbe un bel guaio perché è un paese sbranato da un conflitto interno, spesso i suoi soldati non riescono a difendere le loro posizioni e abbandonano nelle mani di gruppi estremisti tonnellate di equipaggiamento militare – che poi finiscono in video trionfali.

Se il reattore di al Kibar distrutto nel 2007 fosse stato costruito, oggi sarebbe in mezzo alla valle dell’Eufrate, quindi nel pieno del territorio controllato da tre anni dallo Stato islamico (ma è lecito supporre che nel frattempo qualche tipo di intervento esterno avrebbe scongiurato questa possibilità). Se l’Iran fosse in una fase più avanzata della ricerca di nuovo sarebbe un problema serio, perché già oggi che ha a disposizione soltanto risorse convenzionali agisce fuori dai suoi confini e condiziona la vita di molti altri stati della regione, dallo Yemen al Libano dalla Siria all’Iraq. Potrebbe ricreare con Israele la stessa situazione di stallo atomico che c’era tra Unione sovietica e America durante gli anni della Guerra fredda, soltanto che in questo caso i minuti di preavviso sarebbero pochissimi e non qualche decina. La Corea del nord insegue una megalomania pubblica, vistosa, fatta di culto della personalità e parate, ma il suo dittatore ha i tratti di una macchietta e per ora ha una proiezione locale della sua potenza. Gli stati che condividevano le ricerche atomiche con i coreani invece hanno aspirazioni molto più definite e pericolose. Hanno avuto soltanto meno successo.

IL GIORNALE - Fausto Biloslavo: "Gli 007 di Putin proteggono Kim Jong-un"

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Fausto Biloslavo

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Il presidente russo Vladimir Putin teme che il braccio di ferro militare con la Corea del Nord rischi di scatenare «una catastrofe globale, planetaria e un'enorme perdita di vite umane». Mosca «difende» Pyongyang, in funzione anti Usa, e non ha mai interrotto le relazioni con il regime dittatoriale. Rapporti militari, economici, politici che derivano fin dalla seconda guerra mondiale.

Dieci ex agenti del Kgb, il servizio segreto sovietico, sarebbero stati personalmente assoldati da Kim Jong-un per evitare di venire ucciso da un complotto o da un bombardamento aereo mirato. Ieri alla conclusione del vertice fra Cina, Russia, India e Brasile a Xiamen il presidente russo ha ribadito che «è insensato intensificare l'isteria militare» nella crisi nordcoreana «che porta solo a un vicolo cieco». Oggi Putin incontrerà il presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, per discutere della crisi. Il nuovo Zar ha condannato l'esperimento nucleare di Pyongyang, ma non è convinto delle nuove sanzioni proposte all'Onu da Washington. «C'è davvero qualcuno che pensa che solo per l'adozione di qualche sanzione, la Corea del Nord abbandonerà il percorso, intrapreso per creare armi di distruzione di massa?» si è chiesto Putin. Secondo il capo del Cremlino il giovane dittatore Kim Jong-un non dimentica che «Saddam Hussein aveva rinunciato alla produzione di armi di distruzione di massa. Tuttavia, con il pretesto della ricerca proprio di queste armi, l'Iraq è stato distrutto e Saddam impiccato». Putin ha fatto un analogo riferimento alla fine del colonnello Gheddafi per spiegare che i nordcoreani «mangeranno erba, ma non fermeranno i loro programmi fintanto che non si sentiranno sicuri». In realtà il popolo è costretto a mangiare erba da un dittatore che continua ad annunciare bellicosi proclami nucleari.

La stessa Russia è finita nel mirino delle sanzioni Usa per le forniture petrolifere alla Corea del Nord, che, però, vengono definite «insignificanti» dal governo di Mosca. I russi hanno sempre mantenuto ed espanso i rapporti economici con Pyongyang nel campo della rete dei trasporti, la fornitura di carburante e lo sviluppo dell'occupazione. La Russia è uno dei più importanti donatori di aiuti alla popolazione e ha cancellato i 10 miliardi di dollari di debito nordcoreano che si trascinava fin dai tempi dell'Unione Sovietica. Non a caso il fondatore della dittatura, Kim Il Sung, era un ex maggiore dell'Armata rossa che ha combattuto contro i giapponesi durante al seconda guerra mondiale. Dopo 26 anni di esilio fu Mosca ad imporlo a capo del partito comunista coreano. I vecchi legami sono riaffiorati pochi giorni fa con la notizia dell'arrivo a Pyongyang di una decina di ex ufficiali del Kgb, il temuto servizio segreto sovietico. Il loro compito è organizzare e migliorare la sicurezza attorno al dittatore, che teme di venire ucciso. Si tratti di un complotto o di un pesante attacco aereo mirato gli uomini del Kgb avrebbero una lunga esperienza nella protezione ravvicinata e nei bunker anti atomici.

La squadra spuntata dal passato sarebbe arrivata a febbraio. Il suo compito non è solo evitare che il dittatore venga ammazzato, ma «addestrare unità speciali per individuare in maniera preventiva atti di terrorismo e sabotaggio» fa sapere una fonte dei media giapponesi. E guarda caso in maggio è stata annunciata la scoperta di un complotto per assassinare Kim Jong-un con un'arma biochimica. Ovviamente il regime di Pyongyang ha accusato la Cia e i suoi alleati sudcoreani. Il 13 novembre 2015 il generale Nikolay Bogdanovsky, a capo di una delegazione militare russa nella capitale nordcoreana, aveva firmato un accordo con il numero due delle forze armate locali, O Kum-chol. L'accordo prevede lo sviluppo della cooperazione militare fra i due Paesi e la «prevenzione di attività belliche pericolose». Con l'inasprirsi della crisi nucleare la Russia ha inviato tre treni carichi di carri armati per presidiare il confine con la Corea del nord, lungo appena 17 chilometri a sud ovest di Vladivostok. La scorsa settimana i caccia bombardieri russi hanno sorvolato la regione non tanto in funzione anti Pyongyang, ma per mostrare i muscoli agli americani e agli stessi cinesi pesantemente coinvolti nella crisi.

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