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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio-La Stampa Rassegna Stampa
30.06.2017 Stato islamico sconfitto: troppo presto per cantare vittoria
Analisi di Daniele Raineri, Domenico Quirico

Testata:Il Foglio-La Stampa
Autore: Daniele Raineri-Domenico Quirico
Titolo: «L'inviato speciale per la guerra allo Stato islamico spiega la strategia contro i foreign fighters:'ucciderli tutti'-Mosul, il Califfo ammaina la bandiera nera»

Le titolazioni di molti quotidiani danno oggi, 30/06/2017, lo Stato islamico per sconfitto. A leggere poi i commenti la cosa non appoare così certa, come di evince dalle analisi di Daniele Raineri sul FOGLIO a pag.1 e da Domenico Quirico sulla STAMPA a pag.1

Il Foglio-Daniele Raineri:" L'inviato speciale per la guerra allo Stato islamico spiega la strategia contro i foreign fighters:'ucciderli tutti' ".

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Daniele Raineri                    Brett McGurk

Troppo impegnati a rimuginare sul crepuscolo dell’occidente, il suicidio dell’Europa e la debolezza di fronte all’islam, forse ci siamo persi le parole di Brett McGurk, inviato speciale degli Stati Uniti per la lotta allo Stato islamico: “La nostra missione è fare in modo con certezza che tutti i foreign fighters dello Stato islamico muoiano a Raqqa”. McGurk è uno dei pochissimi funzionari americani a essere sopravvissuti al passaggio dall’Ammini - strazione Obama a quella Trump perché gli è riconosciuta molta competenza, acquisita sul campo negli ultimi dodici anni passati in Iraq (fu nominato nel 2004, ai tempi di Bush jr). Due giorni fa era a nord di Raqqa per vedere da vicino come vanno le operazioni sponsorizzate da Washington (a partire dal 2015) per liberare la città – e già questa cosa che i funzionari e i generali americani circolino nel nord-est della Siria è significativa, anche se poco raccontata. Ecco lo scambio completo con l’inviata di una tv degli Emirati Arabi Uniti che l’ha incontrato nella zona: “Credete ci siano ancora leader importanti (detti: high value target, bersagli preziosi) a Raqqa?”. “Pensiamo ci sia un numero significativo di foreign fighters dentro la città. E continuiamo a scovare e a prendere persone high value, specialmente a Tabqa, che è stata liberata di recente. Difficile a dirsi. Penso che molta della leadership probabilmente è già fuggita da Raqqa. Ma se parliamo di foreign fighters irriducibili, pronti a difendere la città e pronti a morire, sappiamo che sono concentrati a Raqqa. La nostra missione è fare in modo con certezza che non riescano a fuggire. La nostra missione è fare in modo con certezza che tutti i foreign fighters che sono qui, che sono arrivati da fuori per arruolarsi nello Stato islamico, che sono venuti in Siria, muoiano qui in Siria. Questa è la missione. Così, se sono a Raqqa moriranno a Raqqa. Per i siriani che sono stati cooptati nello Stato islamico e si vogliono arrendere, be’, la settimana scorsa il consiglio locale di Raqqa ha perdonato ottanta di loro che avevano combattuto con lo Stato islamico, i siriani possono sbrogliarsi la questione da loro. Ma per quel che riguarda i foreign fighters, vogliamo essere sicuri di eliminarli tutti”. Le parole di McGurk colpiscono questa volta perché sono esplicite, ma da tempo si è capito che questa è la linea adottata durante le operazioni per liberare le città dallo Stato islamico: i leader non sono disposti a negoziare proprio perché così impone la loro impostazione ideologica e religiosa, i foreign fighters sono un pericolo grave perché ce ne sono migliaia (cinquemila circa sono europei) e potrebbero tentare di tornare in occidente. Quindi non ci sono in programma una tregua, un compromesso e un tavolo di pace: si va avanti per attrito, come dicono i militari – con l’appoggio sul campo della coalizione occidentale fino a quando lo Stato islamico è così debole che le forze locali possono di nuovo occuparsene senza problemi. Oltre al motivo pratico – ovvero: molti di quelli che non s’arrendono preferiscono morire – c’è anche il messaggio per i simpatizzanti: creare uno Stato islamico che vuole sottomettere il resto del mondo è materialmente impossibile, è una fantasia che finirà in modo orribile. L’esercito iracheno che ieri ha ripreso il controllo delle macerie della moschea al Nuri, da dove nel luglio 2014 Abu Bakr al Baghdadi fece il suo unico discorso a volto scoperto, dovrebbe risultare l’argomento più convincente – più di mille fiacchi programmi di “deradicalizzazione”. E infatti il numero dei foreign fighters è crollato. La guerra non è finita, c’è ancora molto territorio da riprendere e ci saranno contrattacchi e attentati perché lo Stato islamico ha avuto anni a disposizione per ideologizzare molte persone, ma questa è la direzione.

La Stampa-Domenico Quirico:" Mosul, il Califfo ammaina la bandiera nera"

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Domenico Quirico                      Vivo o morto?

Dunque è finita, dopo tante annessioni e successi il califfato sta per passare di moda? Per molti è certo: il parassita delle nostre angosce muore in un giorno di giugno con la riconquista sciita, simbolica anche dal punto di vista cronologico, della moschea di Mosul in cui tre anni fa Al Baghdadi si proclamò millenario. Decadimento e apocalisse magistrale. Questa epopea sanguinaria sfumerebbe dunque in un modo in fondo così scialbo, così fiacco, così scarsamente pittoresco! C’è una pericolosa febbre da ultimo atto, ci stiamo ingarbugliamo, a occidente, nuovamente nelle nostre illusioni, nel felice torpore, pronti a corsi di oblio, alle delizie dell’amnesia . Certo il controllo, e l’amministrazione spietata, di un territorio ha costituito la essenza del califfato, la novità che lo ha innalzato sulle esperienze di radicalismo islamico precedenti. Il Comintern islamista che riuniva le periferie europee alla via della seta all’Africa sub-sahariana aveva nella Mosca sull’Eufrate un riferimento pratico e una boa spirituale. Migliaia di combattenti stranieri che la biografia non collegava a una parte del mondo dove regnava una notte spaventosa sono venuti a pregare in quella moschea, a uccidere e a morire per difendere e estendere il primo califfato con aspirazioni totalitarie. Lì hanno scoperto che l’idolatria del sacro Avvenire è compatibile con l’atroce, che anzi conduce all’atroce. Sarà difficile disintossicarli. E’ prudente non abbandonarsi a baldorie liquidative, la caduta fisica e territoriale del califfato sposta il problema su un piano diverso ma non migliore. Innanzitutto Daesh, con il suo marchio, ha reso Siria Iraq e tutto il vicino Oriente irriconoscibili e ne ha compromesso per sempre la pace. Le virtualità di lacerazione e di conflitto che contenevano si sono attualizzate e concentrate nelle masse. Effetto politicamente voluto, soprattutto storicamente permanente che affliggerà il terzo Millennio: ricostruire i vecchi stati unitari è evidente follia poiché si ripete l’errore di affidarli agli aborriti tribalismi sciiti, curdi (o alqaidisti). La seconda strategia del califfato è stata quella di schierare un centro e una periferia. La retrovia della Terra tra i due fiumi sono le zone in decomposizione, i margini del mondo musulmano. Qui, dal grande vuoto saheliano alle montagne afgane alle terre della transumanza somala fino all’Uzbekistan e allo Yemen, Daesh ha moltiplicato le metastasi creando delle linee di ritirata e di concentrazione pronte per altri dieci, mille califfati. La perduta gente di Mossul e di Raqqa, in realtà, non è afflitta da una cupa frenesia della fine, sembra in grado di attuare la più complessa delle operazioni militari, la ritirata verso nuovi basi. Non si riesce a fargli assaporare la solitudine dei vili, che è la vera sconfitta. La scomparsa di Al Baghdadi, re nascosto, funzionario burocratico e istituzionale della Missione, in questa prospettiva è incidente provvisorio di fronte alla perennità dell’istituzione: la monarchia islamista è più grande e infrangibile del suo re. Ancor meno accorto sarebbe illudersi che la fine della Guida mediorientale significhi l’isterilirsi delle vocazioni tra i giovani europei, asiatici o africani. Perché l’islamismo costituisce la faccia oscura della globalizzazione. L’estremismo violento che contagia questa generazione non segna il risorgere di culture tradizionali ma, al contrario, il loro estinguersi. I giovani in esso si liberano del peso di tradizioni millenarie e cercano una identità sociale. Si radicalizzano per trovare una identità solida in un mondo che si appiattisce. L’estremismo in dio offre alla loro vita un senso e un destino glorioso. Il fondo bestiale dell’entusiasmo. Noi, invece, continuiamo a mancare di disponibilità metafisiche, di riserve sostanziali di Assoluto. Intanto i canali verticali di comunicazione tra le generazioni sono sostituiti da legami orizzontali tra pari, legami che attraversano il pianeta. La caduta di Mosul e di una moschea ridotta a emblematica rovina sono troppo poco per cancellare questa Storia trafelata.

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