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Il Giornale Rassegna Stampa
12.12.2017 Gerusalemme: per secoli senza importanza per l'islam, adesso è un simbolo per fare guerra a Israele
Analisi di Fiamma Nirenstein, Gian Micalessin

Testata: Il Giornale
Data: 12 dicembre 2017
Pagina: 11
Autore: Fiamma Nirenstein - Gian Micalessin
Titolo: «L'islam e Gerusalemme: una città senza valore sacra per ordine di Arafat - La Palestina infiamma un nuovo fronte del terrorismo»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 12/12/2017, a pag.11, con il titolo "L'islam e Gerusalemme: una città senza valore sacra per ordine di Arafat" l'analisi di Fiamma Nirenstein; con il titolo "La Palestina infiamma un nuovo fronte del terrorismo", il commento di Gian Micalessin.

Ecco gli articoli: 

Fiamma Nirenstein: "L'islam e Gerusalemme: una città senza valore sacra per ordine di Arafat"

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Fiamma Nirenstein

In questi giorni l'agguato dei media a qualsiasi ghiotto segnale che tutto da queste parti può prendere fuoco e esplodere in una carneficina, è stato commovente. Una passione che ha portato a esaltare ogni manifestazione, ogni piccolo falò di bandierine e ritratti come fossero una rivoluzione. In realtà anche il numero dei palestinesi coinvolti, salvo forse che il venerdì alla Moschea, è stato contenuto, la gente ha voglia di vivere e lavorare e per ora i leader sembrano distanti dal sentimento popolare. Ma il nome magico Yerushalaim, Jerusalem, Al Quds in arabo, sempre accompagnata dalla formula un po' stanca «sacra alle tre religioni» è diventata un passepartout che garantisce lettori, ascoltatori specie quando «prende fuoco» come si dice. E perché prende fuoco? Anche qui la lettura sembra ovvia, ma in realtà lo è meno di quel che si immagina. Sempre si ripete che la città è sacra alle tre religioni. Ma questo non basterebbe senza una miccia politica. La ragione sta nel fatto che l'Islam non può accettare che Gerusalemme non sia interamente sua. Lo ripetono anche i manifestanti «collo spirito, col sangue, ti difenderemo Gerusalemme», lo slogan che la Moschea di Al Aqsa sia in pericolo è un mantra caro ai terroristi suicidi che corrono a salvarla anche se lo status quo conserva la Spianata delle Moschee giorno dopo giorno. Ma Gerusalemme non è mai citata nel Corano e se ha avuto un'indubbia valenza politica per l'Islam conquistatore, meno ne ha avuto per l'Islam religioso. Finché diventa politico. La conquista araba nel 638 ha dato una sua impronta a quella che era stata per un millennio la capitale ebraica, conquistata dai romani nel 70, poi gestita dai Bizantini. Ma né gli ottomani né i giordani ne hanno fatto una capitale; al contrario anche sotto l'impero ottomano che inizia nel 1517 per passare la mano agli inglesi solo nel 1917 è stata periferica e negletta, nonostante le bellissime moschee. La città che al tempo del Secondo Tempio aveva 200mila abitanti, quando arrivarono i Turchi era scesa a 10mila. Gli ebrei, in genere bistrattati coi cristiani se non nel primissimo periodo sotto Omar, si abbarbicarono alla loro città santa, citata nella Bibbia più di 600 volte, nonostante le persecuzioni. Erano maggioranza già nell'800. Mecca e Medina sono per secoli le città sante per i musulmani. Il filosofo Ibn Taymyya vissuto all'inizio del '300 sostenne che l'esaltazione di Gerusalemme era giudeizzazione da rifiutare. Chi sostiene che la santità della città deriva dal viaggio notturno del profeta sul cavallo Al Buraq, contrasta con chi sostiene che quella città non è Gerusalemme. Nel 680 il califfo di Damasco decise di costruire un tempio sulla Rocca di Gerusalemme, il monte del Tempio, e di suggerire pellegrinaggi nel luogo per contrapporlo per motivi politici alla santità di Mecca e Medina. Ma Gerusalemme è rimasta in secondo piano fino alla guerra del '67 in cui Israele la unificò vincendo l'attacco di tutti i Paesi arabi coalizzati, compresa la Giordania che occupava mezza città. Da quel momento cresce di fronte alla disillusione araba la distanza del mondo arabo dalla leadership nazionalista e progressista (come Gamal Nasser, il grande sconfitto) e cresce vertiginosamente insieme al rifiuto di Israele, il ricompattamento intorno a temi religiosi. È da allora che si costruisce da parte della leadership palestinese che presto si definirà intorno alla figura di Arafat la potenza suggestiva e religiosa di Gerusalemme, anche per chiamare l'aiuto del mondo arabo alla propria causa. Arafat cominciò a invocare il martirio per Gerusalemme; fece di questa città la bandiera islamica più condivisibile contro Israele e l'Occidente, seguito a ruota dal conformismo terzomondista e antisraeliano dei tanti che non aspettavano altro prima nel mondo comunista, poi in Europa.

Gian Micalessin: "La Palestina infiamma un nuovo fronte del terrorismo"

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Gian Micalessin

Il grande interrogativo nascosto dietro il fallimentare attentato di New York è il movente. Analisti e investigatori devono capire se il bengalese Akayed Ullah intendeva vendicare le sconfitte dell'Isis a Mosul e Raqqa o se, invece, come ha sostenuto ieri sera la Cnn, è stato spinto ad agire in tutta fretta dallo stesso Isis dopo il riconoscimento di Gerusalemme da parte di Trump. La differenza non è da poco. Un attentato di rappresaglia per le batoste siriano-irachene s'inserirebbe nella scia di quello del 31 ottobre quando un furgone guidato da un lupo solitario uzbeko falciò otto vite su una ciclabile della Grande Mela. Un attentato nel segno di Gerusalemme rappresenterebbe una faccenda ancor più seria. I soli cinque giorni trascorsi dall'annuncio di Trump indicherebbero un'inedita fretta di colpire. Una fretta sintomo della competizione accesasi nella galassia del terrore jihadista non appena Gerusalemme e la moschea di Al Aqsa sono diventati il centro dello scontro con l'America. Inizialmente la causa non riscaldava i cuori dei terroristi di Al Baghadi. «Gerusalemme è nelle mani degli ebrei, ma solo ora che i Crociati la dichiarano loro capitale la gente piagnucola», commentava cinque giorni fa un loro sito invitando invece a colpire i paesi arabi colpevoli di «proteggere gli ebrei dai colpi dei mujaheddin». Le migliaia di messaggi anti-americani fioccati sui siti jihadisti possono aver indotto l'Isis a cambiar strategia. Anche perché i concorrenti di Al Qaida si sono subito offerti di catalizzare la rabbia per la Città Santa. Mentre Hamza Bin Laden, il 28enne rampollo di Osama da poco ai vertici del gruppo, faceva concorrenza diretta esibendosi in una sfuriata anti-saudita, le altre succursali della franchising alqaidista - dalla Siria all'Afghanistan, dallo Yemen al Mali - mettevano nel mirino gli Usa. Proprio la paura di ritrovarsi isolati dopo le disfatte siriano-irachene e di regalare consensi e militanti ad Al Qaida possono aver indotto Al Baghdadi e i suoi ad affidarsi al primo volontario su piazza spingendolo a improvvisare un attentato. Ma da quell'attentato rischia di prender forma un nuovo vivaio del jihad. A cui, nel nome di Gerusalemme, potranno attingere l'Isis ma anche la vecchia Al Qaida e altri gruppi. Avviando un'imprevista proliferazione del terrore.

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