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Il Giornale Rassegna Stampa
14.11.2017 Tutti a tavola! Il boom in Italia dei cibi kasher
Analisi di Stefano Filippi

Testata: Il Giornale
Data: 14 novembre 2017
Pagina: 25
Autore: Stefano Filippi
Titolo: «L'affare kosher»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 14/11/2017, a pag. 25-27, con il titolo "L'affare kosher" l'analisi di Stefano Filippi.

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È un vero mangiare da Dio, preparato, cotto, conservato e servito come l'Onnipotente comanda. I primi libri dell'Antico Testamento ci tramandano un lungo elenco di prescrizioni alimentari che i più osservanti nel popolo ebreo rispettano da tremila anni. Un insieme di regole che vanno sotto il nome di cibo kosher, cioè consentito, idoneo, conforme alla legge della religione ebraica. Ma non è soltanto per ossequio al Padreterno che la dieta kosher si sta facendo largo sulle tavole degli italiani. Secondo una ricerca dell'osservatorio Immagino della Nielsen, istituto specializzato nell'analisi su consumi e abitudini alimentari, l'acquisto di prodotti kosher nel 2016 è cresciuto del 7,8%. E non è che le sinagoghe italiane si siano riempite in misura analoga. Il prodigio del cibo divino - miracolo nel miracolo - è avvenuto in un periodo in cui la spesa degli italiani ristagna. Soltanto negli ultimi mesi del 2017 l'Ismea ha colto un'inversione di tendenza dopo cinque anni caratterizzati dal segno meno: l'incremento medio è del 2,5 per cento, con una prevalenza dei prodotti confezionati (+3,2 per cento) rispetto ai freschi (+1,1). È un indice di ripresa che segnala anche un cambiamento nel carrello della spesa, con acquisti più attenti e più consapevoli. L'andamento segue quello delle tendenze recenti, con una grande espansione dei cibi biologici, vegani, privi di intolleranze alimentari, e anche halal, rispettosi della tradizione islamica, e appunto kosher. Sono consumatori avveduti, a reddito alto, trasversali alle classi d'età.

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Per qualcuno può essere una moda, un ultimo trend da seguire; più spesso si tratta di persone che soffrono di qualche allergia, per esempio al lattosio o al glutine, e pensano di aggirare le restrizioni alimentari affidandosi a prodotti alternativi. Qualcuno è attratto dal richiamo spirituale: un nutrimento dell'anima oltre che del corpo. Per gli ebrei osservanti i precetti kosher sono definiti «statuti», ovvero leggi divine incomprensibili all'intelletto. E l'ossequio a un comando celeste senza capirne il motivo è un segno di abbandono a Dio. Ma soprattutto c'è molta gente per cui il cibo «free» è garanzia di igiene e salute. Gli alimenti kosher rispondono anche a queste esigenze. Sono conformi a regole codificate da secoli, molto scrupolose, che riguardano non soltanto le materie prime ma anche la loro preparazione, la cottura, la conservazione, la distribuzione: tutta la filiera è sotto il controllo delle autorità rabbiniche che devono rilasciare una certificazione tanto al prodotto quanto alla fase produttiva.

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IL RITUALE Che cos'hanno di così speciale i cibi biblici da raccogliere tutto questo successo al supermercato e in tavola? Sono privi di grassi animali e anche gli altri grassi, oltre agli additivi come coloranti e conservanti, sono sottoposti a controlli minuziosi. Seguono prassi dietetiche efficaci, come evitare carne e latticini (burro, besciamella, formaggi) nello stesso pasto, un abbinamento che renderebbe più problematica la digestione. Ma comunicano anche un senso di maggiore sicurezza alimentare. L'etichetta, per esempio, è completa e trasparente. L'animale macellato secondo i dettami della Torah dev'essere ucciso senza soffrire, interamente dissanguato e lavorato in cucina con utensili (coltelli, pentole, forni) distinti da quelli usati per gli altri cibi. Il rituale kosher è un processo super controllato e igienicamente garantito. I mammiferi ammessi devono essere ruminanti e avere lo zoccolo fesso: bovini, capre, agnelli. Vietati maiale, cavallo, coniglio. Ammessi pollo, anatra, tacchino. Attenzione al pesce, che deve avere pinne e squame: proibiti l'anguilla, lo storione (e il caviale), il pesce spada, i frutti di mare. Devono essere certificati anche i prodotti che entrano a contatto con la pelle e possono essere ingeriti involontariamente o penetrare nel corpo, come cosmetici, detersivi per lavapiatti, detergenti per le pulizie di casa, piatti di plastica, spugnette. I profumi devono essere privi di alcol etilico derivato da cereali; creme e dentifrici non possono contenere grassi animali; i rossetti devono durare a lungo perché di sabato, giorno sacro per gli ebrei, è vietato truccarsi. Nel make-up va utilizzato un pennello per ogni colore per non mescolare i colori tra loro. I siti che vendono articoli kosher on line hanno un campionario sconfinato. Le prossime frontiere sono quelle della tracciabilità nelle aziende farmaceutiche che producono integratori alimentari e anche i colossi petrolchimici da cui si ricava la paraffina che può essere impiegata per produrre cosmetici. Ma anche in casa, e non solo all'interno delle aziende alimentari o cosmetiche certificate, vanno seguite regole precise per non rendere impuro ciò che si mangia: per esempio, lavare la lattuga foglia a foglia, setacciare la farina per eliminare i piccoli insetti, controllare che le uova non contengano tracce di sangue. E ci vuole attenzione anche alle etichette: non sempre segnalano dettagliatamente tutti gli ingredienti.

ALTA QUALITÀ Negli Stati Uniti un sondaggio ha rivelato che i consumatori comprano kosher perché è sinonimo di sicurezza alimentare, standard di qualità e controllo della filiera. Soltanto il 10 per cento ha alle spalle motivazioni religiose, compresi i musulmani che possono mangiare kosher, più rigido dell'halal (ma non viceversa). Il mercato kosher americano è uscito dalla cerchia dei supermercati di settore, ha conquistato le maggiori catene della grande distribuzione alimentare compresi i servizi di consegna a domicilio e così ha toccato i 200 miliardi di dollari quando una quindicina di anni fa, nei primi anni '90, non raggiungeva i 40. Significa che oggi un terzo dei cibi confezionati venduti dalla grande distribuzione Usa risponde ai rituali giudaici con 250mila tra alimenti e bevande, nonostante che gli ebrei (6,4 milioni di persone) rappresentino il 2 per cento dei 322 milioni di abitanti degli Stati Uniti, e i rigidi osservanti siano molti meno. La crescita in Italia è legata anche alla presenza di visitatori stranieri che chiedono ristoranti, fast food e piatti kosher. Se ne trovano soprattutto nelle capitali del turismo e nei quartieri ebraici. La convivenza spinge anche a elaborare nuove ricette e «meticciare» quelle tradizionali, come dolci senza lievito, hamburger senza maiale, le spezie usate per insaporire invece del sale, la pasta alla carbonara con carne secca di manzo soffritta al posto della pancetta e una bella grattugiata di parmigiano reggiano «chalav Yisrael». Esiste anche quello, assieme al salame senza maiale (ma con manzo e tacchino) e la gelatina senza cotenna: viene prodotto nel Parmense con latte (da bovini che non hanno subito interventi chirurgici), caglio (di vitello macellato come si deve), sale e l'intera procedura di lavorazione sotto supervisione rabbinica. Il caseificio che lo produce, Bertinelli di Noceto, ha decuplicato in fatturato in dieci anni e ora ha messo in vendita anche il formaggio vegetariano, privo di lattosio e di glutine.

AFFARI PLANETARI Per le aziende alimentari italiane ottenere la qualificazione kosher significa la possibilità di conquistare nuovi mercati all'estero e supermercati e ristoranti frequentati dai consumatori più attenti alla qualità. Sul portale Kosheritalianguide.it, promosso dal ministero dello Sviluppo economico con Federalimentare, Federbio, Unione delle comunità ebraiche e Centro islamico culturale assieme alle Fiere di Parma, risultano 177 aziende italiane certificate. «Un'azienda alimentare che voglia espandersi all'estero non dovrebbe rinunciare a certificarsi», dice Marco Mansueto, tra i referenti italiani dell'americana Orthodox Union (il maggiore ente certificatore al mondo) e autore del libro Conoscere il kosher. Ma in generale il bollo di garanzia ebraico è un business planetario, come prova la disputa che si accese quattro anni fa attorno all'assegnazione del suffisso «kosher» per i siti internet di vendita on line di prodotti. Cinque organizzazioni, tra cui la stessa Orthodox Union, hanno fatto cartello contro la Kosher marketing assets Llc, agenzia rabbinica che ne aveva chiesto la titolarità. Il dominio è stato affondato, al contrario della concorrenza tra i certificatori.

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