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Il Giornale Rassegna Stampa
16.01.2017 Dalle carceri arrivano le voci dell'odio islamista
Commento di Gian Micalessin, Alberto Giannoni intervista Maryan Ismail

Testata: Il Giornale
Data: 16 gennaio 2017
Pagina: 4
Autore: Gian Micalessin - Alberto Giannoni
Titolo: «Isis, in carcere le voci dell'odio: 'Deve scoppiare tutta l'Italia' - 'Servono più controlli, con i cattivi maestri si diffonde il fanatismo'»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 16/01/2017, a pag. 4, con il titolo "Isis, in carcere le voci dell'odio: 'Deve scoppiare tutta l'Italia' ", il commento di Gian Micalessin; con il titolo "Servono più controlli, con i cattivi maestri si diffonde il fanatismo", l'intervista di Alberto Giannoni a Maryan Ismail, ex dirigente Pd.

Rimandiamo alla pagina di IC di ieri (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=253&sez=120&id=65052) con la prima parte dell'indagine di Gian Micalessin su islamismo e carceri italiane fondamentale per capire chi sono i musulmani detenuti oggi in Italia e come vengono indottrinati.

Ecco gli articoli:

Gian Micalessin: "Isis, in carcere le voci dell'odio: 'Deve scoppiare tutta l'Italia' "

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Gian Micalessin

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Un imam di fronte ad alcuni detenuti musulmani in Italia

«Se dovesse passare un agente di custodia, una donna, un medico, questi non sono nulla davanti a Dio. L'agente di custodia è un cane infedele e finirà all'inferno». Sono le voci dell'odio. Voci che riecheggiano quotidianamente dietro le sbarre delle nostre prigioni. Incoraggiate da alcuni dei 148 sedicenti imam che predicano nelle carceri e vengono identificati nel documento segreto del Dipartimento amministrazione carceraria di cui il Giornale pubblica alcuni stralci. Ma quelle voci non sono vacue esternazioni. Come spiega l'«Analisi di contesto e scenario 2016» sul fenomeno della radicalizzazione nelle carceri, quelle parole e quelle tesi servono a manipolare i detenuti musulmani «convincendoli a odiare coloro che professano altre fedi religiose». Per capirlo ecco i passi di una «preghiera collettiva», citata nel documento, in cui un imam, ascoltato e registrato dal Nucleo Investigativo Centrale invita a denunciare i collaboratori delle forze dell'ordine e a mantenere atteggiamenti omertosi.

«Chi collabora con le forze dell'ordine come informatore, devi raccontare quello che ha fatto. Mentre chi ruba, dice bugie, fa un omicidio, tu non devi andarlo a raccontare. Imparate a non raccontare i fatti dei vostri fratelli». Lo stesso imam in un'altra parte della predica insegna a disprezzare la civiltà europea. «In tutta l'Europa non c'è pudore né rispetto, è pieno di malattie e d'immoralità». Passaggi che gli analisti del Dap interpretano come «un chiaro esempio d'intolleranza per qualsiasi religione che non sia quella musulmana», per far capire che «chiunque non sia seguace di questo culto è un miscredente, un alleato di Satana e pertanto un nemico di Dio». La radicalizzazione passa insomma attraverso le prediche dell'odio disseminate da alcuni imam durante le preghiere quotidiane seguite dai 7.646 musulmani delle nostre galere. E per capire come le prediche dei cattivi maestri rischino d' influenzare le menti degli 11mila detenuti provenienti da Paesi di religione musulmana ecco i passaggi dell'analisi del Dap, in cui un criminale comune spiega la progressiva adesione delle tesi dello Stato Islamico. «In tale luogo il ristretto avrebbe conosciuto delle persone che lo ascoltavano e superavano l'afflizione della pena rivolgendosi a Dio. La fede li univa, e mentre lui cercava di rispondere in maniera sempre più solerte ai dettami del Corano, cresceva nel gruppo l'odio nei confronti dei loro carcerieri e di tutti quelli che mancavano nei loro doveri verso Dio.

In questo momento sarebbe cambiata radicalmente la sua mentalità portandolo anche a pensare che chiunque non avesse rispettato la sharia avrebbe meritato la morte per decapitazione». Atteggiamenti da cui scaturiscono le numerose manifestazioni di esultanza con cui, come ammette l'analisi del Dap, sono state salutate le stragi dell'Isis in Europa. «Il detenuto, a voce alta, a seguito degli attentati di Parigi dell'11 novembre 2015, pronunciava frasi quali: Li dobbiamo fare fuori tutti, noi siamo i più forti prima i francesi e poi anche gli italiani. E poi ancora: Adesso tocca agli italiani, simulando l'esplosione di colpi da arma da fuoco». Ma gli esempi citati dall'analisi del Dap non si fermano qui. «Nella sera del 22 marzo 2016 alcuni detenuti hanno esultato per l'attentato terroristico di Bruxelles.

Gli stessi, infatti, venivano sorpresi in camera a festeggiare ballando e gridando je suis Paris, je suis Bruxelles. Ascoltando il telegiornale che parla dei fatti di Parigi del 13 novembre 2015 il detenuto ha esultato con urla di gioia per oltre cinque minuti. Fonte confidenziale riferivano che un detenuto, durante la visione in tv della notizia dell'accoltellamento di 8 persone in un centro commerciale in Minnesota rivendicato dall'Isis, ha applaudito dicendo «ha fatto bene, Allah lo ricompenserà sicuramente. Se io fossi fuori farei una cosa peggiore al costo di morire perché andrei in Paradiso». La stessa fonte riferiva che un altro detenuto nell'apprendere della bomba scoppiata a New York esultava con le mani, alzando la testa al cielo e dicendo «Deve scoppiare tutta l'Italia». Passi inquietanti che raccontano come, prima dell'Italia, rischiano di scoppiare le sue carceri.

Alberto Giannoni: "Servono più controlli, con i cattivi maestri si diffonde il fanatismo"

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Maryan Ismail

Milano - Maryan Ismail, antropologa italo-somala, ex dirigente Pd, donna simbolo di un possibile islam diverso, le carceri diventano terreno di caccia di fanatici e cattivi maestri. «Gli incontri avvengono in spazi di preghiera, diritto dei detenuti, ma parlando in arabo non si comprende il contenuto di sermoni e riflessioni su versetti. Serve controllo, con personale conosciuto dalla polizia penitenziaria. Altro punto le scelte che si fanno».

Di quali scelte parla? «Il governo sembra aver imboccato una corsia preferenziale verso una sola componente: il ministro Orlando ha firmato un'intesa con l'Ucoii per la formazione della polizia penitenziaria. A Milano San Vittore, invece, si lavora con Coreis e vicario episcopale».

Percorsi con esiti diversi? «Due pesi e due misure. Nel tavolo interreligioso delle comunità islamiche al Viminale sono tutte rappresentate. Ma un altro ministero lavora solo con l'Ucoii. Non si capisce. Noi lamentiamo questa predominanza, a tutti i livelli».

Ma chi sono questi imam? «Gli imam che abbiamo in Italia in arabo si chiamano khatib e guidano la preghiera. Si propongono e le comunità li accettano. Gli imam sono figure moto importanti, pur non avendo noi una gerarchia ecclesiastica. Possono avere indirizzo giuridico, e valutano l'applicazione della sharia, o teologico per guidare su temi religiosi. Quando si parla di imam si deve distinguere, in Italia e in Europa c'è una grande confusione, il khatib viene chiamato a fare l'imam senza averne gli strumenti e dopo un po' di anni esercita dei poteri. Questo va chiarito scegliendo una formazione diversa. Soprattutto noi donne vogliamo questo, una lettura adeguata alla vita moderna. Siamo nel 2017».

Questa confusione facilita il fanatismo? E ragazzi in carcere non hanno strumenti per opporsi al lavaggio del cervello? «Certo, chiunque può ergersi a portatore della Verità. Si convincono di seguire le cose alla lettera, da qui c'è il salto verso un'islamizzazione estremista delle comunità, con una lettura salafita, di ritorno alle origini, che mescola il giuridico e il teologico in modo non consono. Ci sono ragazze che mettono il velo in Italia perché c'è un indirizzo preciso nelle moschee. E oggi la stragrande maggioranza delle moschee ha questo indirizzo. Il presidente dell'Ucoii Izzedin Elzir dice che hanno 196 moschee in Italia».

E questo predominio coincide con questo indirizzo? «Generalmente sì. E questa visione univoca dell'islam azzera le tradizioni di origine. Se vediamo i muridi senegalesi, le donne che uscono dalle moschee hanno trecce e capelli al vento».

Cosa propone per gli imam? «Formazione, controlli, certificazione, un albo. Se nei nostri Paesi vengono chiuse le moschee salafite, perché qui dobbiamo avere timore di registrare ciò che si dice in carcere? Io musulmana chiedo il massimo della sicurezza, visto che noi siamo le prime vittime».

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