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Il Foglio Rassegna Stampa
11.12.2023 Ridere di rabbia e di dolore
Commento di Micol Flammini

Testata: Il Foglio
Data: 11 dicembre 2023
Pagina: 5
Autore: Micol Flammini
Titolo: «Ridere di rabbia e di dolore»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 11/12/2023, a pag. 5, con il titolo "Ridere di rabbia e di dolore", l'analisi di Micol Flammini.

Micol Flammini
Micol Flammini
L'intervista satirica della Bbc al leader di Hamas Sinwar
L'intervista satirica della Bbc al leader di Hamas Sinwar, realizzata dal programma Eretz Nehederet

Si ride di divertimento, di imbarazzo, di nervoso. Si ride fino a sentire tirare gli addominali o i muscoli del volto. Si ride fino a star male. Si ride perché si ha voglia, perché si è divertiti. Si ride perché è una scappatoia. Si ride fino alle lacrime. Si ride per farla breve, per ingannare, per accogliere. Si ride di gioia, di ansia e si ride anche di dolore. In Israele dal 7 ottobre si ride molto e soprattutto di rabbia. Negli studi del programma satirico “Eretz Nehederet” ogni settimana si prepara il racconto di un pezzo di storia del paese mentre accade. La trasmissione ha vent’anni di esperienza, sa bene di cosa ridere, sorridere e sbellicarsi. Si è beffata di primi ministri, presidenti, politici e cittadini, in un paese in cui gli show satirici sono sempre andati molto bene. Ma ridere oggi è diverso, si fa stringendo i pugni, perché oltre allo scherzo c’è un brivido di incredulità e di collera che non può andare via in fretta. Muli Segev è l’autore storico di “Eretz Nehederet”, dirige gli attori con calma e precisione, aggiusta le battute, consiglia. La registrazione sembra un rito, mentre gli attori sono seduti per interpretare l’ultimo sketch in inglese dedicato alla mancata condanna da parte dell’Onu alle violenze sessuali compiute da Hamas il giorno dell’attacco, non si ride. Tutti sono consapevoli che in quell’istante si sta girando qualcosa di potente e che la satira di oggi fa male. “Ne abbiamo passati molti di momenti difficili, come le guerre o la pandemia. Non è semplice scegliere su cosa ridere e scegliere il momento giusto per farlo. Dopo il 7 ottobre non eravamo affatto dell’umore per ridere, ma sentivamo che avremmo dovuto riprendere lo spettacolo”, racconta al Foglio Segev. Ricominciare era un segnale di forza e di resistenza. Segev li ha contati tutti i giorni in cui lo show si è fermato: “Siamo andati in onda dopo diciannove giorni e poi ci siamo resi conto che era esattamente lo stesso numero di giorni che ha impiegato il ‘Saturday night live’ per ricominciare dopo l’11 settembre. Forse è il tempo di cui ha bisogno la satira per rinascere dopo la tragedia”. Il primo show parlava del ritorno dei riservisti, dell’unità ritrovata di Israele. Liat Harlev, che nello show veste i panni della giornalista della Bbc che solidarizza con la dura vita da recluso del leader di Hamas Yaya Sinwar, della contrita vicedirettrice dell’agenzia dell’Onu preposta a tutelare i diritti della donne che inventa la parola “rapesistence” per scagionare gli stupri dei terroristi, della studentessa del campus americano che invita un miliziano negli Stati Uniti canticchiandogli lo slogan “from the river to the sea Palestine will be free”, non era pronta a ricominciare. “Ero stata investita come tutti da un dolore troppo grande e non pensavo che avremmo potuto riprendere a scherzare. Poi ho visto cosa avremmo fatto, ho capito che era giusto. L’umorismo è una medicina ebraica e il nostro spettacolo non è una risposta al lutto, non si può rispondere a uno strazio così acuto. E’ un segnale di ripartenza e di vita”. In Israele gli spettacoli come “Eretz Nehederet” sono ritenuti indispensabili per affrontare la realtà, “quando passi per periodi difficili, hai paura, sei arrabbiato, provi di tutto e un modo per affrontarli è ridere. Gli israeliani amano guardare le notizie e amano la satira, dice Segev, credo sia una reazione molto israeliana e molto ebraica”. Segev ricorda che il programma ha accompagnato il paese in tutti questi anni, ha scherzato e fatto arrabbiare. Ma la satira ha i suoi tempi di reazione, a volte deve aspettare, deve fiorire. Non sempre trova il suo spazio tra le notizie e per esempio, durante la settimana della tregua, quando tutta Israele aveva gli occhi incollati alla televisione per attendere il rilascio degli ostaggi, lo spettacolo non è andato in onda: non c’era spazio, non era il momento, era il tempo del silenzio.

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