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Il Foglio Rassegna Stampa
27.10.2017 Parafascisti non immaginari
Recensione e analisi di Alessandro Dal Lago

Testata: Il Foglio
Data: 27 ottobre 2017
Pagina: 4
Autore: Alessandro Dal Lago
Titolo: «Parafascisti non immaginari»

Riprendiamo dal FOGLIO di ieri, 26/10/2017, a pag. IV, con il titolo "Parafascisti non immaginari", l'analisi di Alessandro Dal Lago, con alcuni stralci dal quarto capitolo del suo libro “Populismo digitale. La crisi, la rete e la nuova destra” (Raffaello Cortina Editore, 170 pp. 14 euro).

A destra: la copertina

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Alessandro Dal Lago

Non c’è molto da ridere sulla diffusione, in un paese che resta per il momento la settima potenza economica al mondo, di un atteggiamento che ricorda l’adorazione di un tifoso di calcio verso il suo idolo sportivo o degli adolescenti per una rockstar. Ma il problema principale è: come ha potuto il comico in questione crearsi un simile seguito adorante – e soprattutto cavare dal nulla un movimento politico votato stabilmente dal 30 per cento degli elettori e che si candida a governare l’Italia? La risposta più diffusa riguarda la capacità iniziale di Grillo (e successivamente del suo spin doctor Gianroberto Casaleggio) di interpretare gli umori profondi della società italiana nel nuovo millennio e di trasformarli in consenso politico. Già nel 2007, Grillo organizza i Vaffanculo-Day o V-Day, manifestazioni di sostegno alla campagna “Parlamento pulito”, che aveva lo scopo di escludere, mediante una legge di iniziativa popolare, i condannati a pene superiori a 10 mesi di carcere e di limitare a due i mandati parlamentari. Se la campagna avesse avuto successo un terzo dei deputati e dei senatori italiani avrebbe dovuto essere cacciato. Fin dall’inizio l’iniziativa era stata pensata per suscitare intorno a Grillo l’interes - se più ampio possibile, mediante il ricorso incessante a Internet e alla pubblicità sui media stranieri (tra cui un’inserzione a pagamento sull’International Herald Tribune). Infatti, anche se la proposta di legge si è arenata – per il boicottaggio di gran parte degli altri partiti –, il suo successo nell’opi - nione pubblica è stato clamoroso: poco meno di 350.000 firme di approvazione in un giorno.

Anche il simbolismo del V-Day era stato studiato per attrarre il maggior numero possibile di seguaci. La sigla alludeva, oltre che a “Vaffanculo”, ai giorni della Vittoria festeggiati in varie parti del mondo, a V per Vendetta (titolo di un film popolarissimo tra i giovani) e al D-Day, lo sbarco in Normandia. Anche la denominazione ufficiale del M5s, MoVimento, riprende questo simbolismo. Grillo ha intercettato l’odio, se non altro verbale, che una parte consistente della società italiana prova da anni per il “sistema”, cioè per i politici di professione senza distinzione di parte, odio esacerbato dalla crisi economica del 2008. Insieme a questo aspetto, è stata decisiva anche l’intuizione dell’apparente superamento – tipicamente peronista e para-fascista – dell’opposizione destra-sinistra. Se la propaganda iniziale di Grillo si schierava in senso genericamente ecologista (proprietà pubblica dell’acqua, connettività universale, difesa dell’ambien - te, energie rinnovabili, sviluppo sostenibile, ovvero le “stelle” del movimento), con la creazione del blog (2005) e la fondazione del M5s (2009), il programma politico del comico ha incluso come bersaglio qualsiasi oggetto della protesta e del rancore dei cittadini: alta velocità, sicurezza urbana, crisi economica, sistema bancario, povertà, invasione degli immigrati, burocrazia europea e soprattutto corruzione politica e amministrativa.

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Beppe Grillo con i baffi di Hitler

In questo senso, la fondazione del MoVimento era una naturale prosecuzione dei monologhi comico-politici che Grillo ha portato per anni in giro per l’Italia. Anche il linguaggio del Grillo politico riprende in tutto e per tutto lo stile dei suoi spettacoli: diretto, iperbolico e sboccato (“cazzo” e “vaffanculo” sono gli intercalare più frequenti nei comizi e nei post sul blog). “Man - diamoli tutti a casa” e “Tutti in galera” erano gli slogan elementari e ossessivi che probabilmente hanno consentito a Grillo di vincere le elezioni politiche del 2013. Consultando a caso il blog, si vede facilmente come questo stile sia il contrassegno costante della comunicazione politica di Grillo e del M5s. Cito alcuni titoli dei post pubblicati dal 6 al 9 giugno 2016. “Il gioco della paura”, “Disastro geopolitico”, “Chiesti 5 anni di carcere per l’ex capogruppo pd in Emilia Romagna”, “La politica ha deciso: la sanità pubblica deve morire”, “Legge elettorale: ecco come sono andate veramente le cose”, “Quell’auto blu comprata con i soldi delle multe stradali dei cittadini”, “Il MoVimento rifiuta la pensione privilegiata, gli altri se la tengono”, “A Roma la mafia non mangia più: l’inizio della fine dei campi rom”. Una comunicazione iper-semplificata, sensazionalistica, ammiccante, ricalcata su quella pubblicitaria e soprattutto rivolta a un pubblico fedele che vuole leggere quello che sa già: che i politici sono malvagi e corrotti, che Grillo ha soluzioni per tutto, che il M5s amministra benissimo le città in cui è al governo e così di seguito. Se vogliamo, una comunicazione in tutto e per tutto simile, al di là dei diversi strumenti impiegati, a quella di Donald Trump. Questo stile non informa, ma conferma – e quindi forma. Una formazione circolare, tautologica. Riprendendo ossessivamente le preoccupazioni dei cittadini, citando letteralmente le loro parole come si possono leggere nei commenti su Internet e nello stesso blog, la comunicazione del M5s finisce per far credere ai lettori che siano loro a pronunciarsi e quindi che il blog – e di conseguenza il MoVimento – sia in tutto e per tutto cosa loro.

La comunanza tra M5s e popolo è ovviamente immaginaria. Ma che significa “immaginaria”? Nel mondo reale e in quella enclave del mondo reale chiamata “sistema politico”, il M5s agisce come qualsiasi altro partito autoritario. Il capo non tollera che emergano leader locali indipendenti. I parlamentari dissidenti vengono espulsi o costretti ad abbandonare il M5s (poco meno di 40 in quattro anni). Il movimento si divide in correnti che si combattono aspramente (“ortodossi contro” “pragmatici”, per citarne un paio). I leader più visibili vengono regolarmente impallinati. In Parlamento, il M5s tratta con gli altri partiti, come è inevitabile, e nel caso partecipa all’elaborazione di leggi condivise (unioni civili, legge elettorale), salvo poi ritirare l’appoggio per motivi non chiari – ma che sembrano dipendere dall’obiettivo di mantenere un profilo “pu - lito”, estraneo cioè alle consuete manovre parlamentari. Insomma, il M5s è un partito come gli altri – forse peggiore, se si considera la mancanza di democrazia interna e di trasparenza. Eppure, l’immagine dominante che produce di sé, e che è confermata dai commenti dei seguaci sui blog e sui social network, è quella di un movimento radicalmente “diverso”, democratico e senza conflitti. Come è possibile, in questo caso, l’abissale differenza tra reale e immaginario? Una prima risposta è che, in quanto movimento che agisce soprattutto nella sfera digitale, il M5S è stato capace – e in parte lo è ancora – di diffondere in rete con successo un’immagine di sé del tutto diversa dal suo funzionamento reale. Sul blog di Grillo non si accenna mai ai conflitti interni. I contributi esterni vengono pubblicati solo se in linea con il pensiero di Grillo.

I post sono sempre assertivi, autocelebrativi, apologetici. Certo, è propaganda politica come qualsiasi altra. Il blog di Grillo, come ho già dimostrato (Dal Lago, 2013), è specializzato in notizie urlate, ammiccamenti alla pancia degli elettori, appelli demagogici agli “ita - liani”, insulti agli altri partiti e così via. Uno stile comunicativo abbastanza simile a quello di Trump. Ecco un esempio clamoroso. Nel giugno 2016, la sconosciuta avvocatessa Virginia Raggi, candidata del M5s, conquista trionfalmente, con il 68 per cento dei voti al ballottaggio, la carica di sindaco di Roma. Un evento sensazionale che attira su Raggi l’interesse dei media di tutto il mondo. Grillo gongola, dichiara la fine degli altri partiti e pone ufficialmente la candidatura del M5s al governo del paese. Ma nel giro di pochi mesi la favola si trasforma in una penosa commedia degli equivoci e degli errori. La sindaca si rivela del tutto impreparata. Numerosi assessori si dimettono in polemica con la gestione della macchina amministrativa, affidata a personaggi a dir poco torbidi, uno dei quali è arrestato per aver favorito un imprenditore edile. I problemi tradizionali dell’amministrazione e della gestione di Roma (debiti, trasporti che non funzionano, dissesto delle strade, sporcizia e così via) si aggravano. In breve, la presunta protagonista del “rinnovamento morale” di Roma diviene, a meno di un anno dall’elezione, uno dei sindaci meno popolari della storia della città, con un gradimento del 20 per cento.

Dopo alcune incertezze iniziali, Grillo lancia una campagna di difesa della sindaca Raggi – il cui fallimento, con le possibili dimissioni anticipate, trascinerebbe nella polvere l’immagine complessiva del M5s. Tra i “successi” dell’amministrazione, il blog di Grillo vanta la soluzione della questione rom. “Questa storia si chiude qua. Ora a Roma si cambia musica. Chiusura dei campi rom, censimento di tutte le aree abusive e le tendopoli. Chi si dichiara senza reddito e gira con auto di lusso è fuori. Chi chiede soldi in metropolitana, magari con minorenni al seguito, è fuori. In più sarà aumentata la vigilanza nelle metro contro i borseggiatori. Nessuno prima d’ora aveva mai affrontato il problema in questo modo. Il servizio applicato è capillare e copre tutta la città. Iniziamo a chiudere i primi due di nove campi ancora presenti a Roma. Lo diciamo subito: ci vor-rà tempo. Queste non sono operazioni che si fanno dall’oggi al domani. Qualsiasi tecnico specializzato vi dirà che serviranno mesi. Come per tutto quello che la vecchia politica ha lasciato a Roma, anche in questo caso il MoVimento 5 stelle non ha la bacchetta magica. Ma ha la libertà di fare le cose che dovevano essere fatte 20 anni fa”.

Queste parole – che documentano la svolta verso l’estrema destra del M5s – meritano un commento. Per cominciare, si tratta di un post di raro cinismo, se non altro per omissione. Infatti, tra il 9 e il 10 maggio 2017, due bimbe e una ventenne rom venivano uccise in un incendio doloso in un campo alla periferia di Roma. Omettere che l’ennesima polemica politica e mediale sui rom è scaturita da un delitto ignobile, in cui i rom sono stati vittime, significa semplicemente cercare consensi nell’opinione pubblica xenofoba. Pochi giorni prima di questo post, la sindaca Raggi aveva detto le stesse cose: “Abbiamo a disposizione fondi che l’Unione europea ha destinato esclusivamente per le popolazioni rom, risorse che altrimenti andrebbero perdute. Li utilizzeremo per far in modo che non esistano più campi all’insegna della criminalità e dell’illegalità. Non elargiremo bonus a nessuno, ma supporteremo queste persone affinché trovino una casa normale ed escano dall’isolamento che li ha caratterizzati in questi anni. Sino a oggi hanno vissuto in ghetti che consentivano di non pagare tasse, utenze e le spese che devono sobbarcarsi tutti gli altri cittadini. Con il nostro piano, tutto ciò finirà. Con i soldi dell’Unione europea recupereremo milioni di euro dall’evasione e dall’illegalità e li metteremo a disposizione di tutti i cittadini. La mafia a Roma non mangia più”. “Questa storia si chiude qui”, “La mafia non mangia più”, “Con il nostro piano tutto ciò finirà”.

E così via. Promesse vendute come soluzioni, propaganda travestita da verità, difficoltà politiche spacciate per risolutezza. E poi che significa: “Chi si dichiara senza reddito e gira con auto di lusso è fuori. Chi chiede soldi in metropolitana, magari con minorenni al seguito, è fuori”? Fuori da dove? Dai campi, dal territorio comunale, dal paese, dal mondo? Ecco una demagogia da quattro soldi che nasconde a malapena non solo un’assoluta mancanza di idee e progetti concreti, ma anche un fondo razzista, oltre che pura e semplice ignoranza. La propaganda mediale e soprattutto digitale del M5s è dunque capace di produrre una dimensione immaginaria del proprio ruolo nella scena politica. Ma non solo perché opera in rete. Nella realtà, gli obiettivi politici del M5s non sono fatti per essere realizzati. Sono per lo più polemici, non punti di un programma politico concreto. Hanno lo scopo di suscitare l’avversione per gli altri partiti (che non si occuperebbero dei veri problemi della “gente”), non di modificare con programmi meditati, in base a un pensiero politico definito e consolidato, la situazione sociale ed economica. La conoscenza dei dossier da parte dei leader (a partire da Grillo) è quasi sempre di una pochezza imbarazzante.

Luigi Di Maio, candidato premier in un eventuale governo del M5s, non ha terminato gli studi universitari – il che contrasta con la pretesa del M5s di essere un movimento di gente competente e seria. Diversi parlamentari sono noti per dichiarazioni complottiste, gaffe e la diffusione di vere e proprie bufale: c’è chi dichiara di credere nell’esistenza di piani per controllarci con i microchip, chi ritiene che gli aerei rilascino scie chimiche dannose, chi è convinto che Osama bin Laden non sia mai stato ucciso, chi non crede che nel 1969 l’uomo sia stato sulla Luna, chi fa campagne contro i vaccini, chi non sa leggere una semplice tabella di dati sulla criminalità e così via. Alessandro Di Battista, uno dei più importanti leader nazionali del M5s, è stato citato dal New York Times come primo nella classifica dei “ballisti” del 2014. Ecco il passo in questione, che dovrebbe far vergognare non solo l’autore della bufala, ma anche tutti coloro che lo osannano come leader. “Nigeria, lo puoi leggere su Wikipedia: il 60 per cento del suo territorio è controllato da Boko Haram e il resto Ebola”. Questa ridicola affermazione di Alessandro Di Battista, vice presidente della Commissione Esteri della Camera italiana e stella nascente del MoVimento 5 stelle, ha vinto il premio della “balla più stupida dell’anno” [insane whopper of the year] nel sito Pagella politica. Chi ha controllato i fatti ha appurato che Boko Haram, anche se ha allargato la sua sfera d’influenza, non controlla un solo stato della Nigeria, e tanto meno il 60 per cento dell’intero paese. E il numero dei casi di Ebola nel paese è minimo – solo 20.

Qualche anno fa, lo stesso personaggio – che alcuni buontemponi hanno indicato come possibile ministro degli Esteri in un governo a guida M5S – ha pubblicato un post in cui proponeva di trattare i membri dell’Isis non come terroristi, ma come “interlocutori”. Certo, se un Trump è a capo del paese più potente del mondo, tutto è possibile. Ma l’idea che personaggi come Grillo, Di Maio e Di Battista vadano al governo in Italia non può che far drizzare i capelli in testa a chiunque abbia a cuore le sorti dello strano paese in cui abita.

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