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Il Foglio Rassegna Stampa
29.11.2016 Hannah Arendt, il tradimento dei chierici e la tentazione totalitaria
Luciano Pellicani risponde a Donatella Di Cesare

Testata: Il Foglio
Data: 29 novembre 2016
Pagina: 2
Autore: Luciano Pellicani
Titolo: «Hannah Arendt, il tradimento dei chierici e la tentazione totalitaria»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 29/11/2016, a pag. 2, con il titolo "Hannah Arendt, il tradimento dei chierici e la tentazione totalitaria", l'analisi di Luciano Pellicani.

Segnaliamo la Cartolina di Ugo Volli di oggi

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Luciano Pellicani                    Donatella Di Cesare

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Hannah Arendt

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Martin Heidegger

Nel suo ultimo libro, dedicato al “tradimento dei chierici” , Raymond Boudon lamentò il fatto che la bancarotta planetaria del comunismo “non aveva fatto sparire gli schemi esplicativi proposti dal marxismo”. Una conferma della preoccupazione del sociologo francese è il recente articolo di Donatella Di Cesare, pubblicato sul Corriere della Sera, nel quale si sostiene con la massima perentorietà che la tesi dei “due totalitarismi” – quello sovietico e quello nazista – formulata da Hannah Arendt “rispondeva allo spirito della Guerra fredda”. Leggere “Le origini del totalitarismo” come un’arma ideologica forgiata dalla Arendt per combattere il comunismo non può non suscitare il più grande degli sbalordimenti da parte di chi non è ottenebrato dall’assunzione di massicce dosi di quello che Simone Weil chiamava “l’oppio degli intellettuali”. In quel libro – un capolavoro della politologia del XX secolo – la Arendt aveva denunciato l’inquietante fascismo che il totalitarismo (comunista o nazionalsocialista) esercitava sui “nichilisti attivi” dominati dall’ardente desiderio di “assistere alla rovina di una società completamente permeata dalla mentalità e dai principi morali della borghesia”.

Alla stessa conclusione era giunto il grande George Orwell, osservando che “nella vita di ogni giorno la lealtà nazionalistica verso il proletariato e il più subdolo odio verso la borghesia spesso coesistevano con un trito snobismo” da parte degli “intellettuali pacifisti le cui vere – sebbene inconfessate – motivazioni erano l’odio per la democrazia occidentale e l’ammirazione del totalitarismo comunista”. Contemporaneamente, Karl Loewith constatava che “l’unica vera fede di tutti gli autentici intellettuali all’inizio del XX secolo era la negazione della civiltà esistente”, animata dalla volontà di “mettere davanti agli occhi il nulla dell’uomo moderno”. Donde la domanda che si poneva Raymond Aron: “Che fare in un paese nel quale uno dei corpi più importanti, vale a dire gli intellettuali coperti di gloria, ammirano la distruzione, senza concepire un ordine in grado di sostituire quello che vuole distruggere?”.

Dal canto suo, l’esule Tzvetan Todorov, sfuggito alla morsa del totalitarismo comunista, dopo pochi mesi del suo soggiorno parigino, giungeva a questa desolante conclusione: “Mentre da secoli i paesi occidentali hanno imboccato la via della democrazia, gli intellettuali, che in teoria rappresentano la parte più illuminata della popolazione, hanno invece optato per regimi violenti e tirannici. Se il voto fosse riservato in quei paesi ai soli intellettuali, oggi vivremmo sotto regimi tirannici”.

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