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La Stampa Rassegna Stampa
13.11.2017 Libano: non c'è stato rapimento, ecco la strategia di Saad Hariri, Mohammed bin Salman, Donald Trump
Cronaca di Giordano Stabile, commento di Rolla Scolari

Testata: La Stampa
Data: 13 novembre 2017
Pagina: 2
Autore: Giordano Stabile - Rolla Scolari
Titolo: «Libano, Hariri lancia la sfida: 'Sono libero, tornerò presto' - Il Paese dei Cedri palcoscenico di un conflitto per procura»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/11/2017, a pag. 2. con i titoli "Libano, Hariri lancia la sfida: 'Sono libero, tornerò presto' ", la cronaca di Giordano Stabile; con il titolo "Il Paese dei Cedri palcoscenico di un conflitto per procura", il commento di Rolla Scolari.

Ecco confermato dagli articoli di Giordano Stabile, Rolla Scolari che non c'è stato alcun rapimento di Saad Hariri, ma un abile gioco di squadra sotto la regia di Mohammed bin Salman, Harari stesso e Donald Trump in funzione anti-Hezbollah. L'attivismo e la strategia di bin Salman sta portando i primi risultati in un Medio Oriente sempre più stretto nella morsa sciita.

Ecco gli articoli:

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Saad Hariri

Giordano Stabile: "Libano, Hariri lancia la sfida: 'Sono libero, tornerò presto' "

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Giordano Stabile

 

 

Il premier libanese Saad Hariri promette che tornerà «presto, a giorni» in Libano e che seguirà le «procedure della Costituzione» per formalizzare le sue dimissioni inusuali, annunciate sabato 4 dall’Arabia Saudita. Un modo, spiega in un’intervista alla emittente del suo partito, Future Tv, «per dare un choc positivo» al Paese, portare a un «risveglio» e dire la «verità sulla situazione». Dopodiché si impegnerà in «nuovi negoziati» per arrivare a un governo libero dalla «interferenze straniere», cioè dall’Iran.

Hariri parla dalla sua residenza a Riad, dove si trova da una settimana, secondo la maggior parte dei libanesi e anche secondo il presidente Michel Aoun, con «una libertà ristretta». Seduto in modo informale a un tavolo davanti alla giornalista, l’anchorwoman di Future Tv Paula Yaacoubian, il primo ministro ribatte subito che «è libero di muoversi», se volesse potrebbe «partire domani», e insiste che le voci sul suo «sequestro» sono fra le tante speculazioni che circolano, comprese quelle sul perché non abbia usato il suo aereo personale, un dettaglio «insignificante».

Hariri spiega poi perché si sia rifugiato in Arabia Saudita e ancora non abbia deciso una data precisa per il ritorno. «Sto valutando con gli apparati dello Stato – precisa – la situazione della sicurezza. Io voglio proteggere tutti i libanesi, sunniti, sciiti, drusi, cristiani, ma per farlo devo prima di tutto proteggere me stesso, perché rappresento tutto il Libano» ed evoca di nuovo la morte del padre Rafik, ucciso nel 2005.

La sua sicurezza, e l’evitare che il Paese sia coinvolto in una guerra regionale, serve anche a proteggere «i 400 mila libanesi che vivono nei Paesi del Golfo». Un’allusione anche alle implicazioni economiche della crisi. Gli espatriati libanesi nel Golfo inviano ogni anno sette miliardi di dollari di rimesse nel Paese, oltre l’8 per cento del Pil. I Paesi del Golfo, ribadisce, «amano il Libano, amano Beirut» ma ci sono parti politiche che hanno aperto la strada «alle interferenze straniere» e causato la crisi.

Il riferimento è a Hezbollah e al suo coinvolgimento nelle guerre regionali, in Siria e nello Yemen, che mettono in pericolo la stabilità del Libano. Il premier insiste che era suo dovere «dire la verità al Paese», denunciare queste politiche pericolose per dare uno «choc positivo». Dice di aver fiducia in Aoun, che tutela la costituzione, e cerca di rassicurare i suoi cittadini: si impegnerà per cercare una soluzione politica, forse dopo le elezioni che dovrebbero tenersi in primavera.

Poi attacca il suo avversario politico: «Hezbollah pensa che il Libano sia importante o no? Pensa che i legami del Libano con la comunità internazionale siano importanti o no?». La strada per uscire dalla crisi, suggerisce, è quella della «neutralità», cioè il movimento sciita dovrebbe diventare soltanto una forza nazionale, senza lasciarsi coinvolgere nella politica di espansione dell’Iran in Medio Oriente.

L’intervista sembra però aver come obiettivo anche quello di rassicurare i connazionali sulla sua effettiva libertà di movimento. Ieri Aoun è tornato a denunciare che i movimenti del premier «sono limitati» e sono state «imposte condizioni riguardo i contatti che può avere, persino con membri della sua famiglia». La crisi libanese continua e sarà al centro della riunione della Lega araba di domenica prossima, chiesta con urgenza dall’Arabia saudita per discutere delle «violazioni» commesse dall’Iran nella regione.

Rolla Scolari: "Il Paese dei Cedri palcoscenico di un conflitto per procura"

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Rolla Scolari

Come siamo arrivati alla crisi di queste ore in Libano?
Il 4 novembre, durante un viaggio di routine in Arabia Saudita, il premier libanese Saad Hariri ha dato le dimissioni in diretta video da Riad. Hariri ha detto di temere per la propria vita e ha accusato le milizie sciite libanesi Hezbollah - e l’Iran che le sostiene - di destabilizzare la regione. Accadeva poche ore prima che a Riad prendesse il via una serie di arresti di principi, funzionari, uomini di affari sauditi. All’origine delle detenzioni ci sarebbe il giovane principe ereditario Mohammed bin Salman. Le autorità libanesi accusano Riad - e indirettamente l’erede al trono - di aver forzato allo stesso modo l’uscita di scena di Hariri. La sua colpa: essere alla testa di un governo in cui siede Hezbollah - assieme all’Iran sciita rivale dell’Arabia Saudita sunnita - senza contrastarlo abbastanza. I vertici sauditi negano pressioni sul premier libanese. Hariri è ancora a Riad e ha detto ieri che tornerà a Beirut a breve.

Che ruolo gioca l’Arabia Saudita in Libano?
La crisi attorno al premier Hariri rientra nella più vasta e antica faida per l’egemonia regionale tra l’Arabia Saudita sunnita e Iran sciita. La rimozione del premier sarebbe l’ennesimo tentativo di Riad di contrastare Teheran. Il Libano è uno dei teatri di scontro per procura di questa rivalità. Altrove, in Yemen, Siria, Iraq, il confronto è - attraverso milizie e gruppi paramilitari - anche apertamente armato. La sfida tra Riad e Teheran compromette ciclicamente gli equilibri del piccolo Paese levantino, già fragili a causa della variegata composizione religiosa del Libano, uscito da 15 anni di guerra civile nel 1990, e in cui convivono musulmani sunniti, sciiti e diverse confessioni cristiane. L’Iran appoggia il movimento sciita Hezbollah, che oltre a sedere nel governo e nel Parlamento libanesi è dotato di armi tanto da essere più forte dell’esercito nazionale. Ed è impegnato in Siria a fianco di milizie iraniane nel sostegno del regime di Bashar al-Assad. L’Arabia Saudita è alleata invece del campo sunnita alla testa del quale si trova la famiglia Hariri.

Chi è la famiglia Haririe perché è al centro della recente storia del Paese?
Saad Hariri è il figlio dell’ex primo ministro Rafik Hariri, ucciso il 14 febbraio 2005 da un’esplosione a Beirut. Un tribunale dell’Onu ha accusato dell’attentato cinque membri del movimento Hezbollah, alleato dell’Iran e della Siria degli Assad. Rafik Hariri, uomo d’affari con interessi economici vasti a Riad, ha costruito un’alleanza con l’Arabia Saudita. La sua morte ha portato a una serie di manifestazioni contro la presenza militare nel Paese dei siriani, obbligati quell’anno a lasciare il Libano dove erano presenti dal conflitto civile. Da allora, le tensioni tra Hezbollah e gli Hariri - Saad è diventato allora erede politico del padre - non si sono mai sedate. Nonostante ciò, Hariri guidava fino a pochi giorni fa un governo dove siede anche Hezbollah, e alle critiche saudite che sostengono che il politico non contrasti abbastanza il movimento sciita, i suoi sostenitori replicano che l’obiettivo sono l’unità nazionale e la stabilità del Paese.

Come ha reagitola popolazionealla nuova instabilità?
L’annuncio delle dimissioni del premier Hariri - una figura che non trova un sostegno unanime in patria - ha creato una rara atmosfera di unità nel Paese. Per diversi motivi, i campi politici opposti chiedono il ritorno del primo ministro. Le ingerenze straniere che da sempre investono il Paese compromettendone la stabilità sono sempre più mal tollerate dalla popolazione. Nelle ultime ore, nella capitale Beirut sono apparsi cartelloni in sostegno di Saad Hariri: «Vogliamo indietro il nostro primo ministro», «Aspettiamo tutti il tuo ritorno», è scritto accanto a fotografie di Hariri, in alcuni casi ritratto in abiti sportivi mentre corre. Proprio ieri, l’annuale maratona di Beirut è stata trasformata in un evento in sostegno del premier, e sono stati distribuiti cappellini rossi con la scritta: «Corriamo per te».

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