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La Stampa Rassegna Stampa
09.07.2017 Riccardo Muti dirige l'orchestra a Teheran. Avrebbe fatto lo stesso nella Berlino di Hitler?
Cronaca di Giangiorgio Satragni

Testata: La Stampa
Data: 09 luglio 2017
Pagina: 35
Autore: Giangiorgio Satragni
Titolo: «Muti porta a Teheran il messaggio di Verdi contro tutte le tirannie»

Riprendiamo dalla STAMPA del 08/07/2017, a pag. 35, con il titolo "Muti porta a Teheran il messaggio di Verdi contro tutte le tirannie", la cronaca di Giangiorgio Satragni.

Riccardo Muti non ha esitato ad andare a dirigere l'orchestra di Teheran, ed è stato il primo occidentale a farlo dal tempo della presa del potere degli ayatollah. Avrebbe fatto lo stesso nella Berlino di Hitler? La domanda è lecita, considerati i crimini di cui ogni giorno si macchia il regime fondamentalista sciita.

Ecco l'articolo:

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Riccardo Muti

«Le vie dell’amicizia», il ponte di fratellanza e pace gettato per la prima volta vent’anni fa dal Ravenna Festival portando la musica con Riccardo Muti in una Sarajevo martoriata dalla guerra, ha stretto in questo anniversario un gemellaggio tra Italia e Iran, nel segno di Verdi.

Stasera il viaggio si conclude a Ravenna (diretta su Radio 3, in tv il 21 luglio su Rai 1), dopo che per una settimana Muti è stato nella capitale iraniana amalgamando i musicisti dell’Orchestra sinfonica e del Coro di Teheran con un complesso italiano ideale, sulla base dell’Orchestra giovanile Cherubini da lui fondata, alla quale si sono uniti musicisti delle fondazioni liriche di Milano, Genova, Bologna, Roma, Napoli, Bari, Palermo, il coro del Municipale di Piacenza e tre fior di cantanti della nuova generazione come Luca Salsi, Piero Pretti e Riccardo Zanellato.

Avvenimento storico
Il concerto a Teheran è stato un avvenimento storico: nessun occidentale della statura di Muti aveva diretto lì da 40 anni, l’ultimo fu Karajan prima della rivoluzione islamica. Ed è stato un evento perha creato nulla scontato, frutto della politica del presidente iraniano Hassan Rouhani, della sua ricerca di un ponte culturale con l’Occidente che tolga l’Iran dall’isolamento. L’attentato del 7 giugno al Parlamento ha fatto spostare la sede del concerto da una grande piazza cintata capace di quasi quattromila ascoltatori, al chiuso del Vahdat Hall, il teatro gestito dalla Fondazione Roudaki, braccio organizzativo del Ministero della cultura.

Circa mille i fortunati ascoltatori, con molti giovani, alta la percezione del livello musicale, nel segno di un’unità di linguaggio davvero senza confini, plasmato da Muti con il suo respiro, la passione, i colori, l’intreccio di canti e controcanti, l’evidenza di ogni particolare nella coerenza del disegno complessivo, nei sussurri come nella pienezza del suono.

A ogni leggio sedevano un italiano o un’italiana e un iraniano o un’iraniana: la legge islamica impone il velo sul capo di qualsiasi donna, ma tutte lo portavano uguale, rosso in orchestra, giallo nel coro: così non si vedeva alcuna differenza tra musiciste delle due nazioni. L’Italia è venuta a dare una mano alla Sinfonica di Teheran, risorta solo due anni fa, dopo essere stata chiusa anche per motivi economici sotto la presidenza di Ahmadinejad: lavora poco, ma comunque frequenta il repertorio classico occidentale, in passato malvisto in Iran.
Nonostante il delicato momento politico, Muti non ha avuto incertezze, neppure come direttore della Chicago Symphony, orchestra di un Paese che ha rapporti complessi con l’Iran, a sua volta ostile a Israele, dove Muti a dicembre ha diretto la Filarmonica celebrandone l’80° della fondazione: «Abbiamo vinto i nostri se e i nostri ma e siamo venuti a Teheran. Si è avverato un miracolo nel nome di Verdi, un’unità d’intenti e sentimenti: non c’è bisogno di parlare la stessa lingua, credere nello stesso Dio, se c’è la volontà di unirsi. La musica è una, il cuore uno solo».

Tumulti interiori
E nel programma c’è l’universalità del messaggio di Verdi contro le tirannidi e le persecuzioni e per la libertà: nei Vespri siciliani Procida è l’esule politico che torna in patria e solleva il popolo contro gli oppressori; nel Don Carlo Posa e Carlo invocano il grido di libertà; nel Macbeth gli scozzesi rovesciano il tiranno omicida. Se le donne non possono esibirsi da protagoniste in Iran, la musica evocava il tumulto interiore di Leonora con l’ouverture dalla Forza del destino e le figure femminili del Simon Boccanegra attraverso le arie dei personaggi maschili.

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