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La Stampa Rassegna Stampa
03.07.2017 Sulla Stampa online Israele messo sullo stesso piano del terrorismo palestinese
Da Giorgio Bernardelli

Testata: La Stampa
Data: 03 luglio 2017
Pagina: 1
Autore: Giorgio Bernardelli
Titolo: «Scontro all’Unesco sulla Tomba di Abramo»

Riprendiamo dalla STAMPA online, con il titolo "Scontro all’Unesco sulla Tomba di Abramo", il commento di Giorgio Bernardelli.

http://www.lastampa.it/2017/06/30/vaticaninsider/ita/nel-mondo/scontro-allunesco-sulla-tomba-di-abramo-XIwjtUgXsuvDbQTfqUGNYI/pagina.html

Giorgio Bernardelli rende conto delle ragioni di Israele a proposito del controllo delle tombe dei patriarchi a Hebron, ma conclude scrivendo di "opposti estremismi", mettendo dunque sullo stesso piano, per esempio, la strage commessa da Baruch Goldstein nel 1994, quando uccise 29 arabi in preghiera, e il pogrom antiebraico che nel 1929 annientò la comunità ebraica presente ininterrottamente da millenni a Hebron, facendo decine di morti e causando la fuga dei superstiti. Nel primo caso un gesto omicida individuale e isolato, nel secondo un movimento di massa incoraggiato e spinto dalle autorità arabe: metterle a confronto senza sottolineare le differenze significa mettere Israele sullo stesso piano del terrorismo palestinese.

Altro elemento di disinformazione dell'articolo è l'idea che gli ebrei siano giunti a Hebron da pochi decenni, mentre gli arabi vi abiterebbero da sempre. La realtà è l'opposto, Hebron è la città dove sono sepolti da millenni i patriarchi e le matriarche d'Israele, quindi - lo diciamo anche all'Unesco- il suo carattere ebraico è incancellabile. La grande espansione demografica di Hebron è avvenuta nel Novecento, con l'arrivo di decine di migliaia di arabi dai Paesi circostanti, mentre gli ebrei che vi abitano sono a rischio della propria vita.

VATICAN INSIDER dovrebbe subire un trasloco, per esempio verso Avvenire, un quotidiano laico come la Stampa non è il luogo giusto per fare propaganda clericale.

Ecco l'articolo:

Immagine correlata
Giorgio Bernardelli


La tomba di Abramo a Hebron

Dopo il Muro del Pianto, un nuovo fronte ammantato di simboli religiosi sta per aprirsi all’Unesco nello scontro tra Israele e Palestina. Domenica 2 luglio a Cracovia si apre, infatti, la sessione di quest’anno del Comitato per il riconoscimento dei Patrimoni dell’umanità, la prestigiosa lista che include attualmente oltre mille tra siti naturalistici e tesori culturali di 165 Paesi del mondo. E tra le nuove richieste iscritte all’ordine del giorno per la discussione figura anche quella avanzata dall’Autorità Palestinese per l’inclusione della Città Vecchia di Hebron, che ha il suo centro nel luogo dove ebrei, cristiani e musulmani venerano quella che secondo la tradizione è la Tomba di Abramo. Un complesso antichissimo - le mura esterne risalgono ai tempi di Erode - che a seconda del punto di vista di chi lo guarda è chiamato Tomba dei patriarchi (visto che ospita anche quelle di Isacco e Giacobbe e di alcune delle loro mogli) o moschea al Khalil. E al suo interno mostra pure chiari i segni dell’epoca crociata, quando venne trasformato in una chiesa affidata ai canonici agostiniani.

A suscitare discussioni, ovviamente, non è il riconoscimento in sé come Patrimonio dell’umanità, ma la sovranità rivendicata da chi lo propone. Hebron si trova infatti nel cuore della Cisgiordania ed è uno dei luoghi maggiormente contesi tra israeliani e palestinesi. Pur essendo infatti una città palestinese abitata da circa 200 mila persone, Hebron vede al suo interno la presenza di due insediamenti israeliani - uno nel cuore della città e l’altro nella vicina Kiryat Arba, abitati complessivamente da circa 10mila coloni. Ed è una coabitazione critica, segnata da rancori e da una lunga storia di violenze che bastano due date a riassumere: il 1929 con la prima strage patita dagli ebrei nel Novecento in Medio Oriente, quando ancora la Terra Santa era sotto il mandato britannico, e il 1994, quando fu un colono di Kiryat Arba, Baruc Goldstein, ad aprire il fuoco contro i musulmani che si recavano a pregare alla Tomba di Abramo, uccidendo 29 persone. Da allora la separazione fisica è entrata anche dentro lo stesso luogo sacro, attraverso una parete divisoria che separa l’ambiente ebraico da quello musulmano: i fedeli accedono a ciascuna delle due zone da ingressi rigidamente distinti. Ora la mossa della Palestina all’Unesco mira a rivendicare la propria sovranità su Hebron, specificando che si tratterebbe di un patrimonio in pericolo e in questo modo ottenendo una via prioritaria per l’esame della domanda, come già avvenuto negli anni scorsi per la Basilica della Natività a Betlemme e le colline degli uliveti del Battir (gli altri due siti palestinesi già riconosciuti come Patrimonio dell’umanità).

Da parte sua Israele - visti i precedenti e la composizione dei rappresentanti dei 21 Paesi che formano oggi il Comitato - non nutre grandi speranze di riuscire a bloccare il voto di Cracovia. E sostiene già - per bocca del suo ambasciatore all’Unesco, Carmel Shama HaCohen - che si tratta di «un nuovo fronte nella guerra ai luoghi santi che i palestinesi stanno tentando di appiccare come parte della loro campagna contro Israele e la storia del popolo ebraico». Anche se - va aggiunto - nell’istanza presentata dall’Autorità palestinese si parla espressamente di Hebron come di un «luogo sacro a musulmani, cristiani ed ebrei». Il punto vero è che, in assenza di un processo di pace con obiettivi chiari e concreti, i luoghi santi restano in balia degli opposti estremismi, bandiere utili per essere sventolate sui palcoscenici internazionali per battaglie simboliche che non fanno altro che inasprire gli animi. Hebron è un luogo fondamentale per l’identità ebraica: la Genesi parla espressamente di questa «Grotta di Macpela» comprata da Abramo per seppellirvi in primis sua moglie Sara. E nella teologia biblica la Tomba dei patriarchi costituisce la primizia della Terra promessa: logico, dunque, che un ebreo osservante non possa accettare di essere tenuto fuori da un luogo del genere (come fu, invece, dal 1929 al 1967). Nello stesso tempo, però, la storia complessa di questa regione del mondo ha reso Hebron un luogo irrinunciabile anche per i musulmani, per i quali Abramo è una figura talmente importante da meritarsi l’appellativo di al Khalil, cioè l’amico di Dio. Al di là di quella che sarà la decisione dell’Unesco, dunque, sembra destinato a rimanere un rompicapo irrisolvibile, finché la logica delle prove di forza in Terra Santa non lascerà il posto a quella del riconoscimento reciproco.

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direttore@lastampa.it

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