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La Stampa Rassegna Stampa
31.03.2017 Albania, Kossovo e Macedonia: le tane dello Stato islamico in Europa (+ tutte quelle conosciute, ma non indagate)
Analisi di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 31 marzo 2017
Pagina: 7
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Così dallo Stato islamico il battaglione balcanico guida i suoi combattenti»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 31/03/2017, a pag. 7, con il titolo "Così dallo Stato islamico il battaglione balcanico guida i suoi combattenti", l'analisi di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile

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Terroristi dello Stato islamico originari del Kossovo

Un battaglione balcanico che ha i suoi capi ancora in Siria ma sempre più uomini di ritorno in Europa. Una rete di moschee e predicatori che reclutano fra gli islamisti di etnia albanese in Kosovo, Albania e Macedonia. Strade della jihad che attraversano i Balcani occidentali dalla Grecia fino alle nostre frontiere attraverso la Bosnia, dove interi villaggi sono governati secondo la Sharia. È il quadro inquietante del fronte islamista a poche centinaia di chilometri dall’Italia.

I primi dettagli di come l’Isis stia cercando di trasformare il Kosovo nella sua base operativa in Europa sono emersi da un’inchiesta congiunta fra Italia, Macedonia e Albania dello scorso novembre. Diciannove persone sono state arrestate, con l’accusa di stare organizzando un attacco in occasione della partita di calcio Albania-Israele a Tirana. A tirare le fila, da Raqqa, erano Lavdrim Muhaxheri e Ridvan Hadifi, due foreign fighter kosovari di particolare crudeltà.

Muhaxheri, conosciuto con il nome di battaglia Abu Abdullah al-Kosova, è arrivato in Siria già nel 2012, per combattere con Al-Qaeda contro il regime siriano. Nel 2014 si è unito all’Isis e si è fatto conoscere in una serie di video dove decapita i prigionieri con un coltello, li uccide con un razzo o un colpo di pistola. In tutti i filmati incita kosovari e albanesi a unirsi alla jihad. Assieme ad Hafidi, Muhaxheri è al comando del «Battaglione balcanico», composto da combattenti di etnia albanese e bosniaca.

I foreign fighter
I foreign fighter arrivati nel Califfato dalla regione sono stimati fra i 1000 e i 2000. Secondo Mimoza Xharo, un analista che ha lavorato per l’Intelligence albanese per più di vent’anni, citato da Balkaninsight, le stime «sottovalutano» il fenomeno dell’islamismo balcanico. Centinaia di jihadisti, fino a quattrocento, sono già tornati in Europa, e contano su una vasta rete, migliaia, di simpatizzanti. Le indagini sul tentato attacco allo stadio hanno fatto emergere legami diretti con i predicatori Genci Balla e Bujar Hysa, da oltre un anno in carcere a Tirana.

In Albania sono 200 i luoghi di culto islamici - su 727 complessivi - che sfuggono al controllo del governo e rifiutano le direttive della Comunità islamica albanese, sotto controllo statale. Ma anche il Kosovo ha un grosso problema con i predicatori radicali. Molti di loro, a cominciare dal citato Haqifi, si sono trasferiti in Siria a partire dal 2013. Haqifi ha recitato da protagonista nel video dell’Isis «L’onore è la jihad», studiato apposta per il reclutamento nei Balcani. Altri sono stati arrestati, come Rexhep Memishi, condannato a sette anni di carcere a Skopje, in Macedonia, per reclutamento di jihadisti.

Le moschee
Ma le moschee che sfuggono al controllo statale continuano l’opera di propaganda islamista. In Kosovo le più famigerate sono la Makowitz e la Mitrovica nei sobborghi di Pristina. In Macedonia predicatori salafiti hanno ingaggiato un lungo braccio di ferro con il governo per il controllo di Yahya Pasha, Sultan Murat, Hudaverdi a Skopje. In Albania le più a rischio sono considerate quelle di Mezeze, a Tirana, Unaza Ere alla periferia della capitale, e quelle di Cerrik e Pogradec, nel Nord. Nella moschea di Leshnica, nella zona di Pogradec, predicava Almir Daci, legato alla rete degli imam arrestati l’anno scorso. La Moschea Bianca di Sarajevo, in Bosnia, è stata invece a lungo il quartier generale dell’imam estremista Sulejman Bugari, il link fra estremisti di lingua albanese e quelli bosniaci.

La Bosnia è strategica soprattutto per le rotte della jihad. I foreign fighter di ritorno in Europa passano su punti di appoggio e strade secondarie, da percorrere anche a piedi, che risalgono all’epoca dell’afflusso di jihadisti dai Balcani verso l’Afghanistan. Nei villaggi dove è più radicata la presenza di salafiti sono apparse nel 2015 e 2016 le bandiere dell’Isis. Il giornalista e scrittore Janez Kovac ha raccontato come due anni fa a Bocinja Donja si viveva in una realtà separata, retta dalla sharia, dove «polizia, esattori delle tasse e nessun altra autorità mettevano mai piede». Gornja Maoca era invece il regno dell’estremista Nusret Imamovic e punto di sosta e ristoro per i jihadisti diretti in Cecenia e Afghanistan, poi in Siria. Le forze di sicurezza hanno cercato di riprendere il controllo dopo l’apparizione delle bandiere nere ma la regione resta una zona franca per i foreign fighter che si dirigono verso l’Europa occidentale e l’Italia.

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