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La Stampa Rassegna Stampa
27.03.2017 Stato Islamico e Hamas: trovare le differenze
Analisi di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 27 marzo 2017
Pagina: 1
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «In prima linea nella battaglia di Mosul tra il fuoco incrociato dei cecchini dell'Isis»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/03/2017, a pag. 1-7, con il titolo "In prima linea nella battaglia di Mosul tra il fuoco incrociato dei cecchini dell'Isis", l'analisi di Giordano Stabile.

Quello che fa lo Stato islamico a Mosul è simile al comportamento di Hamas a Gaza durante i conflitti contro Israele. I cecchini si nascondono tra i civili, rendendo inevitabili le perdite anche tra chi non partecipa ai combattimenti. Quello che cambia è l'atteggiamento dei media, che nel caso dell'Isis non hanno dubbi a denunciare il comportamento degli Usa, mentre durante la guerra di Israele contro Hamas puntavano il dito sugli obiettivi civili  dove Hamas nascondeva le basi dei missili colpiti da Israele.

Ecco l'articolo:

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Giordano Stabile

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Isis e Hamas: trovare le differenze

È troppo larga la strada, gli edifici troppo bassi, non danno nessuna copertura. Bisogna correre chini, ma i ragazzi della compagnia del capitano Hassan hanno il fucile a tracolla e in spalla i pacchi con le bottigliette d’acqua e le buste piene di vaschette con il cibo per i compagni che li aspettano nel palazzo in fondo. Gli scatti sono goffi, il marciapiede è pieno di tettoie in lamiera cadute per terra, e calcinacci. Inciampano. Fanno una sosta. Accelerano ancora quando devono attraversare una traversa. Lì si apre lo «spicchio» del cecchino.

Si passa uno alla volta, svelti come il lampo. Si arriva all’ingresso di quella che doveva essere una villetta a tre piani, proprio a ridosso della città vecchia di Mosul, nella zona di Bab al-Bied. C’è un tanfo di urina, cibo andato a male. Gli uomini della polizia federale l’hanno occupata dieci giorni fa. È la loro posizione più avanzata. Si passa da una parte all’altra attraverso buchi nelle pareti. Davanti c’è un’altra villetta, vuota. Poi una strada e dall’altra parte, negli edifici di fronte, l’Isis.

La Grande Moschea di Al-Nouri al-Kabir è «a 700 metri». Da dieci giorni i militari iracheni cercano di avanzare. Quelli della polizia federale sono esausti. Anche portare i rifornimenti, le munizioni è un incubo. La posizione avanzata non è più raggiungibile con i blindati. Quattro giorni fa uno è stato centrato in pieno da un razzo Rpg7. Sei uomini sono stati gravemente feriti. Ogni giorno servono due convogli. Gli ultimi trecento metri vanno fatti a piedi, passando attraverso le case sventrate e per brevi tratti allo scoperto. Arrivano quando possono, spesso in ritardo: i soldati in prima linea si buttano sulle vaschette con dentro cosce di pollo e riso. Hanno fame. Qarrar ha 28 anni, ha fatto Ramadi, Falluja. «Non sono paragonabili con Mosul. Mosul è molto più grande, più dura. Ci sono tantissimi civili. Nella città vecchia le strade sono troppo strette, non ci entrano neanche i blindati». Ha un berrettino sportivo in testa, le scarpe da ginnastica, malmesse, ai piedi. La mimetica blu della polizia federale maschera appena quello che è. Un ragazzo di Baghdad, sciita, venuto qui a combattere per obbedire al grande ayatollah Ali Sistani.

A parte poche compagnie meglio addestrate ed equipaggiate, la polizia federale non è un vero un corpo militare. Sono i volontari di alcune delle milizie Hashd al-Shaabi, inquadrate nei ranghi dello Stato. Sistani ha voluto e imposto che fossero loro a dare l’assalto alla Città vecchia, alla moschea di Al-Nouri al-Kabir, il cuore del Califfato sunnita, dove resiste il nucleo duro dei combattenti stranieri dell’Isis, in gran parte caucasici, temprati dalla guerra urbana, votati alla morte. Un boccone troppo duro. I servizi curdi, che seguono con occhio attento quello che succede sulla sponda occidentale del Tigri, lasciano trapelare preoccupazione. Reparti che non vogliono andare sulla linea del fuoco, «che hanno chiesto di poter ripiegare». Il nervosismo si vede già nella base arretrata della compagnia del capitano Hassan, nel quartiere a Sud-Est della stazione, a un paio di chilometri dalla linea del fuoco. Alcuni ragazzi sono recalcitranti. Uno di loro è stato ferito due giorni prima a una mano da un cecchino. La missione di rifornimento è sempre più pesante. Pochi si offrono volontari.

Sono bravi ragazzi ma questa è una battaglia che metterebbe a dura prova qualunque esercito. E le divisioni politiche non aiutano. Il premier Haider al-Abadi aveva puntato sulle unità d’élite, soprattutto l’Emergency Reaction Div (Erd). Poi è stato scavalcato. Ma ora gli uomini dell’Erd sono di nuovo in prima linea. Arrivano poco dopo i rifornimenti. Uno stile all’americana, un po’ sbruffone, ma si vede che sanno il fatto loro, sono meglio armati ed equipaggiati, mimetiche serie, sul beige scuro. Si consultano con il comandante del settore della polizia federale, il maggiore Raid. C’è tensione perché gli uomini dell’Erd non hanno un ufficiale pari grado, in teoria dovrebbero soltanto «dare un aiuto», ma si vede che vorrebbe prendere in mano la situazione. Il plotone dei rifornimenti intanto è bloccato. L’Isis sa che deve tornare indietro e ha scatenato l’inferno. Colpi di mortaio sempre più vicini, un duello fra i cecchini e le postazioni delle mitragliatrici pesanti, in gergo Bkc.

Per sgombrare la strada il maggiore Raid deve chiedere aiuto dal cielo. È dalla prima mattinata che gli elicotteri d’assalto Mi-28 scaricano missili sulle posizioni dei jihadisti. A un certo punto nello spicchio di cielo sopra lo stretto cortile della villetta si vede passare anche un B-52, che però di sicuro va a colpire più lontano. Non si può tornare indietro finché i raid dei Mi-28 non hanno fiaccato la controffensiva islamista. Ancora esplosioni delle granate dei mortai, vicine. Una, dicono, è stata sganciata da un drone dell’Isis. Si sta in una stanza al pianterreno che non ha finestre verso l’aperto. Il maggiore striglia i suoi e ordina a un plotone si spostarsi con un Bkc sull’altro lato della strada, dentro un edificio a un piano, e di lì coprire col fuoco la ritirata degli uomini dei rifornimenti. Funziona. Di nuovo di corsa, ma questa volta senza carichi. Due isolati più in là, davanti al concessionario della Kia, aspettano gli Humvee. C’è ancora un tratto pericoloso, per i razzi Rpg, fino alla stazione ferroviaria. Il mezzo è stracarico di uomini, accelera ansimando, fa un caldo boia. Alla stazione finalmente si scende, e si respira. Una colonna di uomini a piedi si sta dirigendo nella direzione opposta, verso la linea del fuoco. Rinforzi. Ce n’è bisogno.

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