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La Stampa Rassegna Stampa
26.03.2017 Ecco come lavora il Mossad, l'Europa ha tutto da imparare, vedasi Londra
Analisi di Paolo Levi, Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 26 marzo 2017
Pagina: 13
Autore: Paolo Levi-Francesca Paci
Titolo: «Così Mossad e francesi hanno strappato i segreti sulle armi chimiche di Assad-La strategia anti-radicalismo, Londra:giro di vite sui social»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/03/2017, a pag.12/13, due servizi sulle armi chimiche di Assad e sulla strategia anti-terrorismo a Londra.

Paolo Levi: " Così Mossad e francesi hanno strappato i segreti sulle armi chimiche di Assad "

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Paolo Levi

PARIGI -Nome in codice: Ratafia. Un'operazione congiunta dei servizi segreti di Israele e Francia ha consentito, già prima del 2011, quando cominciò la guerra in Siria, di strappare preziose informazioni sul programma di armi chimiche del presidente siriano Bashar Al-Assad. Un lavoro di fino, con risvolti psicologici, che supera la fantasia anche del più talentuoso degli sceneggiatori cinematografici. Per anni, un ingegnere siriano responsabile del programma chimico di Damasco si è fatto ingannare da un folto gruppo di 007 franco-israeliani in nome di una priorità ritenuta «vitale» in entrambi i Paesi: la lotta alla proliferazione e all'uso di armi chimiche. Rivelata da Le Monde la notizia consente anche di valutare ciò che gli occidentali sapevano realmente delle armi di Assad tre anni prima dei massacri dei 2013.
Tutto comincia nel 2008. A Damasco, una talpa del Mossad riesce ad «identificare» e poi «agganciare» l'ingegnere siriano coinvolto nel programma chimico. All'epoca, il progetto di armamenti della Siria, con circa 10.000 dipendenti, è un obiettivo prioritario del Mossad. Lo scopo non è eliminare i responsabili ma intercettare, appunto, fonti siriane affidabili per raccogliere informazioni sui legami con gli alleati iraniani, russi o nord coreani e identificare le filiere di approvvigionamento.
A Damasco la talpa viene incaricata di convincere l'ingegnere ad uscire dalla Siria per poi essere «avvicinato» dal Mossad. Lui lo seduce con l'idea di viaggi a Parigi,dove potrà preparare il lancio di una futura società di import-export. Descritto come romantico e sognatore, l'ingegnere si lascia convincere. Nella capitale francese, posa le valigie in un albergo, un imprenditore dal cognome italiano di cui fa rapidamente conoscenza diventa suo confidente e consigliere. Insieme, frequentano i bar di grandi alberghi come il Georges V, assistono a spettacoli e music-hall, anche se il siriano rifiuterà un invito al Crazy Horse. Alle ballerine sexy dice di preferire il popolarissimo music-hall «Mamma mia!». L'amico gli mette anche a disposizione l'auto con autista. Per l'ingegnere difficile non appassionarsi a questa nuova vita, piena di divertimenti e prospettive professionali, nello scintillio della Ville Lumière.
In realtà, però il nuovo amico è una spia come, del resto, tanti suoi interlocutori parigini, tra imprenditori, chauffeur, intermediari: tutti agenti del Mossad. Delle intercettazioni in auto, albergo, computer dell'ingegnere siriano, si occupano invece i servizi francesi. È l'inizio dell'operazione «Ratafia» che durerà per anni. Anche perché lui, a quanto pare, è molto simpatico, ma prima di sbottonarsi sui segreti dell'arsenale di Assad ci vorrà tempo. Nel 2011, le informazioni raccolte porteranno, tra l'altro, l'Unione europea a congelare i beni del Centro Siriano per gli studi e la ricerca scientifica (Cers) pilastro del programma chimico di Damasco.

Francesca Paci: " La strategia anti-radicalismo, Londra:giro di vite sui social "

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Francesca Paci

BIRMINGHAM - Khalid Masood trascorreva molte ore su internet. L'informazione filtra dagli inquirenti di Scotland Yard, che da due giorni passano al setaccio il computer e i social network del terrorista di Westminster, un personaggio «periferico» e dal passato nebuloso ma, a giudizio dell'intelligence, «non un lupo solitario». La Rete finisce di nuovo sotto accusa, come palestra per aspiranti jihadisti, mentre il governo britannico pensa, come sta facendo anche Donald Trump, a un controllo più rigido dei troppo poco reattivi Twitter, Face-book, Google e YouTube (con buona pace degli attivisti di Liberty). Mercoledì, a poche ore dall'attentato, si potevano ancora trovare online centinaia di video che lo negavano (con sotto banner pubblicitari di Opodo, Netflix, Trivago) e una sorta di guida per kamikaze al volante: quale auto scegliere, quali bersagli, che tipo di coltello portarsi dietro. «Passo da un meeting sulla sicurezza all'altro, urge ri-definire la strategia contro il terrorismo alla luce di soggetti inintercettabili tipo Masood, che a 52 anni sarebbe fuori dall'età a rischio e dunque dai programmi di rieducazione, ma verosimilmente si è abbeverato al web come i piu giovani», ci spiega in un caffe di Birmingham, Jahan Mahmoud, esperto di deradicalizzazione. Sembra che il percorso del killer, dalla conversione al radicalismo, sia avvenuto a tappe, a cominciare forse dalla prigione di Wayland in Nortfolk che, sebbene non sia nota per il fervore islamista, ha visto diventare musulmano il calciatore Marlon King. Poi c'e il soggiorno in Arabia Saudita, su cui Riad ha aperto un'inchiesta (l'insegnante che non ha mai avuto la qualifica dal dipartimento dell'istruzione britannico ci sarebbe tornato anche nel 2015 per il pellegrinaggio). Il resto è rete: reale, come quella wahabita-salafita di Birmingham, a cui, secondo il Daily Mail faceva riferimento Masood, e virtuale. «Il governo deve aiutarci a sigillare internet, i giovani e i più fragili cercano li risposte alle loro domande e non ascoltano i religiosi, si autoconvincono che l'Islam sia quella versione semplicistica di una fede manichea e li perdiamo», dice il presidente della Moschea Centrale di Birmingham, Mohammad Afzal, mentre coordina la comunità musulmana per il sit-in contro il terrorismo in centro città, «Not in my name». «Siamo il principale bersaglio», ripete Abu Khadeejah, nella moschea salafita di Small Heath, una delle tante sormontate dalla telecamera. E non parla solo dei musulmani «prime vittime degli attentati» o oggetto di quella islamofobia che l'organizzazione Tell Mama denuncia crescere in città: è personalmente oggetto delle invettive via YouTube di tal Abu Haleema, un predicatore d'odio seguace di Anjem Chodary, che si muove in una zona a poche miglia dall'ultimo indirizzo di Khalid Masood e diffonde video infuocati, visibili a lungo prima di essere rimossi e ripostati. L'Operation Classific, lanciata dall'anti-terrorismo di Scotland Yard, per scavare oltre l'attentato di mercoledì, indaga anche su cosa sia mancato perche Khalid Masood entrasse e poi uscisse dal radar. «E impossibile tracciare uno così, non solo per l'età, i terroristi si sono adeguati alle nuove misure di sicurezza e hanno mutato tattica, oggi sperimentano estremisti "veterani" e attentati "low cost"», nota Imran Awan, del Centro di criminologia applicata dell'Università di Birmingham. Oggi. Domani forse cambieranno di nuovo, alla velocità di un tweet.

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