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Il Manifesto Rassegna Stampa
04.06.2017 Apprezzare il Manifesto è facile, basta capovolgere le analisi
e i fallimenti di Trump diventano dei successi

Testata: Il Manifesto
Data: 04 giugno 2017
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Altro che Nato araba.Trump 'innesca'il regolamneto di conti tra Qatar e Golfo»

Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 04/06/2017, a pag.9, con il titolo "Altro che Nato araba.Trump 'innesca'il regolamneto di conti tra Qatar e Golfo".

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Michele Giorgio
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Adesso che l'UNITA' ha chiuso i battenti, un po' ci mancherà Umberto De Giovannangeli, ma a sinistra dura e pura ci resta però Michele Giorgio, del quale apprezziamo sempre di più il taglio che dà alle sue analisi, basta capovolgerne la tesi e si riesce persino ad avere notizie interessanti. Come dimostra il pezzo di oggi, tutto impostato sul 'fallimento' della politica mediorientale di Trump.
Secondo Giorgio la coalizione sunnita non regge perchè il Qatar non ci sta. E' vero invece il contrario. Che tra Arabia Saudita e gli Emirati del Golfo non corrano particolari affinità con il Qatar è vero, ma qui sta la buona notizia. Il Qatar è da sempre il protettore dei movimenti terroristi, dai Fratelli Musulmani a Hezbollah e Hamas, per questo non ha nessuna intenzione di mettersi contro l'Iran. Trump l'ha capito e siamo sicuri che la coalizione, senza il Qatar, potrà funzionare benissimo. Intanto il presidente Usa sostiene i Curdi, cosa non apprezzata da Erdogan. Se uno Stato curdo vedrà la luce, il fatto non verrà gradito nè dal Qatar, nè dalla Turchia e meno che mai dall'Iran. Il Manifesto definisce questo scenario un fallimento della politica di Trump. Non c'è da stupirsi, un giornale che continua a dichiararsi 'comunista' è normale che veda la realtà capovolta. A noi tocca soltanto rivoltarla nel senso giusto.

Ecco il testo:

Qualcuno spiega la decisione di Donald Trump di non spostare, per ora, l'ambasciata Usa in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme come un dono all'Arabia saudita per gli oltre 100 miliardi di dollari che il regno dei Saud spenderà in armi americane e, più in generale, alle petromonarchie sunnite del Golfo che ha chiamato a formare un fronte anti-Iran e «contro il terrorismo», noto anche come la "Nato araba". Un prezzo che il governo Netanyahu ha pagato, ma solo in apparenza, mal volentieri. In realtà l'esecutivo israeliano spera che il sacrificio sia ricompensato con una politica araba e statunitense di scontro duro con Tehran fino alla realizzazione del sogno del congelamento dell'accordo sul nudeare iraniano di due anni fa. Trump ha mantenuto sino ad oggi solo alcune delle pericolose promesse fatte in campagna elettorale. Una di queste è l'aggressione, per ora solo politica e diplomatica, a Tehran. E ha riempito i vertici degli apparati militari e di sicurezza con falchi contrari all'intesa con l'Iran sciita, come il segretario alla difesa James Mattis e il capo della Cia Pompeo. Quest'ultimo avrebbe scelto, secondo quanto scrive la stampa Usa, come responsabile per le operazioni segrete in Iran Michael D'Andrea, re della «guerra dei droni» in Pakistan e Afghanistan e convertito all'Islam sunnita, a quanto si dice ossessionato dal revival dello sciismo in Medio oriente. Trump fa la sua parte, con la benedizione di Netanyahu, ma lo "storico" discorso che ha pronunciato il mese scorso a Riyadh, davanti a oltre 50 leader musulmani, non ha prodotto neppure l'embrione della Nato araba contro l'Iran. Piuttosto ha innescato un regolamento di conti tra l'Arabia saudita e il Qatar sponsor dei Fratelli musulmani, storici nemid di Riyadh, che lacera lo schieramento sunnita. La mediazione avviata dal Kuwait non ha avuto effetto. Lo scontro è sempre più aperto ed è chiaro che alla base non ci sono solo le presunte dichiarazioni fatte dall'emiro del Qatar, lo sceicco Tamim, contrarie all'isolamento di Tehran e critiche della politica dei Saud (Doha le ha smentite attribuendole a un attacco di hacker alla sua agenzia di stampa): Riyadh e alleati (Bahrain, Egitto ed Emirati) accusano ancora più di prima il Qatar di aver mandato in frantumi il fronte sunnita, parteggiare per il «nemico iraniano» e sostenere i «terroristi» Fratelli musulmani. Inevitabili e immediati sono stati i riflessi nella regione, in particolare nella guerra che si combatte in Siria. L'editorialista Mustafa as Said scriveva qualche giorno fa sul più noto dei giornali egiziani, al Ahram, che la Turchia stretta alleata del Qatar, i Fratelli musulmani e alcuni gruppi armati (finanziati da Doha) che agiscono in Siria, hanno preso le parti del Qatar. Erdogan peraltro è tornato infuriato dal suo recente incontro (appena 22 minuti) con Trump a Washington e non ha partecipato al summit a Riyadh. Il leader turco ha accolto con rabbia la decisione della Casa Bianca di riarmare i combattenti curdi impegnati contro l'Isis al confine tra Siria e Turchia e di non estradare Fethullah Gulen (che vive negli Usa), il predicatore accusato da Ankara di aver organizzato il tentato colpo di stato in Turchia dello scorso anno. Erdogan ha anche capito che gli Stati Uniti non gli perdonano di aver trovato un'intesa con la Russia per la creazione delle cosiddette «zone di de-escalation», più o meno pacificate, in Siria. «Quelle aree (agli occhi di Washington, ndr) — spiegava as Said — hanno permesso all'esercito siriano di riprendere il controllo di 15mila kmq di territorio in pochi giorni nella Siria orientale e di avvicinarsi ai confini con l'Iraq, mentre le alleate milizie sciite irachene si precipitavano nel distretto di al-Ba'aj vicino ai confini siriani, consentendo il contatto tra le due parti per la prima volta dal 2011 guerra. Cib andrà a favore dell'alleanza tra Russia, Siria e Iran». Per questo, sottolineava due giorni fa su Haaretz l'analista Zvi Barel, «Trump e Netanyahu hanno sognato troppo velocemente una coalizione sunnita pro-occidentale contro l'Iran e contro il terrorismo guidata dall'Arabia Saudita. E ingannano se stessi evitando una discussione sui rapporti intemi arabi che potrebbero facilmente distruggere tale coalizione». In sostanza, fa capire Barel, semplificano a proprio uso lo scenario mediorientale e non comprendono che le relazioni tra sunniti e sciiti e tra musulmani arabi e musulmani non arabi sono estremamente complesse.

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