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La Repubblica Rassegna Stampa
10.03.2024 Tibet schiacciato dalla Cina nel silenzio mondiale
Analisi di Gianni Vernetti

Testata: La Repubblica
Data: 10 marzo 2024
Pagina: 13
Autore: Gianni Vernetti
Titolo: «Arresti e indottrinamento a 65 anni dalla rivolta la morsa cinese sul Tibet»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi 10/03/2024, a pag.13, con il titolo "Arresti e indottrinamento a 65 anni dalla rivolta la morsa cinese sul Tibet" l'analisi di Gianni Vernetti.

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Gianni Vernetti


Il silenzio mondiale sull'oppressione del Tibet da parte di Pechino la dice lunga sull'ipocrisia di tanti sedicenti "militanti dei diritti umani" che attaccano solo le democrazie (Israele e USA) e mai la Cina.

DEKYILING (INDIA) — Il 10 marzo del 1959 la popolazione della città di Lhasa, allora capitale del Tibet indipendente, insorse contro l’esercito occupante di Pechino per proteggere la propria guida spirituale Tenzyn Gyatzo, il XIV Dalai Lama del Tibet, dal rischio di arresto e deportazione. Il massacro durò diversi giorni e 87mila tibetani persero la vita. La notte del 17 marzo, il Dalai Lama intraprese la strada dell’esilio, attraversando clandestinamente l’Himalaya a cavallo, per essere accolto in India. Sono passati 65 anni e il tragico anniversario del 10 marzo è ricordato dalla diaspora tibetana in tuttoil mondo per denunciare un’occupazione senza fine e un processo forzato di assimilazione e distruzione dell’identità, storia e cultura della millenaria tradizione tibetana. Lungo tutta la frontiera himalayana sono in corso grandi progetti infrastrutturali (a cominciare dalla ferrovia Chengdu-Lhasa), tutti accompagnati da un impressionantebuild-up militare nella frontiera fra Tibet e India. La Cina occupa la regione indiana dell’Aksai-Chin vicino al monte Kailash, rivendica come proprio l’intero stato indiano dell’Arunachal Pradesh, minaccia la piccola monarchia del Bhutan, e vorrebbe costruire una ferrovia fra Lhasa e Katmandu che Delhi considera una minaccia gravissima. Ma è all’interno del Tibet che la situazione è divenuta disastrosa. Neltentativo si asservire la storia alle proprie esigenze, Pechino ha rinominato il Tibet con il termine cinese “Xizang” e dietro la scelta semantica si cela un progetto diffuso di assimilazione della minoranza tibetana. Sono oramai oltre un milione i bambini tibetani che sono stati separati in modo forzato dalle proprie famiglie per essere indottrinati in centinaia di boarding school. Nelle scuole/ carceri si impara a memoria la storiografia imposta da Pechino, e viene in ogni modo cancellata l’identità tibetana a cominciare dalla “sinizzazione” dello stesso buddismo tibetano. A ciò si aggiungono arresti di massa, continue incursioni delle forze dell’ordine all’interno dei monasteri, un sistema diffuso di sorveglianza con oltre 5 milioni di telecamere con riconoscimento facciale eanche la raccolta forzata del Dna di circa un milione di tibetani. Proseguono poi senza sosta una serie di progetti idroelettrici in grado di alterare le forniture idriche in tutta l’Asia meridionale. Fra questi, la grande diga di Derge, nella prefettura di Kardze sul fiume Yangtse, che cancellerà decine di villaggi e sei antichi monasteri. La scorsa settimana sono stati arrestati a Wangbuddin oltre cento monaci tibetani che protestavano contro il progetto. Ma Pechino non si limita alle vicende “terrene”: il governo cinese ritiene un suo diritto interferire e decidere sul processo buddista di reincarnazione e successione del Dalai Lama. La possibilità che in futuro vi siano due Dalai Lama è oramai data per scontata in tutto il Tibet e fra la diaspora. Ma dall’altra parte della catena himalayana c’è chi resiste. Sono le Special Frontier Forces, otto battaglioni di forze speciali, composte da circa 7.000 soldati tibetani reclutati fra la diaspora e inquadrati nell’esercito indiano. Sono forze altamente specializzate, abituate adoperare in alta quota, che svolgono un ruolo importante nella competizione fra India e Cina sulle montagne più alte del mondo: quella “guerra segreta del Tibet” di cui tutti qui parlano sottovoce. Sulla divisa hanno cucito il simbolo del Tibet indipendente prima dell’occupazione cinese (il leone delle nevi). I soldati tibetani sono una parte rilevante della diaspora tibetana e rappresentano oggi circa il 10% dell’intera popolazione tibetana in esilio: 75mila rifugiati in India e altri 80mila fra Europa e America. La Central Tibetan Administration (il Governo Tibetano in Esilio in India ndr) non interferisce con la struttura militare dei giovani tibetani arruolati nell’esercito indiano, ma si occupa del welfare dei veterani dopo il congedo. Incontro il veterano Ngawang Tenpa, che ha servito trent’anni nelle forze speciali. «Le Forze Speciali di Frontiera sono nate nel 1962 — racconta — dopo il conflitto fra Cina e India. Il reclutamento è iniziato allora fra i giovani della comunità tibetana in esilio. Le forze speciali sono composte da circa 7.000 unita e fra loro c’è anche un’unita composta da sole donne, l’unità 34. Abbiamo combattuto nella Valle di Galwan in Ladakh nel 2021 — prosegue Ngawang — riuscendo a conquistare un passo strategico e perdendo Nyima Tenzin, comandante di una delle compagnie delle Sff. Al suo funerale, la bara era coperta dalla bandiera dell’India e da quella del Tibet indipendente».

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