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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica Rassegna Stampa
10.01.2024 Sinwar: fu un errore liberarlo
Intervista di Francesca Caferri a Michael Koubi

Testata: La Repubblica
Data: 10 gennaio 2024
Pagina: 11
Autore: Francesca Caferri
Titolo: «“Io, 180 ore con Sinwar mi diceva: vi uccideremo tutti. Liberarlo fu un errore grave”»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 10/01/2024, a pag.11 con il titolo "Io, 180 ore con Sinwar mi diceva: vi uccideremo tutti. Liberarlo fu un errore grave”. L'intervista di Francesca Caferri a Michael Koubi.

Francesca Caferri
Francesca Caferri
Michael Koubi, ex capo del dipartimento Interrogatori del servizio segreto interno israeliano Shin Bet
Michael Koubi, ex capo del dipartimento Interrogatori del servizio segreto interno israeliano Shin Bet

KFAR SABA (ISRAELE) — «Yahya Sinwar non si arrenderà mai. E non accetterà mai di lasciare Gaza per trasferirsi da qualche altra parte. Preferisce morire da martire: pensa di aver vinto, di essere diventato un eroe per il mondo arabo per aver iniziato una grande guerra nel nome dell’Islam. E sono certo che creerà problemi a Israele fino all’ultimo istante della sua vita». Se c’è qualcuno che conosce la mente di Yahya Sinwar, capo politico di Hamas nella Striscia di Gaza e regista dell’attacco del 7 ottobre, è il signore con gli occhi azzurri che sta seduto di fronte a noi. Dal 1989 Michael Koubi, ex capo del dipartimento Interrogatori del servizio segreto interno israeliano Shin Bet, ha interrogato tutti i capi di Hamas, compreso il fondatore, lo sceicco Yassin: con Sinwar ha passato «dalle 150 alle 180 ore», racconta. «Per questo il 7 ottobre ho capito subito: era quello che aveva promesso, quello che per vent’anni aveva sognato. Ero furioso. Mi è stato subito chiaro che c’era lui dietro». Signor Koubi, cosa ricorda di Sinwar? «Tutto. Come si muoveva, come parlava, i suoi occhi: quelli di un assassino spietato. In tutto il tempo che abbiamo passato insieme non ha mai riso, mai sorriso. Altri di Hamas lo hanno fatto: lui no. Ricordo esattamente le sue parole: “Un giorno, vedrete, vi uccideremo tutti”. Mi ha raccontato per filo e per segno quello che avrebbero fatto: che poi è quello che hanno fatto il 7 ottobre». Questo quando è accaduto? «Dalla prima volta che l’ho interrogato, nel 1989. Lo ha ripetuto più volte. Abbiamo parlato a lungo, sapevo che aveva ucciso dodici persone: mi ha raccontato come. Senza battere ciglio: molte le ha uccise con un machete, perché secondo lui dovevano soffrire. Una volta mi disse di come aveva eliminato un membro di Fatah, che sospettava di collaborare con Israele: il fratello militava in Hamas, gli ordinò di convocare l’uomo e mentre arrivava fece scavare una fossa. Lo buttarono dentro e lo coprirono di terra: sepolto vivo, senza neanche una domanda, senza nulla, con un fratello costretto ad ammazzare l’altro. Anche per una personacome me, abituata a certi racconti, è stato difficile togliersi dalla testa quelle immagini». Lei che idea si è fatto? Cosa c’è dietro a tanta violenza? «Sinwar non è uno psicopatico. È intelligente, razionale ed estremamente aggressivo: uno che sulla sua preparazione e sulla religione ha costruito un rapporto con lo sceicco Yassin nonostante la differenza di età: lo seguiva da quando aveva 13 o 14 anni. A guidarlo è un’idea distorta della religione, dei precetti del Corano: crede al 100% che tutti gli ebrei debbano essere uccisi. Non stiamo parlando di una persona normale: ma di qualcuno che da questa ossessione è guidato in ogni azione.Le dico una cosa: sottoterra con lui, in quei tunnel, c’è il suo unico figlio, nato dopo il rilascio. Sinwar sa che morirà, che prima o poi lo prenderanno: quale genitore vorrebbe che suo figlio morisse così? Lui ha scelto che quel ragazzino muoia, in nome della sua causa. Nessun compromesso». Ma un compromesso lo ha fatto: la pausa che ha consentito il rilascio di parte degli ostaggi. «Quella pausa è servita a lui e a Mohammed Deif (il capo militare di Hamas nella Striscia, ndr ) per riorganizzarsi: lei non immagina quanti dei nostri soldati sono morti a causa di quella pausa. Ora le indiscrezioni su un nuovo negoziato sono una farsa:accetterebbe il rilascio di tutti gli ostaggi solo in cambio di uno stop totale nei combattimenti. E Israele a questo non acconsentirà mai». Sinwar è uscito di prigione nel 2011, il più importante dei 1.027 prigionieri scambiati per il soldato Gilad Shalit, catturato nel 2006: è diventato il capo di Hamas a Gaza nel 2017, è stato confermato nel 2021. Su cosa basa la sua leadership, secondo le sue conoscenze? «È stato scelto perché è il più crudele di tutti i leader di Hamas. E perché ha moltissime relazioni: da quando è uscito dal carcere si è concentrato sull’ampliare i contatti con gli iraniani. È da lì che prende soldi e armi. Infine, è stato scelto perché era sicuro di poter compiere il suo dovere: distruggere Israele. Non ha mai avuto dubbi, ha sempre sostenuto che il tempo era dalla sua parte. “Ci vorranno anni, ma noi li abbiamo”, così mi disse». Un rimpianto… «Facile dirlo ora: ma io lo dico da anni. Non avremmo mai dovuto liberarlo. Mai. Né lui né gli altri: né per Shalit, né per nessun altra persona o motivo. Lo dissi ai politici. Lo dissi a chi nel Mossad siglò il patto: ero furioso con quell’uomo, non gli ho mai più rivolto la parola da allora. Gli uomini di Hamas erano 500 nel 1989, quando Sinwar venne arrestato: avremmo potuto fermarli allora». Non è uno psicopatico È intelligente, razionale e aggressivo Nel 1989 mi disse quello che pensava di fare, e che poi è avvenuto il 7 ottobre.

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