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La Repubblica Rassegna Stampa
07.01.2024 Democrazia contro populismo
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 07 gennaio 2024
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Democrazia contro populismo»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 07/01/2024, a pag. 1, con il titolo “Democrazia contro populismo” l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.

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Ad inaugurare l'anno più elettorale di sempre è il duello di discorsi fra Joe Biden e Donald Trump che definisce in maniera inequivocabile la sfida, non solo americana, fra democrazia e populismo. Se nel 2024 la maggioranza della popolazione del Pianeta andrà alle ume in nazioni molto differenti - da Taiwan all'India, dalla Russia all'Unione Europea fino agli Stati Uniti - possono esserci pochi dubbi sul fatto che ad accomunare queste consultazioni è, pressoché ovunque, il confronto fra leader politici che difendono la democrazia - basata su Stato di Diritto ed equilibrio fra i poteri - e leader politici che invece la avversano profondamente. considerandola un sistema decadente, corrotto, perdente e destinatoall'inesorabile implosione. Ad esaltare e riassumere in maniera plastica questo scontro globale è arrivato nelle ultime 48 ore il duello di discorsi fra il presidente americano Biden, in corsa per la rielezione, e il predecessore Trump. candidato alla nomination repubblicana. La coincidenza di questo match con l’anniversario del 6 gennaio 2021 — il giorno in cui i seguaci di Trump diedero l’assalto al Congresso a Capitol Hill per impedire la ratifica dell’elezione di Biden — evidenzia come l’America resta il palcoscenico più centrale, drammatico, di uno scontro che ha in palio la difesa dei valori democratici, fondamento del mondo libero. Ad aprire la sfida è stato Biden, parlando da Blue Pell in Pennsylvania per richiamarsi all’esempio di George Washington che nel 1777 proprio nella Valley Forge trovò le forze per sconfiggere l’impero britannico e vincere la rivoluzione americana ma, una volta centrato l’obiettivo, «scelse di non diventare un re» e preferì limitare la presidenza a due mandati «per far prevalere l’idea che la democrazia appartiene a tutti i cittadini ed in questo si distingue dalla monarchia». A oltre 246 anni da allora, è il messaggio di Biden all’America, la sfida resta la stessa perché «la sacralità della democrazia è a rischio» in quanto «Trump è disposto a sacrificarla pur di conquistare e mantenere il potere». Con i sondaggi che danno Trump in netto vantaggio nella corsa alla nomination repubblicana — le primarie iniziano con icaucus dell’Iowa il 15 gennaio — e disegnano un testa a testa serrato nell’eventuale confronto nazionale con Biden il 5 novembre, il presidente uscente dice con chiarezza ai cittadini che saranno chiamati ad esprimersi in un vero e proprio referendum sulla democrazia basata sulla Costituzione scritta dai Padri fondatori. Certo, su Trump pendono 91 capi di imputazione in più processi per reati finanziari e per l’insurrezione del 6 gennaio, così come l’8 febbraio sarà la Corte Suprema di Washington a esprimersi sulla possibilità di togliere il nome di Trump dalle schede delle primarie in base al XIV emendamento della Costituzione che impedisce l’accesso a cariche pubbliche per chi “insorge” contro il governo federale. Ma a prescindere dal corso della giustizia, Biden si appella al cuore ed all’anima della nazione dimostrando di comprendere che, in ultima istanza, il populismo può essere battuto solo nelle urne. Grazie all’esercizio della libertà di voto. D’altra parte, nelle elezioni di Midterm del 2022, gran parte degli elettori repubblicani non hanno premiato i candidati pro-Trump per il Congresso di Washington ed è a questo elettorato moderato, centrista, indipendente, conservatore tradizionale, che Biden si appella affinché si unisca ai democratici creando «una coalizione per la democrazia in America». Capace di respingere il ritorno dei trumpisti alla Casa Bianca come di neutralizzare le defezioni della sinistra radicale che contesta a Biden la difesa delle democrazie in Ucraina ed in Israele, aggredite rispettivamente da Putin e Hamas. Una sinistra radicale contagiata negli ultimi mesi da un odio antiebraico di dimensioni e violenza senza precedenti nella recente Storia americana, contro il quale Biden si è schierato senza esitazioni, in maniera inequivocabile. Sul fronte opposto da Sioux Center, nel Nord-Ovest dell’Iowa al confine con il South Dakota, l’ex presidente Trump ha ribadito l’accusa a Biden di aver «rubato» le elezioni del 2020, definendo «ostaggi» coloro che sono stati arrestati per l’assalto a Capitol Hill ed ha ammonito i fan presenti ad essere cauti nell’esprimergli sostegno perché altrimenti il governo federale «vi accuserà di insurrezione». Nonostante abbia perso 90 cause legali sulla validità del risultato del 2020, Trump rilancia a Biden l’accusa di essere una «minaccia per la democrazia» identificandolo come il simbolo di «corruzione, incompetenza e fallimenti» ovvero le accuse ideologiche del suo movimento populista alle istituzioni federali. L’intento di Trump resta quello di essere acclamato lui, con la forza del voto, sopra ogni legge e regolamento per poter aver mano libera nell’esercizio di un potere esecutivo senza limiti che lui stesso, in un’intervista tv, ha definito con il termine «dittatura». Alle spalle di Trump, nel Grand Old Party, ci sono due concorrenti alla nomination — Ron DeSantis e Nikki Haley — che potrebbero cambiare radicalmente la sfida presidenziale ma in attesa dell’esito delle primarie repubblicane possono esserci pochi dubbi sul fatto che lo scenario della possibile rivincita Biden-Trump tiene banco in America. Riproponendo la contrapposizione netta fra chi difende e chi disprezza valori e regole della democrazia. È una cornice non solo americana ma globale perché, dalla campagna elettorale in India alla nostra Unione Europea, non è difficile indicare volti e partiti che si collocano naturalmente sugli opposti schieramenti, al fine di preservare o stravolgere le rispettive istituzioni democratiche. Così come in Russia, il presidente Vladimir Putin punta in marzo ad una rielezione a valanga — con un quorum record — proprio per avvalorare la superiorità della propria autocrazia sulle «decadenti democrazie liberali». Come osserva Biden «non è un caso che Trump si scambi lettere d’amore con il nordcoreano Kim Jong-un e consideri Putin un suo amico». C’è un filo rosso che accomuna dittature e populismi nell’avversione viscerale alla democrazia. Per questo il 2024 sarà un anno decisivo per ognuno di noi.

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