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La Repubblica Rassegna Stampa
28.10.2023 Usa: armi in cielo contro Iran
Cronaca di Gianluca Di Feo

Testata: La Repubblica
Data: 28 ottobre 2023
Pagina: 4
Autore: Gianluca Di Feo
Titolo: «Caccia e missili Usa nel Mediterraneo Uno scudo nei cieli per arginare l’Iran»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 28/10/2023, a pag. 4, con il titolo "Caccia e missili Usa nel Mediterraneo Uno scudo nei cieli per arginare l’Iran" l'analisi di Gianluca Di Feo.

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Gianluca Di Feo

Le cose da sapere sull'attacco di Hamas e la risposta di Israele - Il Post

Con l’arrivo della portaerei Eisenhower raddoppiato il sistema difensivo nella regione La portaerei “Eisenhower” è arrivata giovedì notte davanti al porto spagnolo di Rota e adesso ha già varcato Gibilterra. Il suo ingresso nel Mediterraneo molto probabilmente segna l’ora X per l’ampliamento delle operazioni terrestri contro Hamas. L’ammiraglia infatti affiancherà entro domani l’altra portaerei “Ford” a largo di Cipro, raddoppiando il sistema difensivo che gli Stati Uniti stanno allestendo in Medio Oriente: l’obiettivo non è soltanto proteggere Israele, ma costruire uno scudo nei cieli dell’intera regione, dal Golfo Persico al Libano. Caccia e missili stanno venendo trasferiti alla massima velocità in Arabia Saudita, Emirati, Giordania, Iraq, Kuwait, Qatar. Il Wall Street Journal ha scritto che undici batterie di Patriot e una di Thaad saranno schierate nelle basi americane di questi Paesi. Almeno 72 velivoli da combattimento sono già atterrati in queste nazioni e altri 110 saranno attivi sulle due portaerei. Agli equipaggi è stato chiesto di essere immediatamente operativi: il personale della “Eisenhower” si è esercitato senza sosta durante la traversata dell’Atlantico e i piloti dell’Air Force hanno subito cominciato le missioni di sorveglianza. Al Pentagono sanno che la situazione può degenerare nel giro di ore. E il dispiegamento rapido dimostra come lo sforzo della Casa Bianca sia rivolto in una direzione: bloccare l’Iran e i suoi alleati. Allo stesso tempo però conferma quanto siano forti i timori di allargamento del conflitto, che l’America vuole frenare con una dimostrazione di potenza senza precedenti. In questo momento, la priorità del Pentagono è aumentare la sicurezza dei reparti presenti in Medio Oriente, sparpagliati in una dozzina di installazioni. Quelle costruite in Siria e in Iraq per la lotta contro l’Isis da due settimane vengono bersagliate dai droni delle milizie sciite che hanno causato ventuno feriti. E la scorsa notte c’è statala prima risposta: F-15 ed F-16 hanno bombardato due accampamenti dei gruppi filo-iraniani. È stata colpita pure la “fascia verde” di Boukamal, sul confine tra Siria e Iraq, ritenuta la centrale di smistamento di guerriglieri e armi. Questi duelli di raid sono come i lampi che annunciano una tempesta molto più violenta. L’arsenale della coalizione legata a Teheran dispone di droni e missili sofisticati. Si è visto ieri con l’attacco contro le coste del Sinai, con un drone precipitato sul litorale egiziano, provocando alcuni feriti a Teba, e un altro abbattuto dai jet israeliani a pochi minuti di volo dalla città di Eilat. L’operazione è stata attribuita agli Houthi yemeniti ed è particolarmente inquietante. La scorsa settimana uno sciame di ordigni partito dallo Yemen era stato spazzato via molto più a Sud da una nave dell’Us Navy: questa volta invece sono riusciti a passare e hanno sorvolato indisturbati l’intero Mar Rosso. Gli Houthi in passato hanno bombardato Riad e Abu Dhabi e sono dotati di cruise con un’autonomia di oltre duemila chilometri:dalla Giordania al Bahrein, ogni base americana è alla loro portata. Non si tratta di iniziative isolate. Tutte le formazioni sciite della regione fanno capo a un coordinamento, chiamato enfaticamente “l’asse della resistenza”, diretto da Teheran dove il ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian ha messo in guardia: la rete potrebbe compiere «azioni preventive» e scatenare «fronti multipli» se le truppe israeliane entreranno a Gaza. Un’indicazione a cui il leader degli Houthi, Abdul-Malek al-Houthi, ha subito aderito. Perché quello che venne creato vent’anni fa come uno slogan in risposta all’”asse del male” di George W. Bush, è stato trasformato in un vero complesso militare integrato dal lungo lavoro dal generale Soleimani, la mente dell’espansione internazionale dei Guardiani della Rivoluzione ucciso dagli americani tre anni fa. Gli ayatollah adesso possono muovere pedine in quattro Paesi, lanciando raffiche di razzi contro Israele o contro le caserme Usa, senza venire direttamente coinvolti. In questa partita strategica, la realtà più agguerrita sono gli Hezbollah libanesi, con decine di migliaia di ordigni pronti all’uso. Gli Stati Uniti sono convinti che tutte le milizie stiano valutando discendere in campo nel momento in cui i tank israeliani dovessero penetrare in massa a Gaza. La mobilitazione per la causa palestinese accenderebbe la miccia di questa ragnatela esplosiva, appiccando il fuoco all’intera regione. I segnali sono numerosi: l’ultimo ieri pomeriggio con l’intervento di Mouqtada al Sadr, leader politico e militare iracheno, che ha chiesto formalmente al governo di Baghdad di chiudere l’ambasciata americana. Per questo la Casa Bianca ha suggerito al governo Netanyahu di non invadere la Striscia. E comunque di non alzare il livello dello scontro prima dell’arrivo dei rinforzi. Solo allora ci sarà un duplice schieramento. Quello protettivo, che sommerà ai missili anti-aerei delle navi le undici batterie di Patriot e soprattutto quella di Thaad, il più moderno sistema per intercettare gli ordigni balistici iraniani che sta prendendo posizione interritorio saudita. E quello offensivo, con trecento cruise, metà dei quali a bordo del sottomarino Florida, e quasi 200 velivoli da combattimento. Nell’area ci saranno pure due task force dei Marines, con quattro navi piene di elicotteri e circa cinquemila uomini con i loro mezzi d’assalto. Un deterrente micidiale, che punta a contenere il dilagare del conflitto promettendo una rappresaglia devastante contro qualunque aggressore. Loha sottolineato senza mezzi termini il comandante del Corpo, il generale Eric Smith, commemorando l’anniversario della strage di Beirut del 1983: «Come quarant’anni fa, adesso ci sono altri reparti in Medio Oriente. Anche questi sono andati lì in pace, ma si sono portati dietro gli strumenti della guerra. Alla gente della regione dico: se sparerete contro i marines, qualcun altro crescerà i vostri figli».

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