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La Repubblica Rassegna Stampa
09.08.2017 Stauffenberg, l'uomo che provò a uccidere Hitler
Recensione di Pietro Citati

Testata: La Repubblica
Data: 09 agosto 2017
Pagina: 30
Autore: Pietro Citati
Titolo: «L’uomo che non cambiò la Storia»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 09/08/2017, a pag. 30, con il titolo "L’uomo che non cambiò la Storia", l'analisi di Pietro Citati.

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Pietro Citati

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Claus Schenk von Stauffenberg

Claus Schenk von Stauffenberg nacque il 15 novembre 1907, nell’Altes Schloss di Stoccarda, da una antichissima famiglia del Württemberg. Aveva antenati militari, tra i quali un famoso riformatore dell’esercito tedesco. Il padre aveva sposato la baronessa Caroline Uexkull- Gyllenband, che discendeva da una casata baltica. Alla fine della prima guerra mondiale dovette abbandonare l’Altes Schloss, per abitare nel centro di Stoccarda. Come racconta Peter Steinbach (“L’uomo che voleva uccidere Hitler”, Dehoniane, pagg. 140, euro 12,50), Claus studiò musica e letteratura: lesse con passione “Il tramonto dell’occidente” di Oswald Spengler, che lo difese da ogni simpatia repubblicana: l’assassinio del ministro degli esteri della Repubblica di Weimar, Walther Rathenau, non lo commosse. Molto presto fu affascinato dalla figura e dal gruppo di Stefan George, al quale consacrò una profondissima venerazione, e da Rainer Maria Rilke.

Quando entrò nell’esercito partecipò, senza riserve evidenti, all’invasione della Polonia, criticando impetuosamente il trattamento riservato alle donne nelle regioni occupate. Attaccò Hitler: «Solo un pazzo poteva scatenare la guerra». Fino dal 1938 vide in lui “il principe del male”, “il sovrano dell’impero degli abbietti”; e rifiutò l’obbedienza cieca dell’esercito agli ordini politici. Presto si avvicinò all’aristocrazia e ai militari antinazisti: Helmuth James von Moltke, il cuore del circolo di Kreisau; un uomo spiritoso e intelligentissimo contrario a qualsiasi congiura; al generale Ludwig von Beck, e all’ex sindaco di Lipsia Carl Friedrich Goerdeler, al diplomatico Ulrich von Hassel, e al capitano Helmuth Henning von Tresckow, che già nel 1943 preparò un attacco, nel quale l’aereo di Hitler doveva essere abbattuto da una bomba. Tutti questi attentati fallirono miseramente, a partire dal primo, l’8 novembre 1933, quando un falegname aveva cercato di uccidere Hitler in una birreria di Monaco. Molti tedeschi immaginarono che il loro Führer, il loro Redentore, il Salvatore dell’Universo, fosse protetto da una tenera ed efficientissima Provvidenza. Lo credeva in primo luogo Hitler – che diceva di essere “il tamburino che chiamava a raccolta gli esseri umani” – e che massacrò l’uno dopo l’altro, spietatamente, tutti coloro che cercarono di ostacolarlo.

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La copertina (Dehoniane ed.)

Stauffenberg era ritenuto da tutti un ufficiale dotatissimo, coraggioso, capace di trascinare coloro che aveva accanto, sebbene non si ponesse mai al centro dell’attenzione. Alla fine del 1942 fu mandato in Tunisia, nell’Afrika Korp di Erwin Rommel, dove fu ferito gravemente, perdendo quasi del tutto le mani. Trasportato in patria, rimase in un ospedale militare fino al luglio 1943: quando i congiurati ottennero che venisse trasferito presso il capo di stato maggiore della riserva. Hitler aveva scelto un luogo privilegiato: la Tana del Lupo alle spalle di Rastenburg, nella Prussia orientale. Come disse Galeazzo Ciano, era una via di mezzo tra il monastero e il campo di concentramento. Non c’era una sola macchia di colore né una nota vivace. Tutto era grigio sporco e paludoso: pieno di uniformi e di stivali pesanti. L’evento principale di ogni giornata era il rapporto sulla situazione militare, a mezzogiorno. Durante il pranzo, Hitler si atteneva, come sempre, alla sua rigorosa dieta vegetariana. Alle diciassette invitava le segretarie a prendere il caffè, dedicando un complimento a quelle che mangiavano i biscotti. Dopo cena faceva proiettare un film. Bastava una parola e si lanciava in una arringa interminabile contro il bolscevismo.

Guardava una carta d’Europa: teneva il dito puntato su Mosca e diceva: «Tempo tre o quattro settimane e saremo a Mosca. Mosca verrà rasa al suolo». Non aveva amicizie per nessuno: l’uomo, diceva, era “un risibile batterio”. I nemici erano insetti nocivi da schiacciare tra le dita. Aveva tenerezza solo per la sua cagna. Il popolo tedesco era spregevole. Un giorno, accanto al suo treno, si fermò un treno pieno di soldati tedeschi feriti: si rifiutò di vederli e di parlare con loro; fece abbassare immediatamente la tendina dello scompartimento. Da lì, dalla Tana del Lupo, Hitler dirigeva la guerra. Aveva un profondo disprezzo per i suoi generali, che considerava incompetenti e traditori: pensava di essere il più grande condottiero di tutti i tempi. Obbediva ad un principio: le truppe non dovevano mai ritrarsi, a costo di venire accerchiate e distrutte; e costrinse la Wehrmacht ad alcune terribili sconfitte. Era malato, quando Goebbels, nella primavera del 1943, andò a trovarlo alla Tana del Lupo, Hitler gli fece una impressione sconvolgente: era invecchiato: soffriva di capogiri; la sola vista della neve gli dava un acuto malessere. Aveva l’aria stanca, il volto sfinito: gli occhi erano vacui e giallastri: le spalle curve; la mano sinistra tremava di continuo. Soffriva di una terribile insonnia: a volte singhiozzava. Pallido e stanco per la veglia, giocherellava nervosamente con gli occhiali e le matite di vari colori, che teneva tra le mani. Aveva emicranie, mal di denti, crampi allo stomaco, attacchi di cuore. Stava disteso sul suo lettuccio da campo: balbettava; sembrava che la volontà di vivere lo avesse abbandonato completamente. Mangiava solo dolci. Sembrava un rottame umano – disse il medico – rimpinzato di dolci.

La cosiddetta Operazione Valchiria, ideata dagli antinazisti, iniziò nel luglio 1944. Il 20 luglio Stauffenberg doveva partecipare ad un incontro nella Tana del Lupo. Il suo autista portava con sé una borsa, con documenti ed oggetti personali, molti esplosivi e due inneschi. Intorno alle 11.30, Stauffenberg si presentò al comandante in capo della Wehrmacht, Wilhelm Keitel. Con le mani quasi inesistenti attivò gli inneschi delle due bombe nella borsa. Alle 12.37, ad incontro iniziato, entrò nella stanza dove c’erano più di 20 persone, e lasciò la sua borsa accanto ad una gamba del tavolo, vicino a Hitler. Tre minuti dopo uscì dalla stanza: non sapeva che la borsa era stata spostata: la bomba scoppiò; quattro militari morirono, mentre Hitler rimase lievemente ferito ad un braccio. Alle 13 Goebbels venne informato. Martin Bormann prese i poteri. Himmler fece arrestare Stauffenberg al suo ritorno a Berlino. Alle 17.42, e poi alle 18.20 e alle 18.38 e alle 19.01 e alle 19.15, la radio annunciò che Hitler era sfuggito ad un attentato. Alle 18 Himmler diventò comandante della riserva, con un nuovo capo di stato maggiore: Waldemar Guderian. L’attentato era fallito: i congiurati si uccisero o furono uccisi spaventosamente. Nel momento dell’esecuzione, Stauffenberg dichiarò, con le parole di Stefan George, di aver agito per “la Germania segreta”.

Venne sepolto la stessa notte: riesumato e cremato il giorno dopo. Il giorno successivo il Tribunale Speciale condannò a morte migliaia di socialisti ed oppositori, tra cui il Feldmaresciallo Erwin von Witzleben e il generale Paul von Hase. I condannati vennero condotti davanti al Tribunale in condizioni umilianti, con i vestiti rattoppati, senza bretelle né lacci delle scarpe. L’8 agosto Hitler dispose che le sentenze non fossero eseguite con la ghigliottina ma con un gancio da macellaio. Nel processo del gennaio successivo, il pubblico accusatore, Freisler, si abbandonò ad un parossismo di furore: «Contro i traditori che si azzardavano ad esprimere giudizi su quanto ha deciso il Führer». Moltissimi oppositori furono trucidati in prigione. Uno disse: «Come avrei visto volentieri il mondo a venire». Nel bunker di Berlino, dove era entrato il 16 gennaio 1945, Hitler aveva un piccolo studio con una scrivania, un tavolo, tre poltrone, e un enorme ritratto di Federico il Grande alla parete. Era nelle mani del suo medico che lo riempiva di medicine, ventotto diverse pasticche al giorno. Nel bunker l’atmosfera era sinistra. Hitler ordinò una controffensiva ad una divisione panzer: ma essa non avvenne mai perché la divisione non esisteva da tempo. Un sergente aprì a forza le fauci della cagna di Hitler e la avvelenò. Quando un cameriere aprì la porta della sua stanza, vide il Führer ed Eva Braun distesi, l’uno vicino all’altro, sopra un divano: dal corpo di lei emanava un penetrante odore di mandorle amare, l’odore dell’acido prussico. Hitler aveva la testa piegata: il sangue colava da un foro alla tempia. La pistola giaceva ai suoi piedi. Non erano ancora le diciotto e mezza del 30 aprile 1945.

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