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La Repubblica Rassegna Stampa
21.06.2017 Qatar: ricchezza infinita, schiavitù dei lavoratori stranieri e terrorismo
Commento di Ettore Livini

Testata: La Repubblica
Data: 21 giugno 2017
Pagina: 17
Autore: Ettore Livini
Titolo: «Qatar»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 21/06/2017, a pag. 17, con il titolo "Qatar", il commento di Ettore Livini.

Il Qatar è uno Stato che sostiene e diffonde il terrorismo islamico. Poiché galleggia su una bolla di gas naturale, dispone di enormi fondi per farlo e, al contempo, per garantire un reddito pro capite ai propri cittadini che è il più alto del mondo. Come ricorda l'articolo di Ettore Livini, però, in Qatar gli abitanti sono 2,7 milioni, di cui solo 500.000 cittadini. Gli altri sono lavoratori stranieri senza diritti che vengono impiegati come schiavi. Il reddito pro capite dei cittadini è di 139.000 euro all'anno, quello dei lavoratori-schiavi stranieri di circa 4.000 euro, come riporta il nepalese intervistato.
Purtroppo accanto al nome Qatar nessun media scrive "Stato schiavista".

Ecco l'articolo:


Ettore Livini

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I grattacieli di Doha, capitale del Qatar

Una mandria di 4mila mucche volanti, un ponte aereo di cosce di pollo e decine di bastimenti carichi di mele e insalata stanno riscrivendo in queste ore gli equilibri del Medio Oriente. «Guardi lo scaffale del formaggio e mi dica chi sta vincendo la guerra », ride Maryam Al Kuwari, cassiera al City center mall di Doha. I ripiani stracolmi di caciotte e tomini parlano da soli: Arabia Saudita, Bahrein, Dubai, Emirati arabi ed Egitto – con la benedizione di Donald Trump – hanno chiuso frontiere e commerci con il Qatar (reo, dicono, di finanziare il terrorismo). Ma l’embargo, finora, ha fatto flop: i banconi dei supermercati della capitale traboccano di ogni ben di Dio. Turchia e Iran hanno spedito agli assediati migliaia di tonnellate di cibo per soffiare a Riad - nei frigoriferi e sullo scacchiere diplomatico - il ruolo di partner privilegiato del Qatar. E l’America è finita in cul-de-sac da psicanalisi, divisa tra i tweet pro-sauditi della Casa Bianca e i ramoscelli d’ulivo del Pentagono. «Vede quella macchia grigia all’orizzonte? – dice Mohamed Al-Atthya , operatore del porto di Doha – Altro che embargo. È una delle tre navi della Us Navy impegnate in un’esercitazione congiunta con i nostri marinai».

 

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Non solo: i 10mila soldati statunitensi di stanza ad Al Uedid, la base a un passo dalla capitale da cui partono i bombardamenti sull’Isis, sono ancora tutti lì. E Washington – per dire la confusione che regna sotto il cielo - ha appena venduto al Qatar 36 caccia F-15. Prezzo, pecunia non olet, 12 miliardi. La “resistenza qatarina” contro il blocco – oliata dal reddito pro capite più alto al mondo, 139mila dollari l’anno – ha due volti simbolo. Il primo è quello pop e virale di Motaz Al Kahyatt, inventore del progetto “mucche volanti”. «Quando è arrivata la notizia dell’embargo ho avuto un solo pensiero: lavorare per il bene comune», spiega. Ha dato un’occhiata alla bilancia commerciale, scoperto che il 58% dei latticini consumati da Doha arrivavano da Arabia Saudita ed Emirati e ha preso - «d’impulso», confessa – una decisione: accelerare l’allargamento della sua fattoria a Um Al Hawaya – una distesa verde nel deserto grande come 70 campi di calcio – e trasferire qui in aereo (prezzo 2mila dollari a capo) 4mila vacche Holstein.
 
«Tutto è pronto - racconta il suo braccio destro Mazen Alsebti di fronte ai capannoni dove si stanno sistemando gli ultimi abbeveratoi -. In settimana arriveranno le bestie da Australia e Usa, a luglio il latte “made in Qatar” sarà nei supermercati». Il vero regista del miracolo di questi giorni è però Tamim bin Hamad al Thani, che nel 2013 ha ereditato dal padre le redini dell’emirato. «Quindici giorni fa mezzo Paese rimpiangeva il papà – ammette Omar Al-Nouaimi, studente di ingegneria alla Texas A&M di Doha – oggi è l’eroe nazionale». L’opposto di quello che sperava Riad. Un adesivo con il suo ritratto in bianco e nero – con scritta patriottica “Io sono Tamim” – campeggia sul lunotto posteriore di metà parco macchine nazionale. «Lui è stato decisivo – ammette Nasser Al-Outabia, titolare del negozio Star Food in Abha street -. Quando è stata chiusa la frontiera con l’Arabia, dove passava l’85% dei nostri prodotti alimentari, ho temuto il peggio». E migliaia di qatarini in quelle ore hanno svuotato gli scaffali dei supermercati. Il caos è durato però un paio di giorni. Poi Tamim ha schierato l’artiglieria pesante: i 330 miliardi del suo fondo sovrano. E con una pioggia di petrodollari ha ridisegnato le relazioni commerciali del Paese: l’Iran ha garantito cibo (tre navi al giorno) e un corridoio aereo per non lasciare a terra i jet Qatar Airways. I rifornimenti via mare – che prima passavano da Yebel Eli, negli Emirati – transitano ora via Oman. L’esecutivo ha coperto le spese, comprese le stalle provvisorie per 7mila cammelli e 5mila pecore espulse («sono qatarine») dall’Arabia. E questo fiume di denaro ha consentito di archiviare la crisi in una settimana.
 
«Guardi qui: dice soddisfatto Nasser – le cosce di pollo ce le spedisce la Turchia in aereo, le banane arrivano dall’India, il latte dal Marocco, i pomodori sono made in Iran». Doha ha vinto il primo round. La guerra del Golfo però non è finita. Il Qatar – nel mirino dei vicini per i legami con l’Iran - respinge le accuse al mittente. «Non finanziamo terroristi. Vogliamo sederci a un tavolo e parlare – spiega Sultan Al Thani, uno dei volti nuovi del governo e della famiglia regnante -. Nessuno ci ha fatto richieste precise. Salvo quella di chiudere Al Jazeera. Ma non se ne parla». Doha ha tenuto aperti i rubinetti del Dolphin, il gasdotto che porta il gas ad Abu Dhabi, mentre il Kuwait sta lavorando a una mediazione. «Un tentativo che ci auguriamo vada fino in fondo » dice il nostro ambasciatore a Doha, Pasquale Salzano. Si vedrà. Il conto più salato alla crisi – per ora - lo pagano i 2,3 milioni di migranti (sui 2,7 milioni di abitanti) che stanno costruendo il sogno di questa penisola grande come l’Abruzzo. «Prendo 1.500 riyal (350 euro) al mese – dice nel cantiere della metro il nepalese Arvinder Minhas – e fino a ieri ne spedivo 750 a casa». L’embargo ha sballato i conti. «Il prezzo del latte è aumentato del 20%, i cetrioli del 10% e non risparmio quasi più». Tamim, che non può permettersi scollature sociali, è già corso ai ripari. Un decreto ha congelato i prezzi sui beni di prima necessità. Le eventuali perdite dei privati – grazie agli sterminati giacimenti di gas qatarino – saranno a carico dello Stato.
 
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