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La Repubblica Rassegna Stampa
20.06.2017 Charles Aznavour, un grande artista, figlio della tragedia del popolo armeno
Lo intervista Laura Putti

Testata: La Repubblica
Data: 20 giugno 2017
Pagina: 52
Autore: Laura Putti
Titolo: «Charles Aznavour»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/06/2017, a pag. 52, l'intervista di Laura Putti a Charles Aznavour.

Conosciamo da sempre Charles Aznavour, le cui radici armene hanno portato ad avere una speciale attenzione alla storia ebraica. Se i più giovani fra i nostri lettori non hanno mai ascoltato le sue canzoni non sanno quel che finora hanno perduto. Possono però rimediare...
IC ne ha parlato più volte, rimandiamo per esempio a un suo ritratto scritto da Aldo Baquis: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=74&sez=120&id=64205

Ecco l'intervista:

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Charles Aznavour

L’ETÀ è un concetto sempre più astratto, pensi mentre ti avvicini al divano sul quale è seduto Charles Aznavour. 93 anni compiuti da meno di un mese e una carriera lunga più di 70; circa 1300 canzoni scritte e interpretate in otto lingue, per un totale di 180 milioni di dischi venduti nel mondo. Sempre in scena e sempre con il miracolo di sentirsi trent’anni di meno davanti al suo pubblico. Mai un momento di sosta. Tanto che il tour 2017 prosegue a Roma il 23 luglio, a Cagliari il 13 agosto, in ottobre Australia, Polinesia e anche Tel Aviv, fino all’ultima data italiana il 13 novembre a Milano. Quando lo incontrammo a Parigi nel 2008 annunciò di essere stato appena nominato ambasciatore della Repubblica Armena in Svizzera, dove risiede da anni. Adesso ha in serbo un altro annuncio. «Venti giorni fa a Erevan il governo armeno mi ha consegnato le chiavi del Museo Aznavour, ancora tutto da fare. E io, insieme a mio figlio Nicholas, ho annunciato la creazione della Aznavour Foundation, attraverso la quale continuerò ad aiutare il popolo armeno e aprirò la Charles Aznavour House. Non sarà soltanto un museo, ma anche luogo di spettacolo e cultura».

Lei collabora spesso con musicisti più giovani. Il produttore rap Dr.Dre ha ripreso la sua “Parce que tu crois” nel 2001; nel 2008 ha cantato con un concorrente della “Star Academy” francese; e l’anno scorso ha duettato con il poeta slam Grand Corps Malade. È il suo segreto per restare giovane? «Credo che vecchi e giovani abbiano gli stessi difetti e le stesse qualità. Entrambi, alle volte, dicono cose difficili da capire. Forse mi amano, i giovani, perché non do consigli, ma pareri. C’è una grande differenza. Un parere è: “Dovresti stringerti i lacci delle scarpe”. Non dà fastidio a nessuno ».

E un consiglio? «Le tue scarpe non vanno bene, cambiale».

Anche lei ha detto cose difficili da capire. Nel 1972 scrisse “Comme ils disent”contro l’omofobia; ha cantato dell’Aids in “Amour amer” negli anni 90, o dell’ecologia in “La terre meurt” del 2009. Qual è un tema difficile oggi? «La prossima canzone con un argomento attuale s’intitolerà Elle aurait 16 ans aujourd’hui, oggi lei avrebbe 16 anni. Lei è una dei tanti ragazzi che spariscono e che non vengono mai ritrovati. Rimane una piccola foto segnaletica appesa in un aeroporto. Metto quella ragazza davanti al pubblico. La sua sorte riguarda tutti. Ho anche scritto Être vieux nella quale dico che si può essere vecchi senza esserlo. E ho scritto Le temps des violences, nella quale racconto gli orrori che accadono nel mondo. Continuo a occuparmi del mondo in cui viviamo. Resto incollato alla realtà. Ho le stesse preoccupazioni dei miei contemporanei ».

Dopo due, rapidi matrimoni, nel 1967 ha sposato la signora Ulla. È la più paziente? «La prima volta si è troppo giovani, ci si sposa su un colpo di follia. La seconda volta lei voleva essere Madame Aznavour — ero famoso, erano gli anni di Piaf e Becaud — e questo non mi è mai piaciuto. Ulla ha molte virtù, non ultima un’educazione protestante piuttosto rigorosa che mi ha fatto molto bene. Mi ha messo sulla buona strada. In cinquanta anni non abbiamo mai litigato. Oramai conosco a memoria la sua frase, perfino l’intonazione della voce, ogni volta che scrivo su un tema scomodo. “Tu ne vas pas dire ça?”, non vorrai mica dire questo? Ma lo dico sempre».

La sgrida anche oggi? «Certo. Io rispondo: questa parola è nel dizionario, quindi sono autorizzato a usarla».

A quali parole si riferisce? «Tante. Prostata, cellulite, menopausa. Nella canzone sul cieco, Des ténèbres à la lumière, dico: amo l’odore delle tue ascelle. E subito: Tu ne peux pas dire ça!. Ma io non scrivo mai per caso».

Con quale frequenza continua a scrivere? «Tutti i giorni. Dopo tre autobiografie sto scrivendo un libro per i giovani che vogliano fare una professione artistica. Non do consigli. Apro una porta sulla mia vita privata. Non mi riferisco alle donne che ho amato. Non ne ho mai parlato. Non avrei avuto il diritto di usare le donne che ti hanno dato la vita, anche se sono state cattive e alla volte ti hanno lasciato».

Qual è, oggi, il suo ruolo di ambasciatore? «È al tempo stesso onorario e non. Gli armeni hanno bisogno che si parli di loro. Un po’ come Israele, l’Armenia è circondata da paesi che non la amano troppo. Intervenendo su piccoli problemi con paesi stranieri, io posso farmi ascoltare. Ma non faccio politica. Non sono né di sinistra, né di destra, né di centro».

Però è amico di Chirac, e anche di Sarkozy. «Stiamo parlando di amicizia, non di politica. Con il nuovo presidente sarà lo stesso. E avevo anche una grande ammirazione per Mitterrand. Rispetto il ruolo. E rispetto tutte le religioni. Tutti i popoli. Siamo mediterranei, quindi fatti per vivere insieme».

Anche con la Turchia? Perseguitati dai turchi, i curdi sono gli armeni di oggi? «Il rischio c’è. Ma su questo non prenderò una posizione. La Turchia era il paese di mia madre, il mio sogno è tornarci».

Anche se dopo il genocidio degli armeni del 1915 sua madre è stato l’unico superstite di una grande famiglia? «Ma lei amava molto la Turchia. Diceva sempre: il genocidio l’hanno fatto alcuni turchi, non i turchi».

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