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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/05/2017, a pag. 15, con il titolo "Trump, un alleato per Abu Mazen: 'Faremo la pace' ", la cronaca di Giordano Stabile; dalla REPUBBLICA, a pag. 15, la breve 'Stop soldi alle famiglie dei terroristi'. Non riprendiamo l'articolo di Michele Giorgio sul Manifesto, ripetitivo fino all'ossessione. Secondo Giorgio l'incontro Trump/Abu Mazen si è risolto in un nulla di fatto. Ottimo, invece, il titolo della breve pubblicata da Repubblica: Ecco gli articoli: LA STAMPA - Giordano Stabile: "Trump, un alleato per Abu Mazen: 'Faremo la pace' "
Per quanto imprevedibile, ieri alla Casa Bianca il leader palestinese Abu Mazen ha trovato in Donald Trump un alleato disposto a puntare su di lui. Diverso è il discorso a casa. Nella Striscia di Gaza il suo ritratto viene bruciato assieme a quello di Benjamin Netanyahu. Centinaia di detenuti nelle carceri israeliani fanno lo sciopero della fame e riconoscono la leadership di Marwan Barghouti, un oltranzista che pure vincerebbe eventuali elezioni presidenziali contro di lui. La prospettiva di un voto popolare che potrebbe rilegittimarlo, dopo otto anni di proroghe nella carica, si allontana sempre più. A Gaza l’unica alternativa ad Hamas sembra essere quel Mohammed Dahlan che l’82enne presidente ha spedito in esilio. La battuta che gira fra i palestinesi è che se «non ci fosse Israele in mezzo», la Striscia di Gaza e la Cisgiordania si lancerebbero razzi a vicenda. Abu Mazen è però l’unico che può contribuire al «grande accordo» sognato da Trump. I contorni sono vaghi. Il leader palestinese ha ribadito che non si può uscire dal solco «due popoli, due Stati» e che Israele si deve ritirare dai Territori occupati. Il capo della Casa Bianca non è incline all’ortodossia diplomatica. Il 22 maggio arriverà a Gerusalemme e potrebbe fare l’annuncio da molti temuto. Spostare l’ambasciata da Tel Aviv alla Città Santa. Non ha mancato di dire che la «chimica» con Abu Mazen è ottima. Ma lo è anche con Netanyahu. Conciliare le due posizioni è la cosa «più difficile al mondo», ha ammesso, «ma ce la faremo». Ha insistito che i palestinesi debbono smettere di «incitare alla violenza», cioè pagare indennizzi alle famiglie di detenuti o che hanno perso figli in attacchi contro gli israeliani. Abu Mazen ha ribattuto che solo un accordo di pace è la vera arma per mettere fine al terrorismo. È sembrato un scambio più schietto del solito. Lo stile rude è piaciuto al leader palestinese. Teme molto di più una melina infinita da parte degli israeliani, un negoziato interminabile mentre sul terreno la possibilità di creare uno Stato palestinese diventa fisicamente impossibile e Hamas e gli oltranzisti dilagano nei consensi. Meglio una trattativa dura ma che faccia chiarezza. Ora Abu Mazen sembra crederci e alla fine si è lasciato andare: «Con lei alla presidenza – ha detto a Trump – abbiamo di nuovo una speranza». LA REPUBBLICA: 'Stop soldi alle famiglie dei terroristi'
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