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La Repubblica Rassegna Stampa
20.04.2017 Gli Usa: occorre rivedere l’accordo con Teheran
Cronaca di Federico Rampini

Testata: La Repubblica
Data: 20 aprile 2017
Pagina: 13
Autore: Federico Rampini
Titolo: «Gli Usa: rivedere l’accordo con Teheran»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/04/2017, a pag. 13, con il titolo "Gli Usa: rivedere l’accordo con Teheran", la cronaca di Federico Rampini.

Seguiremo con attenzione l'evoluzione del rapporto Usa-Iran e la revisione degli accordi voluti a tutti i costi da Obama.

Ecco l'articolo:

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Federico Rampini

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«Un Iran incontrollato può diventare un’altra Corea del Nord». L’allarme lanciato dal segretario di Stato Rex Tillerson spiega la mossa del suo presidente. Un’altra promessa elettorale “rischia” di essere mantenuta: può saltare l’accordo sul nucleare con l’Iran. La Casa Bianca annuncia che quell’intesa, firmata in precedenza da Barack Obama, entra ufficialmente nella fase del “riesame”. Al termine potrebbe anche esserci una bocciatura, il ritiro degli Stati Uniti da quell’accordo, il ripristino di sanzioni contro Teheran. Con la complicazione che l’accordo non fu bilaterale bensì coinvolse sette Stati, con Russia Cina, Germania, Francia, Inghilterra, oltre all’Iran e agli Stati Uniti. Trump già in campagna elettorale — prima ancora di circondarsi di “falchi” come il generale Mattis — aveva criticato duramente l’accordo. «Orribile, il peggiore mai negoziato», furono le sue parole nei comizi. Trump aggiunse più volte che l’intesa voluta da Obama non avrebbe impedito a Teheran di costruirsi una bomba atomica quando deciderà di farlo. Ora il presidente si appresta a passare ai fatti. Tillerson ha comunicato al Congresso che inizia il riesame dell’accordo da parte del National Security Council per valutare se la sospensione delle sanzioni economiche contro l’Iran sia «vitale per gli interessi della nostra sicurezza nazionale».

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Nella stessa lettera al Congresso, Tillerson giudica che finora Teheran ha rispettato gli accordi per quanto riguarda il suo programma nucleare e tuttavia rimane uno «sponsor del terrorismo». È un linguaggio simile a quello utilizzato dal generale Mattis, segretario alla Difesa, nel corso di una missione in Arabia saudita. Mattis ha avuto parole di elogio per il ruolo “stabilizzatore” dell’Arabia saudita in Medio Oriente. Per contro, ha detto il generale, «l’Iran rimane uno Stato leader nel sostenere il terrorismo». Il segretario alla Difesa parlando coi suoi omologhi sauditi a Riad ha dichiarato che «ovunque guardiamo in Medio Oriente, se ci sono dei problemi c’è dietro l’Iran». In particolare ha puntato il dito contro il ruolo di Teheran nella guerra dello Yemen accusando il regime degli ayatollah di voler «creare una nuova milizia sul modello Hezbollah per destabilizzare lo Yemen».

L’applicazione dell’accordo sul nucleare fra l’Iran e le sei potenze, verificata dagli ispettori dell’International Atomic Energy Agency (Iaea), consente di liberare progressivamente 100 miliardi di beni iraniani sequestrati o congelati. Segna il ritorno a pieno titolo dell’Iran sul mercato petrolifero mondiale. In cambio la costruzione dell’atomica è fermata per dieci o quindici anni, in base alle clausole molto complesse dell’intesa. A parte le incognite legate ad altri partner come gli europei, cinesi e russi, come reagirebbe l’Iran qualora Trump dovesse stracciare l’accordo e ripristinare le sanzioni americane? Al portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, è stato chiesto se nuove sanzioni Usa potrebbero spingere l’Iran a violare a sua volta l’intesa rilanciando il programma nucleare. «Siamo consapevoli — ha risposto Spicer — del potenziale impatto negativo ». Il portavoce ha confermato che se Trump vuole il riesame, è perché il presidente è convinto che l’Iran non rispetti i patti. «Questa è la ragione per cui ha chiesto il riesame. Se tutto procedesse liscio, non ce ne sarebbe bisogno». Al Congresso c’è una folta schiera di repubblicani che osteggiarono il parziale disgelo obamamiano con l’Iran: sono pronti ad appoggiare Trump su questo dossier. Che andrebbe ad aggiungersi a Siria e Corea del Nord, gli altri due focolai di crisi.

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