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Corriere del Veneto Rassegna Stampa
01.04.2017 Ore 17, lezione di jihad: così si usa il coltello. Ma in Italia i terroristi sono sempre 'presunti'
Cronaca di Andrea Priante

Testata: Corriere del Veneto
Data: 01 aprile 2017
Pagina: 3
Autore: Andrea Priante
Titolo: «Ore 17, lezione di jihad: così si usa il coltello»

Riprendiamo dal CORRIERE del VENETO di oggi, 01/04/2017, a pag.3, con il titolo "Ore 17, lezione di jihad: così si usa il coltello" la cronaca accurata di Andrea Priante.
Così precisa da non giustificare la qualifica di " presunti" attribuita ai terroristi, nella titolazione e all'interno dell'articolo.  Non avere ancora sgozzato nessuno nè fatto stragi, ma soltanto perchè ne stanno imparando le tecniche, definirli 'presunti' aiuta a a capire perchè le nostre società super garantiste nei confronti di criminali conclamati si sta scavando con le proprie mani la fossa.

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Ore 17, i sermoni, i video, la sharia ,jihad. Nelle nuove carte dei pm la vita dei presunti terroristi all'interno del covo.  Così si usa il coltello. «Distruggeremo l'Europa» Per imparare le tecniche di combattimento e. mantenersi in forma. Poi Il martirio. La persona che sacrifica se stesso per dire che la parola di Dio è quella più alta, sacrifica se stesso per far sì che i musulmani abbiano la pace.
È il 17 marzo, sono le 10.15 del mattino. Fisnik se ne sta seduto in cucina fissando lo schermo del computer. Alza il volume per sentire meglio e gli altoparlanti liberano nell'aria i versi di una poesia che celebra la grandezza di chi combatte il jihad «fin quando la bandiera sventola nel cielo e la sharia sarà applicata». Fisnik scoppia a ridere. «Perché ridi?», gli chiede Qamil. Il nome è di fantasia ma il volto è quello di un ragazzino kossovaro di 17 anni che da qualche tempo frequenta quell'appartamento al quarto piano della palazzina di San Marco. Un edificio signorile, le scale pulite e i muri imbiancati di fresco. «Lui - risponde Fisnik indicando l'uomo che compare sullo schermo - chiede di lavorare. E dice: "Spero di avere questo onore"». «Che lavoro?». «Di tagliargli la testa...». Ci si diverte con questo, guardando morire uomini innocenti. E intanto nessuno dei due si rende conto che le microspie piazzate dagli investigatori registrano ogni suono, ogni parola. E tutto viene trascritto e finirà in quelle 43 pagine firmate dal sostituto procuratore Francesca Campi, con le quali lunedì ha chiesto l'arresto di tre kossovari accusati di essere dei terroristi pronti a sferrare un attacco al cuore di Venezia. In carcere sono finiti Fisnik Bekaj, 24 anni; suo cugino Dake Haziraj, 26; e Arjan Babaj, un 27enne nato nel ex Jugoslavia. Oltre a loro, giovedì è stato sottoposto a fermo anche Qamil, il minorenne. I discepoli La vita nel covo veneziano dei (presunti) jihadisti, ruota intorno alle preghiere e a quei folli filmati diffusi in Rete dagli organi di propaganda dell'Isis. Ogni tanto qualcuno pigia il campanello con l'etichetta bianca, e dalla porta verde si affaccia un amico. Gli inquirenti ne hanno «schedari» almeno una dozzina, tutti kossovari, hanno tra i 17 e i 28 anni e tra loro si chiamano con soprannomi come «Shpat» o «Manuèl». Restano nell'appartamento il tempo di ascoltare i sermoni di Babaj, come quello del 28 febbraio quando dice ai suoi discepoli che «gli Stati del mondo si stanno distruggendo. Allah li mette l'uno contro l'altro... E la causa di questo è il non aver applicato la sharia (la legge islamica, ndr)...». E i presenti, all'unisono, rispondono: «Amen». Stando all'indagine dell'Antiterrorismo di Venezia, Babaj è il vero leader della cellula jihadista. Si improvvisa imam quando guida la preghiera con i «fratelli kossovari» e predica la guerra santa non appena rimane solo con i suoi fedelissimi. I buon musulmano, dice, deve studiare Corano, La lotta «Devi usare pesi più leggeri...». Sono le 17.35 del 4 marzo e Man Babaj lo ripete di continuo: per un buon allenamento non bisogna sforzare i troppo i muscoli. Qamil, il suo giovanissimo discepolo, pompa i bicipiti e lo sta a sentire. L'allenamento avviene nel solito appartamento ma anche in una palestra del centro storico. «Ci andiamo almeno tre o quattro volte la settimana», si ripromette Dake Haziraj. Nessuna forma di «narcisismo di matrice occidentale», sia chiaro: anche l'allenamento è funzionale alla causa jihadista. Ma quando si combatte, oltre ai muscoli, conta la tranquillità. «Dovete essere calmi. Più calmi siete, più forti siete... Non colpire mai il corpo ma solo la testa». E notte fonda, il 5 marzo, quando Babaj racconta di quando era un ragazzaccio che si azzuffava di continuo. «Tutti avevano paura». Ma ora ha imparato che è meglio non dare nell'occhio. «Sono passati i tempi in cui litigavo con tutti. Il cambiamento è avvenuto da un giorno all altro e ho capito che accompagnarsi ai kafir (gli infedeli, ndr) è peccato. Adesso ci penso dieci volte prima di dire qualcosa, a differenza di quanto fanno i kafir... La miglior bevanda, è il sangue dei kafir ». E scoppia a ridere. I gruppetto di fanatici, in genere, lavora fino alle 17.Fanno i camerieri nei ristoranti frequentati da quegli stessi turisti occidentali che vorrebhero sterminare, magari con una bomba a Rialto, come gli scappa di dire a Qamil. E appena a casa, si incollano al computer per guardare i video dello Stato Islamico e commentarli. Sono consapevoli di quanto ascendente possano avere i social network. «Io consiglio di lavorare continuamente in internet, perché anche questa è Jihad e non è niente di meno di quello che fanno gli altri credenti nei campi di battaglia», chiosa Fisnik. È da poco passata la mezzanotte e nell'appartamento si diffonde musica araba. I quattro sono tutti insieme e guardano un tutorial spiegare che il coltello non deve essere troppo piccolo e deve essere affilato. Adesso bisogna vedere i punti essenziali dove colpire. In primo luogo la gola, sgozzando così abbiamo sgozzato bene. Il secondo punto è il torace, bisogna cercare il cuore... e l'arteria femorale...». Queste sono le parole registrate dalla microspie. Le immagini, invece, mostrano un soldato dell'Isis che apre la cassa toracica a un prigioniero. Babaj scrolla le spalle e agli amici spiega che anche gli infedeli commettono quelle atrocità nei confronti dei musulmani. «E una forma di risposta... Se per esempio a qualcuno viene tagliata la lingua o altro...». «Distruggere l'Europa» Il sogno, e quello di morire per Allah. Anche se gli infedeli non capiscono e «un musulmano devoto, lo chiamano terrorista». Il 5 marzo, alle 16.08, il gruppo si interroga sull'importanza della shahadia, il martirio. E il solito Babaj non ha dubbi: «La persona che combatte per qualcuno, è quella che combatte per la strada di Allah. Sacrifica se stesso per dire che la parola di Dio è quella più alta. Sacrifica se stesso per far sì che i musulmani abbiano la pace». Le eleganti mura della palazzina di San Marco nascondono un mondo assurdo, fatto di suoni ipnotici, preghiere e commenti postati su Face-book («Allah, dacci la possibilità di trionfare su questi miscredenti», scrive Dake Haziraj). Le paure restano fuori. «Il dubbio è di Shejtan (il diavolo, ndr)», dicono. E allora, tutti insieme si sentono invincibili. E arrivano a contarsi per fare la rivoluzione dell'Islam: «Per esempio, noi qua siamo in cinque... chi potrebbe dire che non ci siano altri 50mila fuori? Con 50mila sai che fai?! Non il Kossovo, ma l'Europa puoi distruggere!». 

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