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Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 23/05/2017, a pag. 10, con il titolo "La preghiera al Muro del Pianto, gesto semplice e rivoluzionario", l'analisi di Fiamma Nirenstein.
Ancora più importante, finisce la scommessa perdente di Obama sul regime degli ayatollah, mentre lo si vede per quello che è: un Paese fanatico, imperialista e integralista, sostenitore del terrorismo internazionale, devoto alla distruzione di Israele. Così è una scelta strategica fondamentale quella di ieri per cui Trump è andato al Muro del Pianto. Per la prima volta nella storia un presidente americano si è avventurato fin là, nella prima visita all'estero e a soli quattro mesi dall'elezione. E vero, molti guai lo inseguono, ma questo non c'entra col dichiararsi «un sostenitore entusiasta di Israele» come ha fatto ieri. Si è detto che Netanyahu avrebbe voluto accompagnarlo al Muro, ma questo avrebbe significato un riconoscimento esplicito della sovranità israeliana su Gerusalemme, mentre essa fa parte secondo l'Onu, dei territori disputati dal 1967. Ma non c'è dubbio: la visita era al sito ebraico, israeliano, più importante del mondo. Durante la Guerra dei Sei Giorni nella più incredibile commozione Gerusalemme fu riunificata battendo l'attacco giordano. Ma il Muro del Pianto non è un monumento: è il cuore pulsante dell'ebraismo mondiale, sognato da centinaia di persone che sentono che là è l'origine del monoteismo e quindi della storia umana. Gerusalemme divenne il simbolo della rinascita ebraica e dell'unità ed è magnifico vedere come la città è fiorita, vibrante, come le tre religioni vengono per la prima volta nella storia praticate liberamente. Trump ha visitato con Melania il Santo Sepolcro senza farsi riprendere. Poi si è avventurato per i vicoli della Città Vecchia fino a quello che in ebraico viene detto Kotel ha maaravì, il Muro Occidentale, ovvero la muraglia perimetrale del grande Tempio costruito dal re Erode (non quello della strage) per sorreggere il luogo della fede ebraica, meraviglia del mondo, dove anche Gesù andò in pellegrinaggio alle feste comandate agli ebrei. Oggi, nel rispetto generale, sorgono sulla spianata le due grandi moschee, ma il Muro del Tempio ha le pietre levigate da baci e carezze degli ebrei. Arrivato al Kotel Trump è stato accompagnato da due religiosi, quello del Muro Shmuel Rabinovich e il presidente della fondazione per la conservazione del Muro Occidentale Mordechai Eliav. Una visita tutta ebraica: nessuno può veramente credere, nel mondo, che il luogo più sacro agli ebrei sia «occupato» o «conteso». Dirlo è soltanto un modo di appoggiare la follia dell'Unesco che lo ha dichiarato puro retaggio musulmano, contro la Bibbia, il Vangelo, i libri di storia di Tacito, di Flavio Giuseppe, contro i bassorilievi dell'arco di Tito, e il comune buon senso. Trump ha gravissimi problemi a casa, ma questo viaggio, gestito in toni bassi quanto rivoluzionari, con una mimica e un linguaggio corporeo rinnovato, quieto, rassicurante, ha portato una ventata di buon senso. Ai palestinesi, che incontra oggi, farà bene parlare della realtà e non del sogno di vedere Israele che incurante della sua sicurezza abbandona tutto il West Bank e persino Gerusalemme. Gerusalemme ha dato agli ebrei la forza di vivere nei millenni nonostante esilio e persecuzioni. Il gesto di Trump è rivoluzionario, come lo è il fatto che abbia visitato i Sauditi e abbia offerto loro e al resto del mondo arabo una solida alleanza contro il terrorismo e anche contro la prepotenza iraniana. Le due cose si legano e forse, chissà, possono disegnare su un terreno di comune lotta al terrorismo un qualche processo di pace. Oggi la vicenda continua. Per inviare la propria opinione al Giornale, telefonare: 02/85661, oppure cliccare sulla e-mail sottostante segreteria@ilgiornale.it |
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