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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
01.04.2016 'Aiutiamo i profughi a rifiutare l'islamismo: il terzomondismo fa il gioco di chi vuole lo scontro'
Davide Romano intervistato da Alberto Giannoni

Testata:
Autore: Alberto Giannoni
Titolo: «'Attenti a chi accogliamo: i figli potrebbero ucciderci'»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 01/04/2016, a pag. 16, con il titolo "Attenti a chi accogliamo: i figli potrebbero ucciderci", l'intervista di Alberto Giannoni a Davide Romano.

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Davide Romano

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Musulmani in preghiera a Milano, di fronte al Duomo

«Dobbiamo salvare le vite, è vero. Ma anche le nostre». Gli ebrei, da sempre, sono i primi ad avvertire il pericolo del fanatismo. Lo sentono nell'aria. «Proprio come i canarini che i minatori portavano nelle gallerie» dice Davide Romano, portavoce della sinagoga Beth Shlomo di Milano. «Quel canarino da anni fa fatica a respirare perché manca ossigeno», spiega.

Un fanatismo soffocante? «Al di là degli attentati, da anni ci sono problemi di intolleranza da parte delle minoranze islamiche più fanatiche. Sono conseguenza di una incapacità di governare il fenomeno».

Ma lei ora sente un pericolo incombente? «Il pericolo c'è, lo dice la cronaca. In Europa dal 2000 è diventato difficile parlare di Shoah e gli ebrei vengono aggrediti da minoranze fanatiche. Ma l'Occidente ha chiuso gli occhi. Eppure, la strage di Tolosa anticipa quelle di Parigi e Bruxelles».

Cosa dobbiamo fare? Continuare ad accogliere? «È nostro dovere aprire le porte a chi scappa dalle guerre. Dobbiamo salvare più vite possibile ma anche le nostre. E salvare loro dal diventare quelli che ci uccideranno. Non abbandonarli alla jihad».

Ma è davvero possibile? E quanto tempo ci vorrà? «Le migrazioni sono iniziate negli anni Ottanta. Abbiamo di fronte modelli che hanno fallito. Servono principi chiari, con doveri e diritti».

Oggi si parla solo di diritti? «Non dobbiamo lasciare alcuno spazio vuoto. Perché l'islam radicale è liquido e si infila dove trova spazi vuoti. Carceri, scuole, disagio sociale. Si deve monitorare senza timori di violare il politicamente corretto. Imponendo i nostri principi».

Guardare in faccia il pericolo? «Bisogna smettere di negare che esista il problema. Chiamare le cose col loro nome. Il fatto che l'Isis riceva sostegni da alcuni Paesi islamici è un fatto. Chi non vuol vedere rischia di fare esattamente come il Pci che parlava di sedicenti Brigate rosse. Dobbiamo prosciugare l'area di simpatia per l'estremismo. Anzi, devono farlo le comunità islamiche. Altrimenti possiamo anche sconfiggere Al Qaida prima e l'Isis, poi, ma arriverà sempre qualcos'altro».

Chi chiude un occhio? «C'è l'idea che esista un solo islam e gli si possa concedere tutto. Ma esistono diverse voci. Il terzomondismo ascolta chi urla di più, ma è il più forte. E la violenza fa più notizia, per esempio, del Marocco che promuove corsi per gli imam in funzione anti-integralista».

A Milano la Comunità ebraica (di cui lei è assessore) ha bocciato il piano del Comune per le moschee. «Il problema deve essere ricondotto alla base, a una guerra di fazioni. Il bando dava il timbro, con la possibilità di imporsi sulle altre, a una fazione. Ci sono stati appelli all'apertura, caduti nel vuoto. Non è riuscita ad aprirsi a tutti».

Ci ha provato davvero? Alcuni episodi fanno pensare a una certa ambiguità. «È la logica della fazione. La moschea doveva essere strutturalmente pluralista. Una moschea senza la comunità marocchina o somala tenderebbe alla faziosità. Io avrei preferito una scelta di merito a favore di chi ha fatto di più per affermare i diritti, per esempio delle donne. e ora faccio un appello ai candidati sindaco, perché spieghino chiaramente cosa vogliono fare».

Voi ebrei avete subito un'aggressione, però, da frange politiche, il 25 aprile? «Sì, da una sinistra antagonista, che sposa tesi anti-ebraiche e anti-americane e pattume vario che accomuna i fanatici estremisti e religiosi. Comunque la Brigata ebraica tornerà in piazza con le sue bandiere. Guai ad abbassare la testa».

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