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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.03.2017 Turchia: processi e purghe per i giornalisti che non si piegano a Erdogan
Cronaca e analisi di Monica Ricci Sargentini

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 marzo 2017
Pagina: 6
Autore: Monica Ricci Sargentini
Titolo: «Istanbul, processo alla stampa per 'terrorismo' - Noémi e l'appello dei 'prof' rimossi: non ci arrenderemo ma chiediamo aiuto»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/03/2017, a pag. 6, con i titoli "Istanbul, processo alla stampa per 'terrorismo' ", "Noémi e l'appello dei 'prof' rimossi: non ci arrenderemo ma chiediamo aiuto", due servizi di Monica Ricci Sargentini.

Ecco gli articoli:

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Monica Ricci Sargentini

"Istanbul, processo alla stampa per 'terrorismo' "

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Una manifestazione contro Erdogan: "I giornalisti non sono terroristi"

Lo chiamano il processo al «braccio mediatico» di Feto, l’organizzazione terroristica che farebbe capo a Fethullah Gülen, il predicatore islamico rifugiato negli Usa e accusato di aver orchestrato il fallito golpe del 15 luglio scorso. Sul banco degli imputati, ieri ad Istanbul, c’erano 29 giornalisti, tra cui l’ex cantante pop Atilla Tas che rischia, come gli altri, una condanna a 15 anni di prigione. L’accusa, per tutti, è di «terrorismo» ma nelle 196 pagine redatte dalla procura, fa notare il Centro per la libertà di Stoccolma, «non c’è un singolo episodio di attività criminale ma solo stralci di articoli, notizie e messaggi critici su Twitter». Per il pm il fatto di aver lavorato per i giornali o le tv che sono state chiuse dopo il 15 luglio sembra essere già indizio grave di colpevolezza. Molti degli imputati avevano lavorato per il quotidiano Zaman , un tempo il più venduto in Turchia, messo sotto sequestro e poi chiuso nel 2016.

Alla prima udienza erano presenti 27 dei 29 accusati. Due sono latitanti, tra questi c’è Said Sefa, accusato di essere l’autore dell’account twitter di Fuat Avni che con tre milioni di follower e le sue rivelazioni sull’Akp ha fatto infuriare Erdogan. Per lui è stato chiesto l’ergastolo. La Turchia è il Paese con il maggior numero di giornalisti in prigione, circa 150 secondo diverse associazioni per i diritti umani. Ma il presidente Erdogan continua a ripetere che sono criminali: «Datemi la lista, la guardo e vi dico che sono tutti ladri, pedofili, terroristi». Tra questi c’è Deniz Yücel, il corrispondente di Die Welt , la cui detenzione ha causato non poche frizioni con Berlino. Ieri, proprio in Germania, i turchi hanno cominciato a votare per il referendum che si terrà il 16 aprile e che potrebbe trasformare la Turchia in una Repubblica presidenziale. I sondaggi danno ancora il sì e il no testa a testa. Decisivi saranno, dunque, anche i voti dei 2,5 milioni di turchi che vivono in Europa.

"Noémi e l'appello dei 'prof' rimossi: non ci arrenderemo ma chiediamo aiuto"

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Noémi Lévy-Aksu

I professori universitari sono sotto attacco in Turchia. Quasi 5mila di loro hanno perso il lavoro dopo il fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016. Alcuni hanno deciso di non abbandonare i loro studenti e di insegnare fuori dalle università. Senza stipendio, però, la sopravvivenza è difficile. Per questo alcuni atenei in Canada e negli Stati Uniti hanno lanciato una raccolta fondi. La situazione è talmente grave che il principale partito di opposizione ha messo a punto un rapporto dal titolo «Professori licenziati, università deserte» in cui si denuncia, tra l’altro, la chiusura di 15 atenei su 191. Il leader del Chp, Kemal Kılıçdaroglu, ha accusato il partito al governo, l’Akp, di punire i docenti che dissentono. Come quei 2.212 professori che l’11 gennaio 2016 hanno firmato la Petizione degli accademici per la pace dal titolo «Non saremo parte di questo crimine!» in cui si chiedeva la fine delle operazioni dell’esercito turco nel sud est del Paese, a maggioranza curda. Più di 300 sono stati licenziati.

Tra questi è diventato un caso quello della storica francese Noémi Lévy-Aksu, 36 anni, in Turchia dal 2003 e docente a tempo pieno alla Bogaziçi University dal 2010 dove insegna Storia della Turchia moderna. Lo scorso 22 febbraio il Consiglio per l’educazione superiore(Yok) le ha revocato il permesso di lavoro e di residenza mettendo così fine al contratto che le era stato rinnovato dall’ateneo nel dicembre 2016. «Quando mi è stata comunicata la decisione — racconta al Corriere — ero a Londra, alla scuola di legge del Birkbeck College dove sono in sabbatico per scrivere un libro sull’uso dello stato d’emergenza nel tardo Impero Ottomano. Ma mi sono precipitata a Istanbul per protestare e ho ricevuto la solidarietà di tanti colleghi e soprattutto degli studenti». Ironicamente Noémi Lévy-Aksu, che è sposata con un avvocato turco e ha una figlia di 5 anni, il 6 marzo aveva sostenuto con successo ad Ankara l’esame per diventare professore associato: «Mi servirà in futuro. Non ho alcuna intenzione di lasciare la Turchia. Qui c’è la mia vita. Penso che questa tragica situazione non continuerà per sempre, anche se ci vorrà tempo per risolverla. Molti accademici continuano a scrivere. I miei studenti hanno fatto un presidio per chiedere la mia riassunzione. Non ci possono silenziare».

Il presidente Erdogan, però, la pensa diversamente e, come ha detto più volte, il manifesto degli accademici «mina l’unità del Paese». Nei giorni scorsi Lévy-Aksu ha diffuso un messaggio-appello che ha fatto il giro del mondo universitario internazionale in cui spiega di non volere un intervento diplomatico delle autorità francesi: «Visti i silenzi e la timidezza della Francia e dell’Europa su quanto sta accadendo nelle regioni curde mi sembrerebbe indecente che la diplomazia si mobilitasse per il mio caso personale. E poi io non mi considero una straniera, come molti di voi sanno ho chiesto la cittadinanza turca». Non chiede sconti Noémi: «Voglio condividere lo stesso destino dei miei colleghi». Ma vuole solidarietà dal mondo accademico: «Mandateci dei soldi perché non bastano più. Accogliete i professori licenziati e i dottorandi perseguitati e tagliate i ponti con lo Yok di Ankara, all’origine del mio siluramento. Io gli ho fatto causa e la vincerò». Se si è pentita? «No, anzi, vado fiera di quella firma». La strada, però, è tutta in salita. La prossima settimana Noémi atterrerà ad Istanbul con un visto da turista.

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