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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.10.2016 Siria: lo Stato islamico sconfitto a Dabiq, cade la centrale della propaganda
Cronaca di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 ottobre 2016
Pagina: 8
Autore: Davide Frattini
Titolo: «L'Isis perde Dabiq, il 'villaggio della profezia'. I ribelli lo conquistano con l'aiuto dei turchi»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/10/2016, a pag. 8, con il titolo "L'Isis perde Dabiq, il 'villaggio della profezia'. I ribelli lo conquistano con l'aiuto dei turchi", la cronaca di Davide Frattini.

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Davide Frattini

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Terroristi dello Stato islamico

La battaglia epica non c’è stata e la fine del mondo sembra rinviata. I miliziani dello Stato Islamico hanno applicato a Dabiq la stessa tattica usata per gli altri villaggi che hanno perduto: abbandonati quasi senza combattere. Eppure quei cubi di cemento non intonacato raggruppati a dieci chilometri dalla frontiera con la Turchia hanno svolto il ruolo di protagonisti nella telenovela apocalittica diffusa dai predicatori del Califfato. A Mosul, invece, nella notte è partito l’attacco per riconquistare la città irachena. Nella piana attorno a Dabiq — vaticinò Maometto — dovrebbe svolgersi l’ultimo scontro tra i musulmani e i cristiani, una sfida che sancirebbe la vittoria conclusiva dell’Islam sull’Occidente.

Per ora le truppe irregolari di Abu Bakr Al Baghdadi sono state cacciate da duemila musulmani come loro, i ribelli siriani appoggiati dall’artiglieria e dall’aviazione turche. Che per dieci giorni hanno bombardato le postazioni degli estremisti: dopo la conquista del villaggio nell’agosto del 2014, l’Isis aveva trasferito almeno 1.200 uomini in questa zona, malgrado la limitata importanza strategica. Perché qui gli strateghi in nero volevano attrarre i crociati in quella «invasione benedetta» agognata da Abu Musab Al Zarqawi, leader di Al Qaeda in Iraq e primo ideologo dello Stato Islamico. Qui Jihadi John, il terrorista di origine britannica, ha decapitato Peter Kassig, l’ex Ranger dell’esercito americano che cercava di portare aiuti e soccorsi ai siriani: «In questa terra seppelliamo il primo crociato e aspettiamo gli altri per lo scontro finale». Per due anni la propaganda del Califfato, con gli slogan dell’orrore e i proclami di rivincita islamica, ha ingigantito lo spazio occupato da Dabiq sulla mappa: il nome del villaggio e quel che simboleggia per i cultori dell’apocalisse è diventato il titolo della rivista mensile usata come spot per reclutare i combattenti anche in Europa.

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Adesso gli sminatori dell’Esercito siriano libero stanno ripulendo Dabiq casa per casa, gli estremisti sono fuggiti ma si sono lasciati dietro il tritolo e la paura inculcata nei tremila abitanti. Da quest’area i generali turchi vogliono continuare ad avanzare nella fascia che corre lungo il confine con l’idea di creare una zona cuscinetto e per impedire ai curdi di rinsaldare i pezzi della Rojava, la regione autonoma che si stanno ritagliando dentro al caos siriano. Gli americani sostengono i curdi e allo stesso tempo hanno dato il via libera alle operazioni turche.

Restano consapevoli che il vero obiettivo è la riconquista di Raqqa, a sud-est dentro il territorio siriano: la città è stata dichiarata da Abu Bakr Al Baghdadi la sua capitale amministrativa, ricopre altrettanta importanza strategica e simbolica di Mosul in Iraq. Barack Obama ha continuato a ripetere che spedire una nuova generazione di soldati in un’offensiva di terra significherebbe cadere nella trappola. La trappola creata con le mine delle profezie: il conto alla rovescia per l’avvento dell’apocalisse comincerebbe nel giorno in cui i «romani» mettono piede a Dabiq, i calzari aggiornati agli anfibi dei militari occidentali. Fra tre mesi, quando il successore del presidente s’insedia alla Casa Bianca, dovrà decidere se mantenere la stessa strategia che si limita al supporto con l’aviazione e al finanziamento dei gruppi ribelli considerati moderati. O — com’è convinta Hillary Clinton — ordinare che gli Stati Uniti sostengano fino in fondo la riconquista di Raqqa.

Gli analisti considerano la città più strategica di Mosul, perché il deserto attorno è ricco del petrolio che finanzia le operazioni dei terroristi. Anche il regime di Bashar Assad vorrebbe riprendersi quella che era una delle province più ricche del Paese, da dove sono sempre arrivati il greggio e l’elettricità per Damasco dalle dighe sull’Eufrate. Per ora il dittatore e i suoi alleati russi concentrano i bombardamenti sulla parte orientale di Aleppo.

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