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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Libero Rassegna Stampa
08.03.2024 Donne israeliane escluse dal corteo dell'8 marzo
Commento di Tiziana Lapelosa

Testata: Libero
Data: 08 marzo 2024
Pagina: 1/9
Autore: Tiziana Lapelosa
Titolo: «Vergogna femminista «Dal corteo dell’8 marzo escluse le israeliane»»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 08/03/2024, a pag.1/9 con il titolo "Vergogna femminista «Dal corteo dell’8 marzo escluse le israeliane»" il commento di Tiziana Lapelosa.


Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane


"Se toccano una toccano tutte", recita lo striscione. Un ottimo slogan, davvero. Ma non riguarda quel femminismo che lascia toccare, stuprare e uccidere le donne israeliane senza alzare un sopracciglio

Sarà un corteo antisemita, quello che oggi sfilerà per la Festa della Donna? Quello, per intenderci, organizzato in più piazze d’Italia e che porta la firma di Nudm, la sigla che sta per “Non una di meno”? Il movimento femminista e transfemminista che - come si legge sul sito - «dal 2016 si batte contro ogni forma di violenza di genere, contro tutte le facce che assume il patriarcato nella società in cui viviamo...», sembra essersi dimenticato delle donne israeliane. Tutte, ma soprattutto di quelle stuprate, trucidate, uccise dai terroristi di Hamas nell’attacco dello scorso 7 ottobre.
Una “dimenticanza” che non è sfuggita a Noemi Di Segni, la presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, che ieri ha affidato il suo sconcerto e la sua disapprovazione all’Ansa. Il fatto è che, nella piattaforma per oggi, “Non una di meno” chiede «il cessate il fuoco su Gaza per fermare il genocidio, la fine dell’apartheid e dell’occupazione coloniale in Palestina». Genocidio, apartheid, occupazione coloniale: tutti termini che alla Di Segni non vanno giù. Il corteo «non è assolutamente aperto a tutte», dice. «Non lo era il 25 novembre (nella giornata internazionale contro la violenza di genere, ndr) e non lo è adesso. Il manifesto evidenzia solo quello di dolore e di orrore da denunciare, rispetto a mille che ci sono nel mondo, e già questo spiega che si è fatta una scelta di campo, di stare solo da una parte». Che è un po’ come dire “o con noi o contro di noi”.
Evidentemente per loro ci sono le donne “vere” - sempre loro- che si battono per i diritti (all’aborto, alla parità di salario, contro il patriarcato e il gender gap, contro ogni forma di violenza di genere), e poi le donne “false”, con la d minuscola. Quelle israeliane, per l’appunto, e naturalmente quelle di destra. D’altronde, cosa mai potrà capire una donna non schierata a sinistra? E infatti, dalle parti di “Non una di meno”, gli slogan contro Giorgia Meloni si sprecano, manco fosse la “mandante” dei femminicidi. E però, come detto, anche essere israeliana, oggi che della donna si celebra la Festa, sembra essere una colpa grave per le organizzatrici dei cortei, che vedono l’appoggio dei sindacati e «convintamente» quello di Europa Verde. Quasi che l’essere prese in ostaggio, stuprate e uccise da Hamas non avesse la stessa valenza proprio perché israeliane.
Secondo la Di Segni è proprio questa l’anima che muove le manifestazioni di oggi.
«C’è una dimenticanza totale, una rimozione, una negazione di quello che è stato il 7 ottobre», osserva spiegando che quelle donne sono state «totalmente dimenticate, negate e messe da parte. Questo negazionismo e questo distogliere lo sguardo è antisemitismo: alcune donne valgono meno di altre». Donne che «si stavano svegliando, stavano ballando, non stavano facendo la guerra, non avevano attaccato il territorio palestinese. Molte di loro erano donne impegnate nella pace. Queste donne sono state trucidate, violentate, deturpate in modo indescrivibile.
Negare questo da parte di altre donne non è solo un’altra violenza, ma è antisemitismo». Il rischio, per la presidente Ucei è duplice. Da una parte si distoglie lo sguardo da quello che accade «nei luoghi dove noi viviamo come donne italiane». Dall’altra si distorce il tema israelo-palestinese e, quindi, «il tema della convivenza tra ebrei e altre fedi. Questa è la cosa grave». Le “sue” donne, come fu per il 25 novembre, vengono ricordate dalla comunità in un sit in a parte, con la ministra Pari Opportunità e Famiglia, Eugenia Roccella, che propone il 7 marzo come data del ricordo delle vittime di Hamas.
In ogni caso, bandite le mimose e con i megafoni tra le mani, le nonunadimeno oggi grideranno forte contro la violenza patriarcale (nella quale sembra non compresa quella dei terroristi) e per i diritti.
La mobilitazione prevede che ci si astenga dal lavoro salariale e gratuito, dai lavori di genere (si immaginano milioni di fornelli e lavatrici spente) e di cura (che si arrangino bambini e anziani o chiedano aiuto ai maschi - si può dire?) e da quelle attività in cui ogni giorno agisce il patriarcato. E quindi, case, scuole, luoghi di lavoro, università, ospedali, strade e piazze.
Con qualcosa di viola odi nero addosso, poi, a squarciagola si tuonerà contro le destre «che hanno reso ancora più dure le politiche familiste, razziste e nazionaliste che alimentano sfruttamento e violenza». Senza dimenticare il no alla scuola del merito e delle disuguaglianze e all’autonomia differenziata, ai sì per aumenti salariali, educazione sessuo-affettiva, diritto alla casa... il tutto a suon di tamburi e sonagli. Le donne israeliane se ne facciano una ragione. Più che non una di meno sembra non una di più.

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