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Da PANORAMA del 23 giugno 2008: Si sa che al-Maliki, nonostante le sue non superficiali relazioni con l’Iran (per cui a volte è stato criticato in patria), pochi giorni prima di partire aveva ascoltato i comandanti militari americani nel suo paese e ne aveva ricevuto un messaggio inequivoco: cerchi di spiegare agli iraniani che è insopportabile che il regime degli ayatollah seguiti a esportare la sua rivoluzione in Iraq con una guerra di terrore alla neonata e fragile democrazia irachena, tramite uomini armati che si infiltrano, combattono, organizzano gruppi, portano armi e denaro senza risparmio. Partendo per l’Iran, al-Maliki sapeva pure che il suo popolo in stragrande maggioranza è molto stanco degli spargimenti di sangue di cui l’Iran è responsabile in parte considerevole. E che le cose vanno nella direzione di una generale opposizione, in tutti i gruppi etnici e religiosi, al terrore. Riferisce Caroline Glick sul Jerusalem Post che, prima della visita di al-Maliki, il direttore del quotidiano Al- Dustour, Bassim al-Sheikh, scriveva: «La delegazione di al-Maliki presenterà alla parte iraniana prove inconfutabili dell’interferenza iraniana negli affari interni dell’Iraq, e forse porterà a una rivoluzione nei rapporti delle relazioni fra i due paesi. Specie ora che il gioco dell’Iran è stato messo in chiaro e ben poche carte coperte sono ancora in mani iraniane». Anche il giornale Al-Sabah al-Jadid sperava in una «razionale sistemazione delle divergenze fra vicini», ma la storia del pacco all’ambasciatore al-Sheikh rende difficile immaginare che questo sia avvenuto. Il messaggio ribadisce la decisione strategica dell’Iran di opporsi, come sia il presidente Mahmoud Ahmadinejad sia l’ayatollah Ali Khamenei hanno ripetuto, a un accordo per stabilire i termini di una presenza americana di lunga durata in Iraq. Quello di cui appunto sta discutendo il premier al-Maliki in queste settimane. Per il disegno egemonico del regime, l’Iraq non può ergersi come sede di un governo democraticamente eletto e allineato con gli Stati Uniti; l’esercito non può guerreggiare a fianco a fianco con i marines contro Al Qaeda e contro le milizie della jihad sciita. L’Iran si sente in piene forze, come si vede da tutti i no opposti alle ultime proposte dell’alto rappresentante per la politica estera della Ue, Javier Solana, che ha promesso notevoli vantaggi economici e diplomatici in cambio della rinuncia a perseguire l’arricchimento dell’uranio per scopi nucleari. Il Libano e Gaza sono territori sempre più agibili per la jihad di Ahmadinejad, l’accerchiamento di Israele è compiuto, l’Iraq è parte del futuro che l’Iran disegna. Guai se sulla sua strada si mette da qui a chissà quando un Iraq filoamericano e magari, sotto sotto, persino propenso a rapporti con Israele. panorama@mondadori.it |
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