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Da PANORAMA del 7 dicembre 2007, un articolo di Fiamma Nirenstein: Nel sito EyeontheUn scopriamo con sorpresa che il 29 novembre l’Onu, invece di festeggiare la nascita della patria del popolo ebraico, ha tenuto il suo Giorno annuale di solidarietà con il popolo palestinese. Nel quartier generale dell’Onu il giorno è stato marcato da discorsi di molti leader in una sala ornata con due bandiere, quella dell’Onu e quella palestinese. Assente la bandiera israeliana. Nel 2005, durante il medesimo evento, veniva esibita una carta del Medio Oriente senza lo stato d’Israele e si tenne un minuto di silenzio per il sacrificio dei terroristi suicidi. Nel 2006, dopo che lo scandalo esplose, la carta sparì e il momento di silenzio fu omesso. Ma per non mancare alla tradizione di lutto, la stanza del Trusteeship council dell’Onu fu adornata con pannelli che proclamavano il «diritto al ritorno» di 7 o 8 milioni di palestinesi (espulsi furono circa 700 mila contro un numero pari di ebrei dai paesi arabi). Quest’anno non ci sono stati pannelli, ma una quantità di discorsi. In quello di Abu Mazen, letto da Yasser Abed Rabbo, si faceva presente che Israele «costruisce un muro di apartheid» e si denunciavano le «misure di giudaizzazione». Un rappresentante della società civile (quelli a cui si riferisce il Papa quando invita le ong a politiche più confacenti alla morale), il reverendo Chris Ferguson del Consiglio mondiale delle Chiese, ha detto la parola «terrorismo» soltanto, riporta EyeontheUn, per definire «terrorizzanti» gli attacchi dei missili Kassam. E si è rivolto invece alla comunità internazionale perché «rafforzi la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro l’apartheid e l’oppressione». È una coincidenza che fa pensare al fatto che, sempre nella stessa settimana, ad Annapolis si è svolta la grande conferenza di pacificazione israelo-palestinese cui erano presenti 49 nazioni, inclusi tutti gli stati arabi. L’apartheid, di fatto, è stato visto all’opera, ma contro lo stato d’Israele: per compiacere i sauditi e gli altri paesi che non riconoscono Israele, George W. Bush li ha separati fisicamente durante tutta la conferenza in modo che non si sfiorassero. Gli ebrei non entravano dalla stessa porta, alla cena comune sedevano distanti, il ministro israeliano, signora Tzipi Livni, a un certo punto è sbottato: «Perché nessuno vuole stringermi la mano, perché nessuno mi parla?». Anche i giornalisti israeliani si sono dovuti chiedere se avessero un cattivo odore, dato che all’ambasciata saudita, dove i media erano invitati per una conferenza stampa, sono stati lasciati sul marciapiede al freddo. Ma ogni forma di delegittimazione d’Israele è legittima per il consesso internazionale: la massima fonte di legittimità, l’Onu, non è quella che dichiarò che il sionismo è razzismo? Che dedica tre quarti delle sue risoluzioni di condanna per violazione dei diritti umani non alla Cina o all’Iran, ma a Israele? Non è l’Onu che invita un suo membro, l’Iran, che dichiara di voler distruggere un altro membro, Israele, a esprimersi nelle sue sedi? Che manda la sua forza Unifil in Libano per evitare la guerra e lascia riarmare fino ai denti gli hezbollah? Forse ci si può augurare che il discorso del Papa trovi un seguito. L’Onu non ha solo tradito i diritti umani abbandonando la difesa della libertà e promuovendo i dittatori a legittimi interlocutori. Ha anche fatto dei diritti umani un ostaggio, e ha trasformato la Realpolitik in legittimazione di marca Onu. panorama@mondadori.it |
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