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Informazione Corretta Rassegna Stampa
11.01.2024 Israele può credere alla promesse americane?
Analisi di David Elber

Testata: Informazione Corretta
Data: 11 gennaio 2024
Pagina: 1
Autore: David Elber
Titolo: «Israele può credere alla promesse americane?»

Israele può credere alla promesse americane?
Analisi di David Elber

Yoram Ettinger, ex ambasciatore di Israele
Yoram Ettinger, ex ambasciatore di Israele, ricorda la pericolosa inaffidabilità degli USA

Si è appena conclusa l’ennesima visita del Segretario di Stato USA Blinken, in Israele, con la quale ha, da un lato, mostrato ancora una volta vicinanza all’alleato israeliano, dall’altro ha ribadito tutte le divergenze della Casa Bianca con Israele, che si sono palesate fin dalla prima fase della controffensiva israeliana a Gaza. Da una lato, quindi, pieno appoggio alle forniture di munizioni e mezzi che il ministero della difesa USA stà garantendo ad Israele (anche se nelle ultime settimane si è verificato un forte rallentamento delle consegne del quale non sono state fornite spiegazioni). Dall’altro pesanti critiche su come sono condotte le operazioni militari (benché pienamente in linea con quelle fatte dagli USA in Afghanistan, Iraq e Siria) e soprattutto enormi divergenze sulla gestione della Striscia di Gaza nel dopo guerra. Tali divergenze si sono così tanto acuite, che il premier israeliano Netanyahu non ha neanche rilasciato un comunicato dopo l’incontro del 9 gennaio. Ma quali sono i forti contrasti che dividono l’amministrazione Biden dall’esecutivo israeliano? Se ne possono individuare almeno due. Il primo è relativo all’intensità e alla durata della guerra. Per l’amministrazione Biden, Israele dovrebbe ridurre drasticamente il suo impegno militare a Gaza e terminare il prima possibile gli scontri armati. Questo non perché Israele abbia “vinto” la guerra ma per mere ragioni elettorali: tra poche settimane inizierà la lunga campagna elettorale USA che si concluderà a novembre con l’elezione del presidente, e l’amministrazione Biden considera la guerra a Gaza come un “ostacolo” alla rielezione di un presidente democratico. Perciò per gli alleati americani è molto più importante che Israele finisca la guerra piuttosto che la vinca e sradichi definitivamente Hamas anche se a parole dica il contrario. Se Israele seguisse “l’imposizione” americana sarebbe un disastro politico/militare le cui conseguenze si riverbererebbero per numerosi anni a venire e l’esistenza stessa di Israele sarebbe a rischio. L’altra questione di contrasto, come si accennava in precedenza, è quella relativa alla gestione di Gaza nel dopo guerra. L’amministrazione Biden continua, in maniera isterica e priva di appoggi nella realtà, a voler imporre ad Israele un completo ritiro da Gaza permettendo all’Autorità Palestinese di assumere il controllo della Striscia. Il problema però è che il duo Biden/Blinken fa finta di non riconoscere che l’AP è parte del problema e non la soluzione del conflitto che contrappone Israele agli arabi. Infatti, l’Autorità Palestinese destina una grande parte del proprio budget annuo per pagare i terroristi (o i famigliari) che hanno ammazzato ebrei, la cui colpa è solo di esserlo, per pagare “insegnati” che insegnano odio antiebraico nelle scuole, infine gli stessi membri dell’Autorità Palestinese sono una cleptocrazia corrotta e dispotica che non ha il minimo sostegno popolare. Perché allora l’amministrazione Biden – ben sapendo come stanno le cose – vuole che sia l’AP a gestire Gaza? Perché vuole guadagnare tempo (a spese di Israele) riducendo le tensioni interne americane, causate dal conflitto, in previsione delle elezioni, facendo terminare la guerra a Gaza costi quel che costi (il conto lo pagherà Israele in termini di sicurezza e credibilità con il mondo sunnita). Infatti sia Biden che, soprattutto Blinken non hanno saputo dire nulla di concreto per il dopo guerra, se non delle fumose e improbabili affermazioni relative ad una Autorità Palestinese “rinvigorita” senza specificare in che cosa si discosti da quella attuale, oltre che, all’immancabile litania dei “due Stati per due popoli” che il solo pensarlo dopo il 7 ottobre fa venire i brividi. Per rafforzare questa visione del dopo guerra, del tutto staccata dalla realtà, il duo Biden/Blinken ha messo sul piatto la promessa, ad Israele, che gli USA saranno i “garanti” della sicurezza di Israele oltre che i supervisori dell’Autorità Palestinese “rinvigorita”. Ma Israele può credere alle promesse americane? No nel modo più assoluto. Ora ne vediamo i motivi prendendo spunto da fatti storici che hanno visto coinvolte diverse amministrazioni USA. Yoram Ettinger, ex ambasciatore di Israele, a tal proposito ci fornisce una serie di illuminanti esempi di promesse americane: «Il 5 dicembre 1994, Stati Uniti, Gran Bretagna e Russia hanno firmato il memorandum di Budapest relativo alle garanzie di sicurezza, che garantiva l'integrità territoriale dell'Ucraina. Il Memorandum vietava alla Russia di usare la forza militare o la coercizione economica contro l'Ucraina, se non per autodifesa. Il memorandum imponeva all'Ucraina di rinunciare al suo arsenale nucleare, che all'epoca era il terzo più grande al mondo. Era presente anche Donald Blinken, ambasciatore degli Stati Uniti in Ungheria e padre dell’attuale segretario Blinken.» Come è andata a finire l’abbiamo visto tutti. Un altro esempio lo fornisce sempre Ettinger: «Nel 1954, il presidente Eisenhower firmò un trattato di difesa con Taiwan, ma nel 1979 - quando la Cina iniziava a schierarsi con gli Stati Uniti contro l'URSS - il presidente Carter annullò unilateralmente il trattato con il sostegno del Congresso, riconoscendo la "posizione di una sola Cina" con "Taiwan che fa parte della Cina". La Corte Suprema degli Stati Uniti si astenne dall'intervenire, dichiarando la questione "non giudicabile". Il trattato di difesa è stato sostituito con il Taiwan Relations Act del Congresso del 1979, militarmente non impegnativo. La predominanza della Costituzione statunitense nella definizione della politica interna ed estera degli Stati Uniti dimostra che i patti di difesa statunitensi non sono di ferro». Infine, tra i numerosi altri casi citabili, si può citare un caso che ha riguardato direttamente Israele, a questo proposito ci ricorda Ettinger: «Nel novembre 1956, il Presidente Eisenhower emise un memorandum per compensare Israele per il suo completo ritiro dalla Penisola del Sinai: "Nessuna nazione ha il diritto di impedire con la forza il libero passaggio nel Golfo [di Suez] e attraverso lo Stretto [di Tiran, che conduce a Eilat]... Gli Stati Uniti sono pronti ad esercitare il diritto di libero passaggio e ad unirsi ad altri per ottenere il riconoscimento generale di questo diritto". Israele fu indotto a credere che gli Stati Uniti avrebbero usato tutti i mezzi per impedire le violazioni egiziane sia nel Sinai smilitarizzato, sia bloccando il passaggio israeliano nel Canale di Suez o bloccando l'accesso al porto di Eilat. Tuttavia, nel 1967, quando la documentazione delle violazioni egiziane fu presentata al presidente Johnson, questi sostenne (giustamente) che il memorandum non era stato ratificato dal Senato degli Stati Uniti e che non c'era il sostegno del Congresso all'intervento militare affermando: "Io sono un texano alto, ma senza il Congresso sono un presidente basso che non vale un solo centesimo"». Chi può credere che le cose cambieranno in futuro? In conclusione è facilmente dimostrabile che gli USA si sono dimostrati “garanti” per i suoi alleati solo nel momento in cui i suoi interessi coincidevano con quelli dell’alleato di turno per poi scaricarlo nel momento in cui gli interessi divergevano. Per questo motivo l’attuale governo (e quello futuro) di Israele hanno il dovere di portare avanti l’operazione militare a Gaza fino alla completa rimozione di Hamas e rimanere nella Striscia fino a che un’opzione reale e plausibile consenta il ritiro dell’esercito.

David Elber
David Elber

takinut3@gmail.com

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