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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
04.06.2017 Tramballi e la Guerra dei Sei Giorni
La storia che la esse minuscola, condita con stizza e livore

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 04 giugno 2017
Pagina: 23
Autore: Ugo Tramballi
Titolo: «Sei giorni, mille guerre»

Riprendiamo dal SOLE24ORE-DOMENICA di oggi, 04/06/2017, a pag.20, con il titolo "Sei giorni, mille guerre" il pezzo di Ugo Tramballi, nel quale indossa i panni dello storico, un abito che non gli si addice, in quanto manca degli attributi base per potersi definire tale. E' ignorante, nel senso che non conosce ciò di cui scrive, al massimo potrebbe fregiarsi della qualifica di 'polemista', l'oggetto del suo odio è Israele, per cui ogni avvenimento è buono per sfoderare la sua sciaboletta, e interpretare storie che non riescono a scalfire la storia vera, quella con la S maiuscola.
Le sue punture di spillo sono questa volta rivolte alla Guerra dei Sei Giorni, le prenderemmo troppo sul serio se gli rendessimo l'onore di smentirlo. Basta leggerlo per capire il livore che lo guida.
L'unico appunto lo rivolgiamo, come nostra abitudine, al giornale che lo ospita, continuiamo a scriverlo anche se non ci stupisce l'uso che Confindustria può fare di Tramballi nei confronti dei paesi islamici. Vedete come ci comportiamo con Israele -sembrano dire i nostri bravi industriali- quindi comprate i nostri prodotti!

Ecco lo sfogo tramballesco:
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Ugo Tramballi

Ci sono cose di cui mi rammarico. Per esempio gli insediamenti nei Territori nei quali io stesso, sfortunatamente, ho messo mano, e che sono stati davvero un grande errore», ammise Shimon Peres nel 2007, quando diventò presidente d'Israele. Ma era ormai troppo tardi. Apparentemente quella dei Sei giorni non fumoltodiversadalle altreguerrecombattute e vinte da Israele. Fu rapida: iniziò all'albadel5 giugno 1967e l'11le parti firmarono il cessate il fuoco. Mai gli israeliani ebbero un successocosì folgorante: l'attacco a sorpresa della loro aviazione distrusse a terra l'aeronautica egiziana e siriana. Avevano preso l'iniziativa per anticipare quella che sembrava un'imminente aggressione, dopo che l'Egitto aveva chiuso allenavi israeliane gli stretti di Tiran, nel golfo di Aqaba. Oggi la storiografia ha quasi accertato che Gamal Nasser stesse barando. Millantare la forza che non si possiede, è un pericoloso vizio dei rais. Circa 35 anni dopo anche Saddam Hussein avrebbe fatto credere di possedere l'atomica che l'Iraq non aveva: invece di tenere lontano gli americani, offrì loro il pretestoperattaccare. Piùo menocosì and• anche a Nasser. Levi Eshkol, l'unico premier della storia d'Israele ad essere più incline al negoziato che all'azione, cercò di evitare il conflitto. Fu sconfitto dal partito della guerra nel suo governo che poche ore prima dell'attacco impose Moshe Dayan come ministro della Difesa. Alcuni anni dopo anche Dayan sarebbe diventato uomo del dialogo. Come Yitzhak Rabin che nel '67 era il capo di Stato Maggiore delle forze armate: guidando la guerra dal quartier generale di Tel Aviv, Rabin s'intossicò di sigarette fino a svenire; e come Ezer Weizman il comandante dell'aeronautica, l'artefice di "Bazak" la vittoria lampo. Questo sarebbe stata la guerra dei Sei giorni - una delle tante nella regione- se nel corso di quella settimana scarsa Israele non avesse conquistato 26mila miglia quadrate di territorio arabo, tre volte più grande degli 8mila dello Stato d'Israele. È questo che ne fa il conflitto più importante: ha aperto mezzo secolo di conflitti e speranze ancora in sospeso, in attesa di soluzione. Labibliografia è vasta. Dal bellissimo "1967" di Tom Segev (Metropolitan Books, 2008), all'ortodosso La Guerra dei Sei Giorni - Alle origini del conflitto arabo-israeliano di David Oren (Mondadori 2004), al polemico Six Days War - A Narrative History di Jeremy Bowen (Simon e Shuster, 2004). Israele ha restituito la penisola del Sinai agli egiziani (1979), la striscia di Gaza ai palestinesi (2005); se volessero farlo, non saprebbero a chi riconsegnare le alture del Golan siriane. Ma il cuore del problema sono Gerusalemme Est e la Cisgiordania, occupate da più di 7oomila coloni ebrei. La conquista fu un imprevisto della storia: Israele aveva invitato Hussein a restare fuori dalla guerra. Ma quando Nasser gli telefonò barando anche sull'andamento del conflitto, il re giordano gli credette e intervenne. In poche ore "Motta" Gur, il comandante dei parà, conquistò la città vecchia e in due giorni il generale Uzi Narkis prese tutta la Cisgiordania. A Elyakim Ha'etzny, uno dei fondatori del Gush Emounim, i radicali israeliani dalle cui costole sono nati tutti i movimenti ebraici nazional-religiosi di oggi, una volta chiesi cosa ne sarebbe statodella sua vita da militante sulle colline della Giudea se Hussein non avesse creduto alla menzogna di Nasser. «Avrei continuato a fare l'avvocato a Tel Aviv», rispose nella sua casa di Kiryat Arba, la più violenta delle colonie. La sproporzionatadifferenza fra una vita estrema e una normale solo per un dettagliodella storia, era il sottile veleno che l'occupazione aveva inoculato nell'organismo d'Israele. L'occupazione dei Territori «ha contaminato le nostre norme come una falda acquifera inquinata», sosteneva A.B. Yehoshua. «Dal 1967 in Israele hanno incominciato a funzionare due sistemi paralleli: quello normativo, costituzionale dello Stato d'Israele e, dall'altro lato, i Territori amministrati dove le norme morali e di polizia erano completamente differenti». All'inizio, dopo la vittoria, gli israeliani non avevano le idee chiare su cosa fare dei territori. Un mese dopo la guerra, di fronte a un milione di palestinesi da governare, il ministro dell'Educazione inviò una lettera al generale Narkis: «Dobbiamo insegnare loro i nostri programmi scolastici? Bialik, Chernichowsky, Sholom Aleichem, la Bibbia? Cosa dobbiamo fare?». Non ebbe una risposta. Sei mesi prima della guerra il Mossad aveva stabilito che in caso di guerra l'esercito avrebbe dovuto entrare in Cisgiordania solo per eliminare i centri della resistenza palestinese dai quali partivano gli attacchi deifedayn. Un'occupazione sarebbe stata "una catastrofe". In un memorandum segreto che affrontava gli aspetti politici ed economici di un'occupazione, ilcentro studi delle Forze armate, il Collegio della difesa nazionale, sottolineò che fra il 2035 e il '50 la popolazione araba avrebbe superato quella ebraica. Se agli arabi d'Israele si fossero aggiunti quelli di una Cisgiordania annessa, il partito palestinese sarebbe stato il secondo in parlamento. L'alternativa all'estensione agli arabi dei diritti goduti dagli ebrei, sarebbe stata la riduzione della libertà, la chiusura dei palestinesi in zone isolate. Razzismo e oppressione che «noi come popolo e come ebrei aborriamo, che porrebbero Israele in una luce negativa e in una posizione internazionale difficile», conduse il generale Elad Peled, il comandante del Collegio di difesa. Nel settembre 1967, tre mesi dopo la guerra, fu inaugurato il primo insediamento ebraico, Kfar Etzion, a Sud di Betlemme. «Nessuno in Israele ha il diritto di cedere uno iota della Terra d'Israele che possediamo», stabilì Yitzhak Nissim, il rabbino capo sefardita di allora. Il conflitto politico, il risorgimento nazionale di due popoli, l'ebraico e il palestinese, sarebbe inesorabilmente scivolato verso lo scontro religioso. Cinquant'anni più tardi, è ormai incapace di liberarsene.

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