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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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L’ultimo treno per Istanbul Ayşe Kulin 04/11/2017
 L’ultimo treno per Istanbul Ayşe Kulin
Traduzione di L. Di Maio

Newton Compton euro 5,00

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Ayşe Kulin

“…l’urgenza della guerra non deve farci dimenticare la nostra umanità” Una pagina di storia poco nota rivive nel romanzo “L’ultimo treno per Istanbul”, primo libro ad essere tradotto in Italia di Ayşe Kulin, una delle autrici più apprezzate della Turchia. Nata nel 1941 a Istanbul, oltre ad aver firmato diversi best seller internazionali riscuotendo successo di pubblico e di critica, ha lavorato come produttrice e autrice cinematografica e televisiva. Nel 2008 con “L’ultimo treno per Istanbul” ha ottenuto il prestigioso premio del Consiglio europeo delle comunità ebraiche. E’ un capitolo della seconda guerra mondiale che rende onore a quei funzionari e diplomatici turchi che, dando prova di coraggio e determinazione, sfruttarono la neutralità della Turchia per proteggere gli ebrei perseguitati dal regime nazista fornendo loro passaporti del paese in riva al Bosforo, salvando quelli già caricati sui treni per la deportazione e organizzando convogli diretti a Istanbul. Tra il 1943 e il 1944 ben 12 treni di questo genere attraversarono l’Europa e portarono gli ebrei in salvo in Turchia, un paese ben diverso da quello attuale sempre più autoritario, che in quegli anni pur schierato simbolicamente dalla parte degli Alleati rimase neutrale per la maggior parte del conflitto. L’autrice spiega che il suo romanzo non è una storia vera ma racchiude tante verità perché “è basata sulle esperienze di diversi diplomatici turchi che erano stati assegnati in Europa durante la seconda guerra mondiale e che sono riusciti a salvare ebrei turchi e tanti altri dalla follia di Hitler”. Ambientato fra Ankara, Marsiglia, Parigi, Berlino e Il Cairo, “L’ultimo treno per Istanbul” non è solo la testimonianza di un’epoca storica segnata da gravi conflitti ma anche la narrazione delle dinamiche che intervengono nella vita delle famiglie sottoposte alle pressioni della guerra, di rapporti affettivi complessi, del coraggio di alcune persone disposte a tendere una mano per salvare degli innocenti colpevoli solo di appartenere al popolo ebraico. Fazil Reşat è l’ultimo pascià ottomano della Turchia, un uomo illuminato che ha consentito alle figlie Sabiha e Selva di ricevere un’istruzione moderna e cosmopolita: suonano svariati strumenti, parlano correntemente più lingue e frequentano gli ambienti dell’alta società turca. Mentre Sabiha si sposa con il diplomatico Macit e conduce una vita di agi, la sorella Selva si innamora di Rafael Alfandari, un ebreo turco figlio di un rispettabile medico. Un’unione, quella di Selva e Rafo, osteggiata sin dall’inizio sia dagli amici che li allontanano, sia da entrambe le famiglie. Rafael è un giovane brillante con un avvenire sicuro ma le tradizioni e i costumi musulmani non consentono l’unione di un ebreo con una musulmana. Dopo un matrimonio celebrato in sordina a Istanbul ai due giovani non resta che partire per la Francia stabilendosi a Parigi nella speranza di trovare accoglienza in un paese laico e tollerante. Con l’occupazione nazista della Francia la situazione precipita: i due giovani che nel frattempo hanno avuto un bambino cui Selva ha messo il nome del nonno Fazil, sono costretti a trasferirsi a Marsiglia, zona franca fino a quando, complice il regime collaborazionista di Pétain, i nazisti iniziano i rastrellamenti e le persecuzioni degli ebrei. Ad Ankara Sabiha, vittima dei sensi di colpa per aver agevolato l’unione di Selva e Rafo, si allontana dal marito Macit assorbito dall’estenuante lavoro al ministero degli esteri turco, ma quando l’amico e confidente Tarik Arica viene inviato a Parigi in qualità di secondo segretario al consolato turco gli affida espressamente la salvezza della famiglia Alfandari. Tarik, uomo integerrimo e di alto profilo morale, si prodigherà in ogni modo per proteggere gli Alfandari e molti altri ebrei dai rastrellamenti dei nazisti fino a impedire con l’aiuto del valoroso console turco a Marsiglia, Nazim Kender, la deportazione di più di ottanta persone nei campi di sterminio. Kender dopo essere salito volontariamente su quel treno in cui si trova anche Rafo Alfandari si rifiuta di scendere fino alla liberazione di tutti gli ebrei catturati. “Tutte le 80 persone circondavano Nazim Kender e volevano baciargli le mani o le guance, oppure abbracciarlo. Coloro che non riuscivano ad avvicinarsi, allungavano le braccia solo per toccargli le spalle o la schiena, come se fosse un oggetto sacro……Non c’erano parole per descrivere la gratitudine di quelle persone”. Dopo complessi negoziati e frenetiche consultazioni fra i diplomatici consolari turchi si concretizza di comune accordo un progetto ardito: collegare un vagone a un treno diretto a Istanbul che attraverso la Germania nazista (“…è la strada più sicura. Se persino pensarci dà i brividi, chi mai penserebbe che un treno che trasporta così tanti ebrei oserebbe passare per la Germania?...proprio questo pensiero è la nostra sicurezza”) cercherà di portare in salvo quante più vite possibili di ebrei turchi con o senza passaporto. Intense ed emozionanti sono le pagine che descrivono i rischi corsi e gli sforzi impiegati da Ferit affiliato della Resistenza francese e da Tarik - con la collaborazione di Selva che si presta ad insegnare il turco a chi non lo conosce – per organizzare il numero più alto possibile di ebrei da condurre su quel treno della salvezza. Un’umanità variegata, giovani, vecchi, bambini, scienziati e musicisti si ritrova su una carrozza speciale con La Stella e la Mezzaluna condividendo l’ansia e la paura di essere scoperti con la speranza in un futuro migliore. E allora anche il violino, che un passeggero inizia a suonare dopo lo scampato pericolo di un’ispezione delle SS, diventa un modo per rasserenare l’anima e predisporla alla fiducia in un mondo più giusto, lontano dagli orrori della guerra. “ Asseo posizionò il violino sotto al mento e cominciò a suonare, con tutta la forza che gli era rimasta in corpo. Le note del concerto per violino di Paganini fluttuavano nello scompartimento come un ruscello che corre per le montagne innevate. La musica commosse l’anima e il cuore delle persone nello scompartimento, trasportandole lontano….” Sullo sfondo di una Turchia divisa fra tradizionalismo e modernità che l’autrice descrive con mirabile arte narrativa, “L’ultimo treno per Istanbul” è il racconto di una pagina della Storia, sconosciuta ai più, che getta una nuova luce sui tragici avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale e si aggiunge alla conoscenza di altri episodi che hanno visto coinvolti Giusti come Carl Lutz che salvò migliaia di ebrei a Budapest o Rezso Kasztner che organizzò un treno dall’Ungheria alla Svizzera. A dispetto di una traduzione poco curata il romanzo di Ayşe Kulin è una storia coinvolgente che induce a riflettere sul valore della solidarietà fra esseri umani, senza distinzione di religione o credo politico, sul coraggio e la forza di uomini che, consapevoli di mettere a rischio la propria vita per salvare centinaia di persone, hanno reso onore a quegli ideali di libertà e giustizia in cui credevano e che fanno dire a Ferit: “ ….voglio dimostrare a me stesso che in mezzo a tutto questo orrore sono ancora un essere umano. Credo che valga la pena di vivere se, mentre siamo su questa terra, facciamo qualcosa di onorabile”.

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Giorgia Greco


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