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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Yvonne Sherratt, I filosofi di Hitler 31/03/2014

I filosofi di Hitler                              Yvonne Sherratt
Bollati Boringhieri                           euro 20,00

Platone è morto, idem Hegel e Kant, Leibniz pure. Con chi parlo di filosofia? Con Berla, che non capisce un tubo?». Come lo Stalin di Solzenicyn, che nel Primo cerchio siede alla sua scrivania del Cremlino e sospira pensando d'essere l'ultimo grande filosofo rimasto al mondo, anche Adolf Hitler era un grande pensatore per autoproclamazione, oltre che per acclamazione da parte del suo fan club, composto di SS e Gestapo a caccia dl giudei e d'altri parassiti sociali. È l'incipit della storia che Yvonne Sherratt racconta in un grande libro di storia, i Filosofi di Hitler, dove gli eventi universali si riflettono, fracassati, nei cocci delle singole vite. Mentre Hitler, nel Primo cerchio nazista, si misura con la memoria dei filosofi classici tedeschi che considera suoi pari, Nietzsche e Schopenhauer in testa, la filosofia tedesca prende partito pro o contro la cultura nazionalsocialista. C'è una vena d'antisemitismo in tutta la filosofia tedesca, spiega Sherratt. Non solo Hegel o Fichte, per non parlare della famigerata Questione ebraica di Marx, ma addirittura Kant non fu esente da stupefacenti pregiudizi antiebraici. Poi il pregiudizio etnico e metafisico si trasformò in psicosi culturale: Richard Wagner, l'antisemitismo come «socialismo degl'imbecilli» secondo la socialdemocrazia austriaca, infine Hitler e il suo antigiudaismo apocalittico. Tra quelli che fin dall'inizio abbracciarono la causa nazista (o meglio la causa delle SA, le bande armate che hanno portato il partito nazista al potere, così incontrollabili da sfidare Io stesso Hitler, che le liquidò nella notte dei cristalli) vi fu il principale filosofo tedesco dell'epoca: Martin Heidegger. Maestro e amante di Hannah Arendt, ebrea e sionista, Heidegger avrebbe tracciato con lingua esoterica II sentiero della moderna filosofia esistenzialista e spronato gli uomini, o almeno gli ariani, a emanciparsi da ciò che chiamava «inautenticità»: la tecnica, l'americanizzazione, «d'oblio» dell'essere. Theodor W. Adorno, che fu tra i filosofi che dai nazisti dovettero cercare scampo e che riparò in America insieme a Max Horkheímer, Leo Loewenthal, Herbert Marcuse, Friedrich Pollock e all' intera Scuola di Francoforte, dedicò all'opera di Heidegger un feroce pamphlet filosofico, II gergo dell'autenticità, dove lo si sbertuccia come una sorta di clown involontario della trascendenza, che ricorre al «gergo aziendale dell'autenticità», delle origini, delle «cose semplici», della tradizione, per «difendere, come se fossero imperiture, forme sociali destinate a tramontare». Heidegger rinnegò il suo maestro Edmund Husserl, al quale doveva la cattedra che occupava e che fu allontanato, in quanto ebreo, dall'università. Nel 1933 Heidegger portava gli stessi baffetti a spazzolino di Hitler. Hannah Arendt, a dimostrazione che anche l'amore per la filosofia è cieco, non perse mai la sua devozione per lui. Carl Schmitt fu l'altro grande filosofo (e giurista) di Hitler. Al pari di Heidegger, che fu un nazista mai pentito e un grande filosofo allo stesso tempo, anche Schmitt non fu soltanto il giurista che coprì gli orrori dello «stato d'eccezione» e del «decisionismo» hitleriano; fu anche uno dei principali teorici della politica del Novecento. Intellettuali non meno prestigiosi di lui, e di gran lunga più gradevoli e umani, come per esempio Walter Benjamin, di cui Sherratt racconta con commozione le vicissitudini fino al suicidio per overdose di morfina sul confine spagnolo, dove disperò di poter sfuggire ai cacciatori d'ebrei di Vichy, non furono altrettanto fortunati. Stile efficace. Grande libro di storia, I filosofi di Hitler è un libro che racconta il secolo breve senza retorica, ma soprattutto senza facili concessioni all'Intellettualismo, di rigore quando l'intellighenzia occupa il centro della scena. Yvonne Sherratt non stravede per i filosofi, ma come nel Primo cerchio di Solzenicyn, per tornare al punto da cui siamo partiti, è «l'angelo della filosofia medievale» che svolazza sopra la scrivania di Stalin. Invisibile, l'angelo sorride.

Diego Gabutti
Corriere della Sera/Sette


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