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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Israel Joshua Singer, La famiglia Karnowski 10/06/2013

La famiglia Karnowski                       Israel Joshua Singer
Traduzione di Anna Callow
Adelphi                                                            euro 20

Il re dei critici letterari Harold Bloom, parlando di scrittori intramontabili, ha dichiarato poco tempo fa che era Israel Joshua Singer (1893-1944) lo scrittore yiddish che avrebbe dovuto prendere il Nobel, lui, “il più talentuoso”, e non suo fratello minore, Isaac Bashevis (1902-1991) che invece lo vinse nel 1978 e distese un velo sulla notorietà dell’altro. E in effetti la sorte dei Singer ha qualcosa di paradossale perché finché è stato in vita era Israel quello famoso, quello che per primo aveva sfidato i cliché della letteratura ebraico orientale; Isaac, che per altro inunadedicalochiama“ilmiomaestro”, viveva quasi nella sua ombra.
Dunque, La famiglia Karnowski (1943) riscoperto dalla responsabile dell’ebraistica in Adelphi Elisabetta Zevi e ora pubblicato per la prima volta in italiano (di Israel Joshua Singer sono già usciti con altri editori "I fratelli Ashkenazi" e "Yoshe Kalbe") va letto con l’attenzione e la passione che si merita un grande: non ci si potrà che innamorare di un testo tanto profondo e amaro (con punte di leggerezza e comicità, comunque), di un affresco tanto variopinto che dispiega davanti ai nostri occhi tre generazioni di ebrei in movimento dalla Polonia delle tradizioni alla Berlino della modernità e più tardi del nazismo, fino alla libera e difficile New York, tutti uomini e donne drammaticamente divisi tra desiderio di assimilazione e identità.
Ma prima di addentrarsi nei personaggi e nel turbine che li avvolge, è giusto ricordare, proprio perché le fortuna letteraria l’ha per così tanto tempo trascurato, l’impeto e la “primogenitura” di Israel Joshua Singer: da quando ruppe in Polonia con la famiglia chassidica che l’aveva destinato al rabbinato e scelse come punto di riferimento l’Haskalà, il movimento illuminista ebraico, per poi studiare pittura, scrivere e andare a Mosca nel 1918, pieno di suggestioni rivoluzionarie che pensava avrebbero aperto una nuova era per gli ebrei dell’Est Europa. Vide troppo sangue, e anche troppo antisemitismo. Tornato nel ‘21 a Varsavia, già legato agli scrittori radicali yiddish del gruppo Di Khaliastre ( The Gang) che si opponevano al realismo sociale e al romanticismo, nel ‘23 iniziò a collaborare con Abraham Cahn, il potente editore del quotidiano yiddish newyorkese Forward, a cui mandò presto delle aspre corrispondenze dalla Russia sovietica, articoli che gli valsero l’antipatia di tutto il mondo filocomunista a cui aveva appartenuto. E lo spinsero a partire per l’America. E il più giovane Isaac? Lasciati gli studi rabbinici, aveva però ripreso docilmente a vivere con i suoi e a insegnare l’ebraico ai bambini del villaggio di Bilgoray finché Israel non gli trovò un lavoro a Varsavia, così come nel 1935 si fece raggiungere da Isaac a New York, dove l’impiegò nel “suo”
Forward. Ormai noto per quei suoi romanzi, racconti, contributi giornalistici che sprizzavano razionalismo, impegno, un’essenzialità ebraica di rottura con ogni superstizione religiosa (mentre Isaac già allora gioca con una sorta di dualismo morale che lo seguirà per sempre, da «libertino che non recise mai fino in fondo i lacci dei suoi filatteri di un tempo»), Israel Joshua Singer muore per un attacco cardiaco nel 1944 (e solo allora Isaac divenne uno scrittore pieno e prolifico), all’indomani della pubblicazione di questo La famiglia Karnowski, romanzo sulla parabola discendente di una famiglia che ha fatto pensare ai Buddenbrook, romanzo profetico perché Israel non sa ancora con certezza di Auschwitz, ma dipinge con pathos il fallimento verticale di ogni sogno pacificante e assimilazionista.
In primo piano David Karnowski, un mercante colto e ispirato dallo spirito logico della Hashkalà, che lascia il mondo “barbaro” delloshtetlpolacco per la luminosa Berlino convinto si possa e si debba essere «ebreo in casa e tedesco nel mondo», pronto a lasciare l’yiddish per sempre, a parlare la lingua di Goethe senza il minimo accento, a vestirsi di un’eleganza sopraffina, pronto ad affiancare gli ebrei residenti in Germania da generazioni così disgustati dalla primitività degli ebrei dell’Est. Il figlio Georg poi vuole andare oltre, vuole cancellare del tutto la sua identità cavalcando i primi bagordi goliardici, la I Guerra mondiale, i successi della sua professione medica: sposa una cattolica, circoncide il figlio Joachim da solo, senza rabbino, rompe col padre. La crisi post bellica sbalza comunque ognuno dalle sue certezze e il nazismo apre una voragine sbeffeggiando ogni ebreo, anche i più tedeschi dei tedeschi, togliendogli il lavoro: l’adolescente Joachim, che ama di sé solo la parte ariana, un giorno viene spogliato dal preside davanti alla scuola per dimostrare l’aberrazione della razza mista. E’ la fine. Chi può parte, anche i Karnowski. Ma nella New York delle libertà le difficoltà sono enormi: Georg si ritrova a fare l’ambulante come gli ebrei deglishtetl,il padre David lo scaccino in sinagoga, ma è Joachim a non sopportare ancora di essere un ebreo, a odiarsi fino a immedesimarsi in un gruppo di tedeschi filonazisti, fino al disastro. Solo chi non ha mai rinnegato se stesso come il semplice e geniale commerciante Salomon ha capito come si resta a schiena diritta.

Susanna Nirenstein
La Repubblica


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