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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Giudea e Samaria, la mappa si aggiorna 06/08/2013

Giudea e Samaria, la mappa si aggiorna
Lettera da Gerusalemme, di Angelo Pezzana

 Per chi segue numeri e statistiche demografiche, al di là dei vari mantra spesso melodici quanto altrettanto irreali nei loro ‘wishful thinking’, ecco alcuni dati che riguardano le comunità ebraiche oltre la linea verde, il cessate il fuoco dopo la guerra dei 6 giorni:
L’elenco delle nuove comunità che verranno considerate in via preferenziale da includere entro Israele in una eventuale divisione in due Stati, sono: Rehalim e Bruchim in Samaria, Sansana e Negohot, situate a sud delle colline di Hebron. Da notare che fino a pochi mesi lo status di queste comunità era definito illegale. A queste comunità si aggiungono: Hebron, Nofim, Geva Binyamin, Mah’aleh Mich-mash e Eshkelot. Sono 900 le comunità in Giudea e Samaria, delle quali 90 oltre la linea verde, secondo i dati del 1 gennaio 2012 gli ebrei che vivono in Giudea e Samaria erano 325.500. Un numero certamente superiore se aggiornato a oggi. Non viene contata la popolazione araba di Gerusalemme est, né, ovviamente, gli abitanti nel Golan, dove vivono 23.000 ebrei e 20.000 drusi, territori che sono parte integrante dello Stato d’Israele.

Un’altra statistica riguarda la distribuzione della popolazione sull’intero territorio nazionale. Al centro, Tel Aviv e dintorni, vive il 41% (Tel Aviv città ha una densità di 7,522 abitanti per chilometro quadrato, al sud questa percentuale scende a 79, mentre nel Golan è di 37).

Anche su questi numeri si misureranno i colloqui che inizieranno la settimana prossima a Washington tra Tzipi Livni e Saeb Erekat.
Se Israele ha finora vinto tutte le guerre , diciamo, tradizionali, contro eserciti degli stati arabi, altrettanto non si può dire, ad esempio, nella guerra delle parole. Sotto molti aspetti che cosa sono le “colonie” se non la ripetizione, aggiornata, dei kibbutzim, la cui localizzazione veniva decisa soprattutto guardando alla loro funzione di difesa, oltre a quella agricola ? E i kibbutznik, chi erano, se non degli ebrei che sceglievano di vivere in luoghi densi di pericoli, ma indispensabili per trasformare la Terra di Israele nel futuro Stato degli ebrei ? Ma quei due nomi affascinanti hanno aiutato a comprendere, senza pregiudizi, la funzione di quello che fu un esperimento storico ma anche politico, due parole entrate nel lessico comune, anche fuori da Israele, con un alto valore positivo. Il contrario è avvenuto con ‘colonie’ e ‘coloni’, che ricordano il colonialismo europeo, mentre Israele non ha mai avuto in tutta la sua storia mire espansionistiche, ma solo di difesa. Il risultato della guerra dei 6 giorni è da attribuirsi unicamente agli stati arabi e alla loro criminale volontà di distruggere lo Stato ebraico.
Forse è anche di questo che i dialoganti di Washington dovranno tener conto, pur nella comune volontà di arrivare a un accordo di pace. Israeliani e palestinesi non sono due popoli belligeranti: da un lato,Israele, che fino ad oggi ha dovuto combattere guerre non volute per non essere cancellato dalle carte geografiche, aggredito dal terrorismo strategico di Arafat che lo stato palestinese lo voleva, ma al posto di Israele. Dall’altro, i palestinesi, usati dal mondo arabo-islamico quale strumento per ‘ripulire’ il suolo musulmano dalla presenza ebraica. E’ storia vecchia, che però, con lo stesso linguaggio, sentiamo ripetere ancora oggi a Teheran. Dopo la Shoah si disse “mai più”, bene, anche questo ve tenuto in memoria a Washington.

Angelo Pezzana


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