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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Chi vince la guerra detta la legge 22/10/2010

Riportiamo da SHALOM di ottobre, a pag. 22, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo "Chi vince la guerra detta la legge".

Sono convinto che uno dei pericoli maggiori che Israele dovrà affrontare in tempi brevi sarà quello che va sotto il nome, apparentemente neutro, di ‘stato binazionale’, che ai meno informati, oppure per coloro che credono ancora nella capacità salvifica dell’utopia, può sembrare persino accattivante. Il progetto non è una novità, aveva trovato un illustre sostenitore negli anni ’20 in Yehuda Magnes, al quale si deve la creazione dell’Università ebraica di Gerusalemme, quindi di certo non uno sprovveduto, ma credere nell’amore universale non ha mai aiutato nessuno stato a nascere. Magnes, che godeva di grande stima a livello internazionale, aveva cercato di convincere Harry Truman perchè nel novembre 1947 non votasse a favore della partizione della Palestina in due stati, e solo la determinazione di quest’ultimo segnò la vittoria all’Onu. Oggi viene riproposto, non solo dagli odiatori dello Stato ebraico, ma anche in Israele, pur se in termini diversi, c’è la tendenza a considerare le percentuali che dividono  ebrei e arabi non più così determinanti come era fino a qualche anno fa. La stessa idea che Israele possa continuare ad essere uno stato ebraico e democratico nello stesso tempo se la differenza non rimane 80% di cittadini ebrei e 20%  arabi, ma può accorciarsi anche di molto, sembra non preoccupare un settore rilevante di quella parte politica che trova del tutto naturale che Giudea e Samaria siano nella totale interezza sotto la sovranità israeliana. La differenza del tasso di natalità, sostengono, non è più quella di un tempo, la tesi è addirittura che sia in aumento quella laica, rispetto ai settori ortodossi e arabi della società, non solo israeliana ma anche dei territori.

Una posizione che va contro lo stesso progetto di Sharon quando vide nell’’afradà’, la separazione fra ebrei e arabi, l’unica possibile soluzione del conflitto. La consegna di Gaza ‘judenrein’ all’Autorità palestinese rientrava in quella prospettiva. Ma i conti sono stati fatti dimenticando le caratteristiche della società araba che riceveva quel territorio. Invece di farne un modello del futuro stato, lo trasformò, con il colpo di stato di Hamas, in una entità terrorista finalizzata a colpire Israele. Con il senno di poi è facile criticare come è andata, ma è indubbio che la scelta dolorosa di abbandonare Gaza, ma generosa nei confronti degli arabi, serva oggi per mettere in guardia il governo di Israele a non ripetere quell’esperienza in quei termini.

Qui entrano in gioco alcune riflessioni e domande che sembrano valere per la sola Israele. Non conta nulla che  nel ’48, nel ’67, nel ’73, con l’aggiunta successiva degli attacchi di Hamas e Hezbollah, che Israele abbia fatto fronte, vincendole, tutte le guerre che ha dovuto affrontare. Con la guerra di indipendenza, che avrebbe dovuto cancellare lo Stato appena dichiarato, gli stati arabi che la guerra l’avevano dichiarata, le persero, ma il prezzo della sconfitta pagato è stato per loro relativamente basso se consideriamo le perdite di vite umane che Israele ha subìto. Lo stesso nella guerra dei sei giorni, Israele ha annesso Gerusalemme e Golan, lasciando Gaza e Cisgiordania in regime di amministrazione, quando avrebbe potuto annettere entrambi (per fortuna non lo fece, ma questa è soltanto la mia opinione). Nella guerra del Kippur, che fu vinta ma poteva essere una sconfitta, Israele pagò un prezzo altissimo in soldati caduti per difendere l’integrità dello Stato.

Insomma, dal ’48 ad oggi, Israele ha sacrificato i suoi soldati per difendersi  e sopravvivere. Malgrado ciò è ad Israele che si chiede di fare sacrifici per arrivare alla fine del conflitto con i palestinesi, come se questi non fossero sempre stati dalla parte degli aggressori. In tutte le guerre, in tutto il mondo, le regole, a guerra finita, le dettano i vincitori, di certo non gli sconfitti, i quali sono obbligati a pagare sanzioni e accettare la perdita di territori. Con Israele vale il contrario. L’Egitto asssalì due volte Israele, fu sconfitto, ma per arrivare alla pace Israele dovette restituire il Sinai. E dovette pure tenersi Gaza, che l’Egitto si guardò bene dal voler indietro. La Siria faceva dal Golan il tiro a segno contro i civili israeliani, attaccò Israele, fu sconfitta, ma reclama quella collina perduta come se avesse subito un affronto, niente pace finchè il Golan non torna suo. E Israele, in tutti questi anni, pur di arrivare ad un accordo con i vicini, ha continuato a comportarsi come se le guerre le avesse volute lei e le avesse pure perse, visto che le si chiede di ritornare ai confini del ’67, o addirittura del ’48.

Succede lo stesso in qualche altra parte del mondo ? No, non succede. E allora perchè questo doppio standard, e fino a quando Israele dovrà accettarlo ?


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