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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Gli israeliani chiedono la liberazione di Shalit sbagliando interlocutore 29/08/2010

Riportiamo da LIBERO di oggi, 29/08/2010, a pag. 16, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo "Gli israeliani chiedono la liberazione di Shalit sbagliando interlocutore".


Croce Rossa Internazionale, Bibi Netanyahu, Angelo Pezzana

Gilad Shalit compie oggi 24 anni, e questo è il quinto compleanno che lo vede sempre nella mani di Hamas, quando, 1525 giorni fa, fu rapito in territorio israeliano al confine con Gaza durante un attacco nel quale fu ferito ad una spalla e a un braccio, mentre due suoi compagni furono uccisi. Non si sa se è ancora vivo, e se lo è in quali condizioni si trova, di lui è stata inviata solo una cassetta nella quale chiede al governo israeliano di impegnarsi per la sua liberazione. Nella storia dei rapimenti di soldati israeliani, uccisi e comunque non rilasciati da vivi, il caso Shalit rappresenta una novità nel comportamento della famiglia. In tutti i casi precedenti, i famigliari dei soldati scomparsi, pur nella comprensibile disperazione, non avevano mai intrapreso iniziative ufficiali per la loro liberazione, come è avvenuto con la famiglia di Gilad. Noam e Aviva, i genitori, hanno dato vita a quello che può essere definito unmovimento internazionale di opinione, con lo scopo di convincere il governo israeliano ad assumere ogni iniziativa che possa portare al rilascio di Gilad. In tutte le capitali del mondo democratico si susseguono da anni. E precisamente dal 2007, quando gli appelli generici per la liberazione del giovane caporale, si sono tramutati in un poderoso gruppo di pressione, con il suo centro in una piccola tenda, ma piazzata e funzionante 24 ore su 24, davanti a un indirizzo prestigioso, la residenza ufficiale del Premier Bibi Netanyhau a Gerusalemme. Da allora è tutto un susseguirsi di manifestazioni, all’inidirizzo unico ed esclusivo di Bibi. È a lui che si rivolge un grande striscione che recita “non abbandoneremo nessun soldato sul terreno”, una regola morale dell’esercito che impegna il governo a fare di tutto per riavere, vivi o morti, i propri soldati. Quella tenda è lì a ricordarlo da ormai tre anni, con l’aggiunta un mese e mezzo fa dei genitori di Gilad, che ne hanno fatto la loro casa. L’emozione in Israele per la sorte del soldato Shalit è enorme, e si direbbe che aumenta di giorno in giorno, grazie all’impegno di centinaia di volontari. Non solo giovani o gente comune,ma intellettuali, scienziati, premi Nobel, fanno la coda per firmare gli appelli, prendere quel nastro giallo che farà poi mostra di sè legato ai finestrini delle auto, alle maniglie di borse e valigie, mentre dentro la tenda c’è una sedia vuota, con un cartello sul quale è scritto: «Sedia riservata per Gilad Shalit». La ragione di questo coinvolgimento sta nella predisposizione tutta israeliana per le cause umanitarie. Una caratteristica ben nota al terrorismo palestinese, che la sfrutta fino in fondo. Cosa può esserci di più utile di un presidio che mette sotto accusa Netanyahu per non avere ancora aderito alle richieste di Hamas? Gli israeliani che ne richiedono la liberazione, sembrano non valutare che in cambio di Gilad, Israele dovrebbe liberare più di mille criminali condannati per aver commesso attentati orribili contro i civili in Israele. Una volta liberi, tornerebbero a commetterli. Può agire in questomodo ungoverno responsabile ? Molti sostengono che la famiglia Shalit, avrebbe dovuto piantare la tenda davanti alla sede della Croce Rossa Internazionale, che in tutta questa storia rappresenta il vero scandalo, non essendosi mai mossa con decisione per controbattere la decisione di Hamas di impedire qualunque indagine, o visita, al prigioniero Gilad. Hamas ha detto no, e la CRI ha risposto va bene così. È alla CRI che si deve chiedere conto, non a Netanyahu. Nella mani di Hamas, Gilad è un’arma di ricatto formidabile, non perchè avrà il potere di liberarlo, ma perchè ne attribuisce la responsabilità della prigionia al Primo Ministro d’Israele. Una passione umanitaria nobile, ma con il bersaglio sbagliato.

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