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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Il freddo fra Casa Bianca e Israele fa male a tutto l'Occidente 11/11/2009

Che a un colloquio di un’ora e quaranta minuti fra un Presidente americano e un Primo Ministro israeliano non sia seguito un incontro con la stampa e relative fotografie per immortalare la solita calorosa stretta di mano, è certamente un fatto inusuale. L’incontro era previsto, gli argomenti erano annunciati, il processo di pace in Medio Oriente, il problema della sicurezza per Israele, la questione iraniana, ma il fatto che non sia stato emesso nemmeno un comunicato lascia aperte tutte le congetture, viste da destra e da sinistra. Per i tifosi di quest’ultima, Obama deve sicuramente avere fatto sudare Bibi, questo verbo è piaciuto molto ai giornali di sinistra, essendo la vulgata pacifista quella di attribuire a Israele tutte le responsabilità, anche quelle gestite direttamente dai palestinesi. Se Abu Mazen fa sapere che non si candiderà alle prossime elezioni di gennaio, anzi, potrebbe persino non indirle, invece di farlo uscire dalla perenne ambiguità e chiedergli se non è per caso con Hamas che non se la sente di confrontarsi, no, nessuna domanda, semmai gli si rivolgono preghiere perchè non ci privi della sua preziosa e lungimirante azione politica, tutta tesa, naturalmente, a favorire il processo di pace. Un processo messo in pericolo, invece, da Bibi, il quale continua a comportarsi come se fosse il primo ministro di uno Stato indipendente, rifiutandosi di ubbidire ai diktat arabi o afroamericani. Vista da destra, la situazione è molto diversa. Intanto Hillary Clinton, che è il Segretario di Stato, e quindi parla e agisce in nome del suo presidente, nel tour mediorientale della scorsa settimana, ha dato non pochi dispiaceri a chi si aspettava l’ennesima richiesta a Israele di congelare le nuove costruzioni, rimproverando piuttosto l’Anp di essere inadempiente verso gli impegni imposti dalla Raod Map. Sempre visto da destra, Obama, assente al ventennale della caduta del Muro di Berlino, è in un momento difficile a causa della politica interna, la legge sulla riforma sanitaria rischia di scontentare favorevoli e oppositori, due elezioni parziali lo hanno visto perdente, ma ciò che fa ritenere che sia stato proprio lui a sudare nell’incontro con Bibi è la strage di Fort Hood, che ha rivelato un grosso buco nei sistemi di sicurezza americani, essendo ormai acclarato il legame tra il killer dei tredici soldati e la rete americana di Al Qaeda. Troppo impegnato a studiare come chiudere al più presto il carcere di Guantanamo, il buon Obama non si è accorto, e con lui i servizi segreti, che sembra sapessero tutto sul futuro killer, dimenticandosi però di avvisare l’esercito, che il problema del Califfato non l’abbiamo soltanto noi in Europa o in Medio Oriente. Per cui è difficile, anche in mancaza di un resoconto ufficiale del colloquio da parte della Casa Bianca, immaginare Obama che dà consigli a Bibi per quanto riguarda Israele in lotta costante contro il terrorismo. Gli avrà chiesto di abbattere la barriera di sicurezza, come vogliono i palestinesi, sostenuti dalla speranza che tra poco potrà esserci a Bruxelles un vero Ministro degli Esteri che saprà dare gli ordini giusti, oppure avrà preferito restare sul vago, il che spiegherebbe il blackout sull’incontro. Chi ne esce bene, comunque, è Israele, non più isolato nella denuncia del pericolo rappresentato dall’Iran. L’idea che i suoi interlocutori, senza eccezione alcuna, destino preoccupazioni serie, è oggi un’opinione condivisa, almeno fra gli Stati democratici. Se ne sta convincendo persino Barack Hussein Obama.


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