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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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Tensione in Kurdistan 04/10/2017
Tensione in Kurdistan
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall'ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Giorgio Berruto)

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In rosso, il Kurdistan iracheno

Lo scorso lunedì circa sette milioni di cittadini curdi in Iraq hanno votato per il referendum concernente la sola domanda: sei a favore della dichiarazione d’indipendenza di quella parte dei curdi che vive in Iraq? Circa l’80% degli aventi diritto è andato alle urne. È chiaro dunque che la questione risulta importante per la grande maggioranza dei curdi. Questi tentano di avanzare richieste indipendentiste da venticinque anni, più precisamente da quando il mondo proibì alla forza aerea di Saddam Hussein di volare sul loro territorio. I curdi hanno sviluppato negli ultimi vent’anni un governo democratico e organizzato e insieme a questo un esercito capace di contrastare l’Isis a Mosul, hanno inoltre dei media che ritraggono fedelmente entrambe le posizioni della controversia e in generale presentano una comunità tranquilla priva di violenza interna, con un’economia fiorente basata sul petrolio e i suoi derivati. Il referendum è molto importante per entrambe le parti. I suoi sostenitori vogliono vivere in una patria curda così come i francesi vogliono vivere in Francia e gli israeliani in Israele, il loro obiettivo è il riconoscimento internazionale da parte delle altre nazioni.

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Festa per l'indipendenza del Kurdistan iracheno

La motivazione che più li sprona è l’orgoglio nazionale unito a quello dettato dagli obiettivi raggiunti negli ultimi venticinque anni. Tuttavia la memoria delle sconfitte ricevute in guerra dall’Iraq nel ventesimo secolo è ancora nitida. Sullo sfondo è ancora presente la storica ostilità tra curdi e arabi. Chi si oppone all’indipendenza teme in primo luogo il prezzo che il Kurdistan iracheno sarebbe costretto a pagare, poiché i suoi vicini - l’Iran a est, la Turchia a nord, la Siria a ovest e l’Iraq a sud - hanno dichiarato di essere completamente contrari al referendum, considerato come l’anticamera della dichiarazione di indipendenza. La Turchia minaccia di muovere guerra e ha concentrato forze lungo i confini con il territorio curdo, nonostante anni di cooperazione economica con i curdi, che esportano petrolio attraverso la Turchia, pagando ingenti somme per il servizio. Una dichiarazione di guerra porrà fine verosimilmente alla cooperazione, influenzando l’economia curda. Un altro prezzo doloroso che è possibile debba venir pagato risiede nell’embargo via aria e via mare.

Il Kurdistan iracheno non ha accesso al mare, e tutti i suoi contatti con il mondo esterno - scambi di persone e di beni - deve avvenire attraverso lo spazio aereo e marittimo di Iran, Turchia o Siria. Se questi Paesi scelgono l’embargo e perseverano nella decisione per un periodo, è difficile immaginare che i curdi possano condurre una vita nazionale in senso stretto, ed è impossibile che lo facciano dal punto di vista economico. Il motivo dell’avversione di questi Paesi all’indipendenza curda sta nel fatto che ciascuno di essi, e in primo luogo l’Iran, ospita una minoranza curda e altri gruppi etnici. Se i curdi iracheni riuscissero a dare vita a uno Stato, anche le altre minoranze chiederanno l’indipendenza e i curdi potrebbero perfino provare a formare una grande federazione curda o uno Stato unitario insieme al Kurdistan iracheno.

La Turchia vede tutto ciò come un pericolo strategico alla propria esistenza, perché in ogni città turca vivono curdi, per lo più in quartieri separati, e non solo nella regione sud-occidentale del Paese. Un conflitto interno tra maggioranza turca e minoranza curda è già durato un secolo, con picchi di violenza estrema, attacchi terroristici in zone urbane, e a volte periodi in cui il fuoco cova sotto la cenere. Erdogan ha tentato di mettere la parola fine al conflitto molti anni fa, ma i suoi sforzi in tal senso hanno avuto l’effetto di aizzare i turchi nazionalisti – che ne mettevano a rischio il potere – e quindi Erdogan ha preferito tornare indietro, limitandosi alla retorica contro i curdi cittadini turchi. Erdogan teme che una dichiarazione di guerra contro il Kurdistan iracheno da parte sua porterebbe allo scoppio di terrorismo contro il suo regime, mentre non farlo darebbe il la all’indipendenza curda. Che accondiscenda o meno alle richieste dei curdi, questi potrebbero iniziare una nuova ondata di terrorismo contro il regime di Ankara. Erdogan si sente in trappola e non sa come uscirne, per questo continua con i proclami, alcuni dei quali sopra le righe, contro il referendum. Dopo il referendum i curdi in Iran chiedono al proprio Paese di riconoscere lo Stato curdo in Iraq. Sanno senza dubbio che l’Iran non lo farebbe mai, perché risveglierebbe non solo i curdi iraniani, ma anche tutte le altre minoranze, che comprendono beluci, azeri, arabi e molti altri, e potrebbe portare al collasso dello Stato iraniano – uno Stato artificiale perché solo un cittadino su due è persiano.

Non sorprende che questa settimana l’Iran abbia dichiarato che il proprio spazio aereo è chiuso agli aerei provenienti da e diretti nella zona curda dell’Iraq. Forse altri Stati ne seguiranno l’esempio. La Siria, sprofondata da tempo in conflitti senza fine e nella guerra condotta dal regime illegittimo di Assad per mantenere unito il Paese, si oppone parimenti a uno Stato curdo, considerandolo una pessima novità. L’Iraq arabo si oppone all’indipendenza dei curdi del Paese perché la maggior parte dei ricchi pozzi petroliferi sono nella loro zona. L’opposizione dei Paesi circostanti e le minacce di guerra contro il Kurdistan iracheno hanno portato i Paesi europei, gli Usa e la Russia a temere lo scoppio di una guerra di cui non c’è bisogno, mentre il mondo intero sta provando a mettere la parola fine a quello che rimane dell’Isis e ciascuno vorrebbe sfruttare l’abilità e l’esperienza guadagnata dai peshmerga nel corso della battaglia di Mosul. Israele, diversamente da ogni altro Paese del mondo, sembra essere l’unico a sostenere uno Stato curdo in Iraq e sulle rovine dell’Iran. Israele di certo non sarebbe contrario all’unione dei curdi siriani e forse anche di quelli turchi nello Stato curdo.

La nascita di uno Stato curdo è un atto di giustizia storica per un popolo diviso in tre parti dalle potenze europee, interessate non al benessere dei popoli locali ma a preservare i propri interessi. Per quanto mi riguarda, mando ai curdi iracheni i miei migliori auguri perché abbiano successo nel guadagnare l’indipendenza e gestiscano con saggezza i rapporti con i propri vicini, in modo utile a tutti. Ai curdi che vivono in Siria, Turchia e Iran vanno analoghi auguri. E a tutti voi, auguro un buon anno nuovo.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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