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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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Il cappello che brucia sulla testa del ladro 09/09/2012

Il cappello che brucia sulla testa del ladro
Il conflitto tra Morsi e Ahmadinejad,
rivelato ai lettori di IC da Mordechai Kedar


Mordechai Kedar                  Morsi e Ahnadinejad: fratelli coltelli ?

“IL TURBANTE BRUCIA SULLA TESTA DEL LADRO” ovvero la cultura sciita dell’inganno di Mordechai Kedar

Nota: “Il cappello brucia sulla testa del ladro" è un detto proveniente da un racconto popolare ebraico. Ciò significa che un ladro è in ultima analisi il peggior accusatore di sé stesso.( N.d.T)]

 (Traduzione dall’ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz)

Sin dagli albori della storia islamica, il conflitto tra la Shiiti e Sunniti è stato l’asse attorno al quale si è svolta la politica e le guerre religiose di entrambe le fazioni. Gli Shiiti contestavano la legittimità del governo dei califfi sunniti, e nei paesi sotto il controllo sciita i sunniti contestavano il loro diritto a governare.

La lotta era totale, quando un governo sospettava che una persona appartenesse all’altra fazione, il suo destino era di solito la morte.
Nel corso degli anni Sunniti e Shiiti hanno sviluppato due sistemi religiosi diversi: il Corano sciita include due capitoli che stabiliscono la pretesa sciita di governare, mentre i sunniti sostengono che questi capitoli sono un falso. L’Hadith (la legge orale islamica, che descrive le parole di Maometto e i suoi precetti comportamentali) per gli sciiti glorifica e attribuisce al fondatore della dinastia shiita, Ali bin Abi Talib e ai suoi discendenti il diritto di governare, mentre l‘Hadith sunnita rappresenta la Shi’a in una luce totalmente negativa.

Shi’a e Sunna differiscono l’una dall’altra nella teologia, nella legge religiosa, nei nomi propri di uomini e donne, nel calendario, nelle tradizioni e nei costumi, e le differenze sono così marcate che i Sunniti giudicano gli Shiiti eretici e viceversa. A causa del conflitto politico e delle differenze religiose, era molto pericoloso per uno sciita vivere in un paese sunnita, e quindi per sopravvivere, la Shi’a aveva autorizzato i suoi fedeli a seguire la taqiyya – legge della dissimulazione per la sopravvivenza – e la khud’a, l’inganno. Secondo i principi della taqiyya, a uno sciita è consentito fingersi sunnita, di pregare come un sunnita, e di agire in conformità con il calendario sunnita, a patto che nel suo cuore continui a esser viva la wilaya – la fedeltà alla Shi’a ed ai suoi maestri.

Così gli sciiti nel corso delle generazioni, si sono abituati alla finzione, all’inganno, alla menzogna, e in molti di loro questo fenomeno è diventato quasi innato. Lo ricevono dai genitori, dall’ambiente e dalla loro tradizione sociale, per molti sciiti la menzogna è fisiologica. Ne consegue che i dipartimenti di polizia, in molte parti del mondo, sanno che è molto difficile, persino con la macchina della verità, scoprire se gli Sciiti mentono.

Conseguenze politiche La cultura sciita dell’inganno è emersa molto chiaramente in recenti vicende degli ultimi anni. I primi emissari iraniani che erano venuti in Libano nel 1980, circa un anno dopo la rivoluzione iraniana, si erano presentati come educatori, insegnanti e consulenti la cui missione era solo culturale e religiosa, e quindi il governo del Libano aveva accettato di buon grado la loro presenza e le loro attività.

Oggi, guardando indietro, ci rendiamo conto che la Guardia Rivoluzionaria - attualmente un vero esercito - era penetrata in Libano, con il proposito di prendere il controllo della valle della Bekaa, stabilendo le basi per la formazione e la crescita di Hezbollah, un partito che ha una milizia armata con decine di migliaia di missili.
Oggi sono molti in Libano a dolersi per essere caduti nella trappola dell’inganno iraniano.
La conseguenza politica più evidente della cultura sciita dell’inganno è il modo contorto e ambiguo con cui l’Iran ha portato avanti i contatti con l’Occidente per quanto riguarda il piano nucleare per quasi venti anni.

Gli iraniani hanno violato tutti gli impegni assunti, compreso quello con l’AIEA, hanno eliminato ogni traccia di attività illegali, ultimamente hanno cancellato le prove di esperimenti che avevano condotto nelle basi militari di Parchin, e ancora adesso non consentono agli ispettori dell’ONU di visitare queste basi.
I negoziati, lunghi e complicati, condotti dagli iraniani nei confronti dell’Occidente, hanno un unico specifico obiettivo: quello di guadagnare tempo al fine di progredire nel loro programma militare nucleare.
Oggi questo è chiaro, e gli europei e gli americani che avevano riposto le loro speranze nei negoziati con gli iraniani, ora ammettono di essere stati ingannati. La menzogna alla fine sarà svelata

Conflitto Morsi-Ahmadinejad La settimana scorsa si è tenuta a Teheran la conferenza del Movimento dei Non Allineati (NAM). Questo incontro  tra leader provenienti da 120 Stati aveva lo scopo di rappresentare l’Iran come uno Stato ben voluto e accettato, parte integrante di un grande e importante gruppo di nazioni, in contrasto con l’immagine di “Stato paria” che l’Iran ha in Occidente. Le fotografie di abbracci, baci e strette di mano di Ahmadinejad con i leader di Stati venuti dietro suo invito, erano programmate per  dipingerlo come un leader riconosciuto e popolare, sia per il pubblico iraniano sia per l’osservatore occidentale.
Uno degli ospiti d’onore è stato il presidente egiziano, Muhammad Morsi.
Anche se il motivo della sua presenza è stato quello di partecipare alla conferenza internazionale, molti osservatori  l’hanno interpretato come un segno di svolta nei rapporti tra Egitto e Iran, dopo che erano stati interrotti fin dai tempi della Rivoluzione Iraniana del 1979 e dell’accordo tra Israele ed Egitto nel marzo dello stesso anno.

La traduzione manipolata L’onore con cui è stato ricevuto Morsi in Iran è stato inoltre destinato a creare l’immagine di un superamento delle differenze tra la Sunna e la Shi’a, perché lui è uno dei leader della Fratellanza musulmana sunnita e l’Iran rappresenta l’Islam sciita.
Avendo accettato l’opportunità di parlare nella sessione di apertura, Morsi ovviamente ha ringraziato Ahmadinejad, e lo Stato ospitante per lo svolgimento della conferenza; tuttavia nel suo discorso egli ha vigorosamente accusato il regime siriano di opprimere brutalmente i propri cittadini e di averli massacrati a decine di migliaia nell’ultimo anno e mezzo.
Era chiaro a tutti che Morsi si riferiva in particolare ai cittadini musulmani sunniti, con i quali sentiva una forte identificazione.
Morsi non si è fermato ad attaccare il governo siriano, ma ha pure incluso nella sua critica i sostenitori del regime siriano. Per chiunque abbia familiarità con la situazione in Siria è chiaro che si riferiva all’Iran.
E’ importante notare che Morsi non temeva le conseguenze nel rivolgere le  critiche contro i suoi ospiti, è dunque chiaro che si sentiva sicuro di sé, del suo regime e del suo status.
Il comportamento verso il proprio esercito, il licenziamento dei generali tre settimane prima, avvalora questa ipotesi.
Senza dubbio, il discorso di Morsi era destinato alle orecchie degli arabi, e aveva lo scopo di rappresentarlo come un leader arabo che esprime i sentimenti fondamentali della nazione araba, quando osservava con preoccupazione e rabbia ciò che sta accadendo in Siria.
Tuttavia l’attacco alla Siria e agli Stati che la sostengono, ha turbato profondamente i padroni di casa, i quali, piuttosto stupidamente, hanno “ritoccato”il suo discorso. L’interprete che traduceva il discorso in simultanea agli iraniani cambiò la parola “Siria” con “Bahrain”, come se il sunnita Morsi stesse accusando i governanti sunniti del Bahrain di opprimere i diritti umani dei cittadini sciiti del Bahrein.

La dura critica con cui Morsi attaccò il regime siriano è stata sottoposta a “miglioramento” nella traduzione ufficiale in farsi, la lingua dell’Iran. Il traduttore iraniano aveva anche omesso dal discorso del presidente egiziano i primi califfi, quelli della “retta via”, che, secondo gli sciiti, avevano usurpato il califfato ad Ali, e quando Morsi parlò della “primavera araba” il traduttore la tradusse in “primavera islamica”.

Questo può sembrare strano al lettore occidentale, ma nel contesto della cultura sciita dell’inganno non deve sorprendere, perché persino altri media ufficiali come i siti “Jahan News” e “Asr Iran” presero per buona la versione “migliorata” del discorso di Morsi. Il sito “News Jahan”, che ha stretti legami con il regime iraniano, ha anche descritto il discorso di Morsi come “strano e acerbo, radicale e illogico per quanto riguarda la Siria”.

Senza dubbio, il traduttore e i commentatori del discorso riflettono la linea ufficiale iraniana, che non è interessata alla verità delle parole di Morsi, ma piuttosto a manipolare i messaggi da inviare alla popolazione dell’Iran in base alle esigenze del regime.
E’importante notare che Morsi non ha assolutamente mai citato il Bahrain nel suo discorso ... Diverse ore dopo il discorso, i media arabi che avevano scoperto l’inganno, cominciarono a gongolare sulla frode evidente.
I media di Arabia Saudita e degli Emirati del Golfo, che tremano di paura di fronte al gigante iraniano, hanno superato tutti gli altri.
Il Dipartimento di Stato del Bahrein ha convocato l’incaricato d’affari iraniano a Manama, capitale del Bahrein, per protestare contro la falsa traduzione del discorso di Morsi e ha chiesto le scuse da parte del governo iraniano.
L’Egitto per ora non ha ancora reagito,  sembra che Morsi sia in attesa del momento giusto per accusare gli iraniani di falso.

Ma c’è una cosa su cui tutti i commentatori arabi concordano, in modo esplicito o implicito: la cultura iraniana dell’inganno si rivela agli occhi di tutti.
La domanda che ci si pone è: come è possibile credere all’Iran quando afferma in continuazione che il suo programma nucleare è rivolto a scopi pacifici? Questa affermazione è più credibile della traduzione fraudolenta di un discorso pubblico? E cos’è che si nasconde veramente sotto il turbante che ricopre la testa degli ayatollah?

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link:
http://eightstatesolution.com/
http://mordechaikedar.com/


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