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Diplomazia/Europa e medioriente
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Egitto: le dure parole di El Sisi a Obama 07/08/2013

Egitto: le dure parole di El Sisi a Obama
Commento di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)


Piazza Tahrir, 2011

Quando i giovani scesero in strada nel 2001, ciò che chiedevano era una vita migliore: fine della dittatura, più libertà e condizioni economiche decenti. Obama non perse tempo a ordinare subito a Mubarak, da decenni fedele alleato dell’America, “adesso vattene!”. Ma prima della rivoluzione, nessuno aveva contestato la legittimità del presidente egiziano. Due anni dopo, milioni di egiziani si sono nuovamente riversati nelle strade per protestare contro la nuova dittatura islamica dei Fratelli Musulmani, la mancanza di sicurezza personale e l’economia ormai in una spirale fuori da ogni controllo. Curioso il fatto che l’Occidente, indignato,  chieda  il ritorno del “legittimo” presidente. Sembra non capire che stiamo assistendo a una rivoluzione “correttiva”, che mira a rimettere il paese sul binario giusto. Nel 2011, l’esercito aveva preso il potere perché nessuno era in grado di farlo, permise poi ai Fratelli Musulmani, un movimento fuorilegge, di agire apertamente e andare alle elezioni senza che fosse stata scritta una nuova costituzione e un nuovo sistema elettorale.  Nel 2013 l’esercito si è preoccupato di trasferire subito il potere a un civile, il presidente della Corte Suprema Costituzionale, la carica  più importante del paese.  Mohammed el Baradei, Premio Nobel e figura rispettata è stato nominato vice-presidente, e Nabil Fahmy, già ambasciatore negli Usa, veniva nominato Ministro degli Esteri. Ma l’Occidente non sembra soddisfatto, eppure quale legittimazione aveva il regime di Morsi ? Dopo tutto, i Fratelli Musulmani si erano impadroniti della rivoluzione, facendo in modo di ottenere, insieme ai Salafiti, il 73% dei seggi nel nuovo parlamento – che venne poi invalidato a causa dei molti brogli commessi -  ma questo avvenne perché i Fratelli erano l’unica forza politica organizzata. L’opposizione laica, non solo era pressoché sconosciuta, ma anche spezzettata in molti piccoli gruppi senza esperienza politica. Le lezioni presidenziali, indette sei mesi dopo, dettero un diverso risultato. Al primo round Morsi ottenne il 25% dei voti, nel secondo ebbe il 51%, ma ci fu una affluenza alle urne molto bassa, meno della metà degli aventi diritto. In altre parole, solo un quarto degli elettori avevano votato per lui. Mentre l’altro candidato, Ahmed Shafiq, era un esponente del vecchio regime, e perciò rifiutato dai rivoluzionari.


Un manifesto contro Mohamed Morsi, Ahmed Fatah el Sisi

Il nuovo eletto fece un mucchio di promesse e non ne mantenne neppure una. Era troppo impegnato a realizzare il programma dei Fratelli Musulmani. Creò invece le basi di un regime islamico attraverso una nuova costituzione votata da una forte maggioranza di islamisti, calpestando i diritti delle minoranze e delle donne, sostituendo i capi delle forze armate e occupando con uomini suoi  tutti i posti chiave nel governo centrale, dei ministeri e delle province. Quando il tribunale delegittimò il parlamento, emanò un decreto presidenziale che gli dava prerogative mai viste prima: non solo il diritto di emanare le leggi al posto della Camera Bassa, ma anche l’immunità nei confronti dei giudici. Ci fu una sollevazione per costringerlo alle dimissioni. Ma dette il via al risveglio dell’opposizione. I tre movimenti laici – liberali, nasseriani e la sinistra – accantonarono le loro differenze per formare un fronte unitario di salvezza. La loro prima decisione  non fu quella di dialogare con il regime e predisporre le condizioni per riaprire il dialogo.  Vollero invece la messa da parte della costituzione islamica e la formazione di un governo neutrale alla guida del paese fino a quando non verrà eletto un nuovo parlamento. Il movimento “6 aprile” che diede inizio alla rivoluzione dichiarò che aveva posto fine ad ogni legame con la Fratellanza. Il generale el Sisi più volte mise in guardia Morsi, ma il presidente non gli diede retta. Continuò a sistemare suoi uomini ovunque, e in un paio di anni la Fratellanza avrebbe avuto tutto il potere nelle proprie mani. Opporsi, sarebbe stato troppo tardi. L’Egitto sarebbe diventato “iranizzato”. Morsi era così preso da quella che era diventata la sua missione da dimenticare completamente l’economia. La disoccupazione era cresciuta, la benzina  e il gas da cucina scarseggiavano e le interruzioni di corrente una certezza quotidiana. Nello stesso tempo gli egiziani prendevano atto che l’Etiopia procedeva con la costruzione della diga che avrebbe drasticamente deviato il corso del Nilo Blu, mentre il governo non faceva nulla per impedirlo. I nodi vennero al pettine con il massacro di questa estate. “La Ribellione”, un nuovo movimento  fondato dai giovani egiziani, diffuse una petizione per la rimozione di Morsi che raggiunse 22 milioni di firme. Ma il presidente non faceva nulla per placarli.  La soluzione arrivò il 30 giugno, un anno dopo l’elezione di Morsi. Di nuovo milioni di persone invasero le strade del paese, di nuovo l’esercito  prese in mano la situazione per evitare un bagno di sangue. Questa volta, come abbiamo visto, ha subito trasferito il potere nelle mani di autorità civili e il presidente ad interim si è affettato a redigere una road map per arrivare a redigere una costituzione equilibrata, poi le elezioni parlamentari. Alla fine di questo processo, l’elezione del nuovo presidente. Incredibilmente, l’Occidente è apparso atterrito da quello che ha definito un colpo di stato militare. Sembra che nessuno, nell’Unione europea o negli Usa abbia visto le scritte sui muri, la montante islamizzazione del paese, i tentativi del regime di radicare una dittatura islamica.  Non si sono accorti di quanto succedeva nel Sinai, che stava diventando  una enclave di terroristi islamici, con Morsi che impediva all’esercito di intervenire. Davvero, ancora oggi non vogliono accettare che quanto è successo sia una rivoluzione “correttiva”. Il generale el Sisi ha dichiarato di non essere interessato al potere; tratta con cautela le manifestazioni di protesta della Fratellanza; ha però lanciato un forte attacco contro i terroristi nel Sinai, chiudendo gran parte dei tunnel che venivano usati per contrabbandare armi da e per Gaza. Come ha impedito l’ingresso a Gaza del Primo Ministro Turco Erdogan. Il nuovo regime ha avuto l’applauso caloroso da Arabia Saudita, gli Emirati del Golfo (con l’eccezione del Qatar), che stanno finanziando con 12 miliardi di dollari la vacillante economia, e dalla Giordania, tutti alleati tradizionali degli Stati Uniti. Allora perché l’Occidente è così riluttante a dare il benvenuto alla nuova situazione ? Perché chiede che i Fratelli Musulmani siano inclusi nel nuovo governo ? Perché non riconosce che la rivoluzione “correttiva “ ha inferto un colpo tremendo ai fondamentalisti e agli jihadisti ? con un gesto inusuale, il generale el SiSi ha usato parole dure verso il presidente Obama in una intervista al Washington Post del 1° agosto. Obama, ha detto, non mi ha cercato nemmeno una volta. Di fatto il generale chiede: “ America! Dov’è il tuo sostegno all’Egitto ? Dov’è il tuo sostegno a un popolo libero ?

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta


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