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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Egitto: Morsi non combatte il terrorismo ma l’opposizione 25/05/2013
 Egitto: Morsi non combatte il terrorismo ma l’opposizione
Commento di Zvi Mazel


Zvi Mazel

http://www.jpost.com/Middle-East/Analysis-Sinai-is-becoming-a-major-threat-t
o-Egypt-314242

(Traduzione di Angelo Pezzana)

Il rapimento dei sei poliziotti e un soldato la scorsa settimana nella Penisola del Sinai ha avuto un lieto fine. Sono stati liberati sani e salvi dopo lunghe trattative, concluse all’alba di mercoledì tra un rappresentante dell’intelligence militare,lo sceicco Salafi, e un rappresentante della tribù Swarka, una delle più popolose della Penisola.
Ma nessuno può garantire che questo rapimento sarà l’ultimo.
Secondo la versione ufficiale non vi è stato nessun accordo speciale, niente più di una tempesta in un bicchiere d’acqua.
I rapitori hanno capito che l’Egitto non sarebbe arretrato di un millimetro, che una operazione su larga scala stava per scattare, elicotteri, carri armati e forze speciali erano pronte. Era altresì chiaro che il rapimento aveva unificato governo e opposizione contro i rapitori jihadisti.
In più, colpiti dall’attacco contro i loro compagni, i poliziotti avevano chiuso il confine di Rafah, lasciando bloccati migliaia di palestinesi.
Persino Hamas aveva colto il segnale e si era affettata a proclamare che non c’entrava nulla con il rapimento. Un annuncio ufficiale sull’identità dell’organizzazione responsabile del rapimento deve però ancora essere emesso.
Era stata fatta una richiesta di rilascio dei terroristi incarcerati dopo l’attacco a Taba e Sharm el Sheik nel 2004 e nel Sinai del nord del 2011.
Alcuni erano stati condannati a morte, ma la sentenza non è ancora stata eseguita.
Secondo voci di provenienza salafita uscite sui giornali, dietro al rapimento sembra esserci il gruppo Tawhai wal-Jihad, lo stesso al quale appartavano i terroristi incarcerati. Un gruppo affiliato a al-Qaeda, composto da jihadisti egiziani, salafiti di Gaza e beduini locali che sono pratici del territorio e tradizionalmente ostili al governo centrale. Fa poi parte del gruppo Takfiri, la setta islamica più estremista, che giudica i musulmani contemporanei infedeli, per cui non ha remore ad ucciderli in attesa dell’arrivo di una autentico regime islamico.
La prima organizzazione “Takfir e Hijra” venne fondata in Egitto negli anni ’70 dai Fratelli Musulmani rilasciati dal carcere da Sadat.
Lo sceicco Nabil Naim, uno dei leader della jihad egiziana, ha dichiarato al quotidiano londinese Asharq al-Awsat che I Fratelli Musulmani che governano l’Egitto oggi mantengono stretti legami con le organizzazioni jihadiste nel Sinai e le trattano con i guanti di velluto per due ragioni: Condividono la stessa ideologia e lottano per ricostruire un nuovo Califfato, possono quindi essere utili per combattere l’opposizione interna egiziana.
Questo spiegherebbe perchè il Presidente egiziano Mohammed Morsi ha atteso fino all’ultimo istante a mettere in campo l’esercito per catturare i rapitori con la forza.
I capi dell’esercito considerano il terrorismo nel Sinai una minaccia reale al paese, non dimenticano la strage di 16 soldati da parte dei terroristi jihahdisti dello scorso agosto. Sfortunatamente la vasta operazione lanciata per ripulire l’area non aveva avuto successo. L’esercito aveva concentrato carri armati e fanteria nel Sinai del nord – in violazione agli accordi militari di Camp David- per poi ritirarli, avendo valutato che i carri armati sono poco adatti a inseguire piccole bande di terroristi all’interno di aree montagnose.
Israele accettò di aumentare le proprie forze di terra. Malgrado ciò, un anno dopo, circa 2000 terroristi appartenenti a piccole organizzazioni jihadiste composte da egiziani e palestinesi alleati con beduini locali erano ancora molto attive nel nord Sinai.
Non è facile localizzarli su un territorio così vasto. I terroristi si sentono talmente sicuri da ingaggiare violenti raid contro  stazioni di polizia, blocchi stradali e persino pattuglie dell’esercito, infliggendo significative perdite alle forze di sicurezza.
L’esercito cerca invano di ottenere pieno sostegno dal regime per  eliminarli completamente. Dall’inizio del rapimento, fino al rilascio dei rapiti, Morsi non ha però attaccato nè condannato i rapitori, reclamandone soltanto la liberazione. Soltanto quando la situazione si è fatta disperata, il presidente, riluttante, ha dato il via all’operazione militare.
Solo a quel punto i rapitori hanno accettato di liberare gli ostaggi.
Va detto che la situazione disastrosa nella Penisola è dovuta a anni di abbandono. I beduini locali, senza prospettive economiche e privi di infrastrutture funzionanti, sono stati facile preda delle organizzazioni islamiste che cercavano di stabilirsi nella regione.
Hamas, con l’aiuto dell’Iran, ha attivato una rete di trasporti per far entrare a Gaza armi attraverso il Sudan e il Sinai, scavando tunnel per facilitare l’entrata di jihadisti nella Penisola.
Fu verso il Sinai del nord che molti terroristi islamisti si diressero dopo gli attacchi alle prigioni egiziane a fine gennaio 2011. Quegli attacchi furono organizzati dai miliziani di Hamas e da beduini armati e bene equipaggiati.
La Fratellanza si trova oggi di fronte al problema di come ristabilire l’ordine in Sinai.
In ogni caso, si sente vicina ai terroristi e non vuole aprire un nuovo fronte mentre sta cercando disperantamente di disinnescare la forte opposizione che si sta coalizzando all’interno del paese.
Avrebbe bisogno che la calma ritornasse, per non doversi confrontare con Hamas, che fa parte del movimento globale della Fratellanza Musulmana, e che, soprattutto, aveva collaborato alla caduta di Mubarak ed è un alleato contro Israele.
Per questo il Sinai rappresenta un reale pericolo, in un momento in cui bisogna  impegnare tutte le energie nella disastrosa situazione economica e nel caos politico.
Gli egiziani sono infuriati per quello che sentono come un attacco al loro esercito e alla loro dignità. Non gli va di vedere gran parte del territorio egiziano diventare fuorilegge.
Israele monitora con cura tutti questi sviluppi. Ci sono stati lanci di missili, attacchi ai confini del sud, e naturalmente un preoccupante afflusso di armi verso Gaza e la Penisola.
Il governo egiziano è riluttante dall’ammettere che tutto questo accade, e Israele fa di tutto per non intaccare la sovranità del vicino, per non gettare benzina sul fuoco della crescente ostilità degli egiziani.
Dietro le quinte, vi è però una discreta cooperazione tra gli eserciti di entrambi i paesi. Auguriamoci che continui.
Ci sono voci in Egitto che reclamano una revisione del trattato di pace che prevede alcune limitazioni all’esercito egiziano in Sinai.
Un cambiamento potrebbe però pregiudicare il trattato.
Ciò che I Fratelli Musulmani senbrano non capire è che nel Sinai non c’è bisogno di una accumulo di forze militari, quanto piuttosto un politica integrata di sviluppo e sicurezza a beneficio della popolazione beduina.

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta


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