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Ugo Volli
Cartoline
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La sinistra che non c’è 19/11/2017

La sinistra che non c’è
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

dopo le elezioni siciliane, un mesetto fa, mi sono tenuto da parte un articolo che mi sembrava molto interessante: non per le informazioni che dava (era un editoriale, senza dati nuovi e semmai partiva dal presupposto di una inesistente “disfatta siciliana” del PD, che vi ho mostrato qualche giorno fa essere una delle tante “fake news” diffuse dalla stampa perbene: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=68271. E neppure per le proposte che fa, le solite della grande stampa. Ma per la domanda che si pone e per chi se la pone. Il chi è presto detto, si chiama Ezio Mauro, successore di Scalfari alla direzione di “Repubblica”, per decenni gran sacerdote nostrano del pensiero politically correct e sostenitore senza se e senza ma delle ragioni della sinistra italiana.

La domanda è questa: “che cosa c'è di salvabile nel concetto di sinistra e nella sua traduzione politica e organizzativa italiana”? (http://www.repubblica.it/politica/2017/11/07/news/la_sinistra_che_non_c_e_-180446860/). Non vi farò l’ermeneutica del Mauro-pensiero, che trovo totalmente sbagliato, affetto dalla solita idea di un “populismo che sarebbe misteriosamente arrivato a turbare le magnifiche speranze e progressive dell’Unione Europea de della sinistra italiana, con in più una bizzarra equidistanza fra “le due parti rotte del Pd”, che sarebbero da un lato il partito di Renzi, che abita comunque nel mondo reale, anche se spesso si ubriaca per sciocchezze ideologiche come lo “ius soli” e la galassia confusa e rissosa dei nostalgici del mondo che fu, fra d’Alema e Bonino (per me pari sono) Pisapia e Prodi e compagnia litigante.

Vi faccio assaggiare però un pezzetto della prosa di Mauro, se non altro per farvi misurare la sua disperazione uscita per un attimo fuori controllo: “Questa disarticolazione degli orizzonti avviene mentre la crisi inaridisce di per sé i canali della rappresentanza, soverchia i cittadini facendoli sentire senza tutela e senza garanzie, svalorizza la politica come strumento di controllo e di governo, semina dubbi persino sulla democrazia come cornice di valori e di garanzie, che oggi suonano astratti, senza incidere sulla fatica della vita quotidiana delle persone. È una campana d'allarme per tutto il pensiero liberal-democratico occidentale, che dopo la fine della guerra ha dato vita alle costituzioni e alle istituzioni con cui ci siamo garantiti settant'anni di pace e di libertà. Ma è una campana a morto per la sinistra che nei settant'anni dentro l'ordine liberale del nostro mondo ha potuto farsi forza di governo del sistema, con un progetto di inclusione, e insieme sviluppare un suo pensiero critico e d'alternativa.”

Al di là delle espressioni, il problema c’è ed è serio. La sinistra sta sparendo dappertutto. Sconfitta negli ultimi anni negli Stati Uniti e in Spagna, in Austria e in Francia, in Norvegia e in Olanda, in Israele e in Groenlandia, in Svizzera e in Germania, in India e in Argentina, in Repubblica Ceca e in Polonia, spesso con risultati che ne indicano una prossima sparizione, come i partiti monarchici di un tempo. Divisa fra chi ancora crede nel riformismo e chi si butta verso estremismi così abissali da dar spazio all’antisemitismo (come il Labour di Corbyn in Gran Bretagna, che talvolta viene indicato come l’alternativa della purezza progressista, ma è drammaticamente vicino alle peggiori politiche finite nella spazzatura della storia: http://www.jpost.com/Opinion/OUR-WORLD-The-New-Democratic-Party-505946 e oggi non si può che pensare se non come una malattia degenerativa della sinistra: https://www.amazon.it/Lefts-Jewish-Problem-Jeremy-Anti-Semitism-ebook/dp/B01JQVQJ44/ref=pd_typ_k_ys_3_827197031_24).

Risultati immagini per Yoram Dori
Yoram Dori

La deriva verso l’antisemitismo/antisionismo a sinistra è un rischio diffuso, come testimonia il caso del Guardian (https://blogs.spectator.co.uk/2017/10/the-lefts-sinister-disdain-for-israel-betrays-their-movements-pro-zionist-origins/), ma in Italia non da oggi anche quello di Massimo d’Alema (http://www.huffingtonpost.it/2017/11/10/intervista-a-massimo-dalema-il-governo-riconosca-unilateralmente-la-palestina-e-leuropa-non-sia-piu-subalterna-in-medioriente_a_23273180/). E non sarà un caso se anche in Israele il nuovo capo dei laburisti cioè del partito maggioritario e depositario delle più nobili tradizioni della sinistra, Avi Gabbay, ha suscitato scandalo affermando che “la sinistra [israeliana] ha dimenticato che cosa significa essere ebrei” (http://www.jpost.com/Israel-News/Labor-leader-the-Left-forgot-what-it-means-to-be-Jewish-514178). Fra le varie risposte, in genere assai politiche e di corto respiro, merita di essere letta quella più meditata scritta da Yoram Dori, l’ex stratega politico di Peres, che ha sostenuto che i valori ebraici e quelli della sinistra sono gli stessi (http://www.israelhayom.com/opinions/judaism-and-leftisms-common-values/). Essere di sinistra significa per Dori “porre l’individuo al centro, invece del profitto o l’efficienza” (chissà che cosa penserebbero Marx o Gramsci o la Luxemburg o anche solo Turati di questo “individuo al centro” invece della classe”… che volete, il postmoderno colpisce anche qui). E invece per Dori “essere ebrei significa prima di tutto e soprattutto agire come esseri umani” (anche qui, inutile chiedersi che cosa ne potrebbero pensare Mosè o Rabbi Akivà, la confusione postmoderna non perdona neanche il popolo del Talmud). E dunque le due cose sono uguali.

L’articolo di Dori è interessante per noi perché corrisponde perfettamente al modo di pensare della maggioranza dell’ebraismo americano (http://www.jpost.com/Opinion/Column-One-Israel-and-the-American-Jewish-crisis-505561) e ciò spiega la sua scarsa propensione ad appoggiare Israele. Ma, come quello di Mauro, è un sintomo interessante: non c'è più una specificità della sinistra, un'ideologia o una teoria politica che si qualifichi come sinistra: quel che pretendono è di essere "umani", di "badare all'individuo", insomma di essere buoni. La debolezza teorica coincide con l'intolleranza e l'incomprensione. Perché se loro sono umani, che gli si contrappone dev'essere inumano, se loro sono buoni, gli avversari devono essere per forza cattivi. Poi hanno delle politiche tradizionali: gli piace "accogliere" i clandestini, far crescere la burocrazia, aumentare le tasse, far crescere il controllo statale sull'economia. Ma non sono in grado di spiegare perché. E quando i "cattivi" vincono, proponendo un'altra politica per esempio sull'immigrazione in Europa o sui rapporti coi movimenti palestinisti (cioè filoterroristi) in Israele, non capiscono, restando stupiti e disorientati, anzi si offendono e pronunciano filippiche sulla decadenza dei tempi e dei costumi, sulla stupidità degli elettori, sull'ingratitudine di chi non li segue più. Insomma, un disastro, un vuoto totale. Che raramente è riempito da una destra democratica capace di fare il suo mestiere. Ci fossero in Italia Malagodi o perfino De Gasperi, in Germania Kohl o Adenauer, negli Usa Reagan, il lavoro degli elettori sarebbe più facile.

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