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Ugo Volli
Cartoline
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La trasformazione del giornalismo in tifo calcistico 02/07/2017

La trasformazione del giornalismo in tifo calcistico
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

Chiunque si occupi un po’ di Israele e Medio Oriente è costretto ad ammettere che le notizie false e le analisi tendenziose abbondano, anzi che l’informazione e il suo opposto, la disinformazione, è arma di guerra, In fondo questo sito è nato proprio per questa consapevolezza, per cercare di distinguere il vero da falso nelle cronache giornalistiche dedicate a quest’angolo tormentato del mondo che ci appassiona.
Il risultato che emerge dall’esame quotidiano che dedichiamo – noi e i siti analoghi presenti in altri paesi – è che i falsi giornalistici e le interpretazioni tendenziose non sono casuali ma sistematici, presenti su certi giornali (per esempio quelli di estrema sinistra, quelli del mondo cattolico) in conseguenza all’ideologia della testata, o su certi altri che hanno delegato le cronache del Medio Oriente a “giornalisti” che interpretano il loro ruolo come propagandisti.

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Tutta questa produzione di menzogne ha poi spesso origine in una vera e propria industria di produzione di bufale e di incoraggiamento del terrorismo, che spesso è definita Pallywood, mettendo insieme il luogo mitico della fiction cinematografica (Hollywood) il nome che si sono dati gli arabi della terra di Israele (“palestinesi”) e il nome popolare delle bugie (“palle”).
Bisogna pazientemente smascherare queste bugie storiche, che spesso sono tratte dagli orrori dell’immaginario antisemita medievale: per esempio la “calunnia del sangue”, per cui gli ebrei ucciderebbero i bambini cristiani e musulmani per usarne il sangue nell’impasto del pane azzimo, riusata due volte per dire che l’esercito israeliano ammazzerebbe di preferenza i bambini palestinesi, come se questi costituissero un pericolo militare, e che farebbe commercio degli organi dei nemici uccisi – tutte cose che sono state scritte su “autorevoli” giornali europei oltre che nella propaganda araba.

Ma questo lavoro di paziente restituzione della verità e di denuncia delle falsità propagandistiche arabe (in cui si distingue un sito che segue e traduce tutta la propaganda televisiva musulmana, https://www.memri.org/ , ha senso solo se nell’informazione regna un minimo di onestà intellettuale, un’etica pubblica che prescriva completezza e correttezza dell’informazione.
Questo era il celebrato modello anglosassone di giornalismo, che aveva poco corso reale in un paese fortemente segnato da passioni partitiche come il nostro, ma comunque restava un modello rispettato (“I fatti separati dalle opinioni”, scrisse come slogan del nuovo “Panorama” Lamberto Sechi, anche se lui stesso poi si fece prendere dall’isteria antiberlusconiana e tradì il suo progetto)
I giornali “di informazione” tenevano a distinguersi da quelli “di partito” e a mantenere un minimo di decenza.
Poi venne “Repubblica” e i giornali di informazione cedettero al modello del giornale partito, a destra come a sinistra. Ma soprattutto a sinistra, perché l’educazione e di conseguenza il mondo intellettuale e giornalistico sono stati massicciamente “progressisti” almeno a prtire dal ‘68.

La cosa interessante (e preoccupante) è che questo modello di informazione (o disinformazione) schierata e in larga maggioranza di sinistra non si è solo espansa nel mondo europeo, con “Le Monde”, “The Guardian”, “El Pais” eccetera, ma si è estesa anche nel paese d’origine del giornalismo onesto, cioè gli Stati Uniti, e che questo fatto viene sempre più riconosciuto e talvolta rivendicato.
Vi do un esempio di riconoscimento a malincuore: https://www.algemeiner.com/2017/06/30/its-all-fake-news/ . In questo articolo si sostiene che la caduta etica del giornalismo è dovuta a motivi strutturali ed economici, cioè al fatto che i lettori cercano e ottengono notizie su Internet, senza che da questo nuovo canale sia uscito un modello di business funzionale per il giornalismo, con la conseguenza di un impoverimento generale del settore, che ha reso più difficile fare le verifiche e le revisioni necessarie, lasciando così passare in pagina “fake news” che spesso sono solo riprese da altre fonti di Internet e non controllate sul terreno.

L’effetto sarebbe piuttosto di viralità che di tendenziosità. Purtroppo non è così. Se leggete questa opinione, pubblicata da “Politico”, il più noto sito dedicato alla politica interna della mediasfera statunitense e scritto da un prestigioso professore dei giornalismo della New York University (http://www.politico.com/magazine/story/2017/06/26/goodbye-nonpartisan-journalism-and-good-riddance-215305 ), trovate un’apologia della trasformazione partigiana (in senso naturalmente anti-trumpiano) della stampa americana, New York Times in testa. L’idea è che il giornalismo equilibrato fosse solo una parentesi bipartisan durata mezzo secolo o poco più, che l’autentica tradizione americana sia stata quella del giornalismo schierato, e che alla democrazia i giornali-partito non facciano affatto male.

La verità o l’obiettività o anche semplicemente la cautela, sarebbero fuori moda e andrebbe quindi benissimo l’assalto praticamente unanime contro Trump, com’era praticamente unanime l’appoggio alle politiche di Obama, a dimostrazione del fatto che non si tratta della vocazione all’opposizione del “quarto potere”, ma di schieramento politico a sinistra. Che poi questa stampa stia andando a tutta velocità verso il fallimento economico, che non sia in sintonia con gli umori del paese, anzi che sia così ideologica da non riuscire neppure a vederli, a Mitchell Stephens, autore di questo articolo e ai direttori delle “maggiori” testate, sembra non importare nulla.
Come tifosi di calcio, pensano che la loro squadra meriti sempre di vincere e che se l’arbitro (cioè l’elettorato) non fischia il rigore per la loro squadra, vuol dire che è cornuto. Loro perderanno, è chiaro, perché la loro squadra (la sinistra) ha la vocaziano al suicidio nazionale e gli elettori no. Ma chi ci perde di più in questa trasformazione del giornalismo di qualità in tifo calcistico e nostalgia del come eravamo quando comandavamo noi è soprattutto la democrazia.

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