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Ugo Volli
Cartoline
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'Se io non sono per me, chi è per me?' 09/05/2017
'Se io non sono per me, chi è per me?'
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: Benjamin Netanyahu

Cari amici,

i soliti soloni, che pensano di risolvere tutte le dispute con l’invocazione della pace e l’acquiescenza garantita alle richieste di chi ci vuol distruggere (chiamano trattative questo esercizio del calar le brache), detestano tutto di Netanyahu, ma soprattutto si sentono superiori alla sua “evidente incompetenza diplomatica” resa evidente dal fatto che qualche volta (non sempre) Bibi dice le cose come stanno e risponde agli sgarbi di amici infedeli protestando e reagendo, invece di prosternarsi umilmente. Per loro era “isterica” la reazione dura alla mozione del consiglio di sicurezza dell’Onu, regalino finale dell’amministrazione Obama, con l’annullamento della visita del premier ucraino, il blocco delle relazioni con la nuova Zelanda ecc.; “folle” il tentativo di ammonire il popolo americano sui pericoli della resa obamiana all’Iran, compiuto accettando l’invito a parlare che gli arrivava del Congresso, cioè del Parlamento USA che in una democrazia dovrebbe essere la sede della sovranità popolare, “scortesi” gli attacchi alla propaganda terrorista dei caporioni palestinisti, “masochista” il rifiuto di ricevere il ministro degli esteri tedesco Gabriel dopo che era andato a incontrare le Ong finanziate dall’Europa che cercano di destabilizzare l’esercito israeliano e di diffamare Israele nel mondo.

Bisogna dire che Netanyahu ha dalla sua una grande capacità comunicativa, un’oratoria che forse è la migliore al mondo oggi, il coraggio della chiarezza e una profonda convinzione morale sul ruolo di Israele. Vi invito per esempio, se solo sapete un po’ di inglese, a guardare con attenzione questo suo video che spiega come il nuovo “documento politico” di Hamas sia una truffa che non vale la carta su cui è scritto: https://www.youtube.com/watch?v=kaWmk_B63YA.

Ma la prova della politica sono i risultati. Partiamo dall’ultimo caso, quello tedesco. E’ stato in visita in Israele nei giorni scorsi il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, che ha un potere soprattutto cerimoniale e di prestigio come il suo omologo italiano, ma è compagno di partito e predecessore di Gabriel come ministro degli esteri. Non ha incontrato le Ong, ha visitato Netanyahu, ha promesso di sostenere Israele (http://www.dw.com/en/before-netanyahu-talks-steinmeier-vows-to-back-israel/a-38739080), ha esaltato le buone relazioni fra Germania e Israele (http://www.israelhayom.com/site/newsletter_article.php?id=42251). Qualche giorno prima la Germania, anche grazie alla buona posizione italiana, si era allineata al gruppo dei contrari all’obbrobriosa mozione che negava il diritto di Israele a Geusalemme, anche se proprio Gabriel l’aveva accuratamente limata con la diplomazia araba per renderla accettabile all’Europa. Forse protestare contro la prepotenza serve, specialmente se è esercitata da un ultrasinistro come Gabriel.

Se guardiamo agli altri due casi, oggi è chiarissimo che su Obama e l’Iran Netanyahu aveva ragione e ha fatto un favore non solo a Israele ma anche all’America contestando quasi da solo quell’accordo (http://www.thegatewaypundit.com/2017/05/republicans-launch-sweeping-investigation-whether-obama-undermined-us-national-security-finalize-iran-deal/). E la reazione dura alla delibera dell’Onu ha pagato: l’Ucraina ha rovesciato la sua posizione votando per Israele all’Unesco, altri paesi fra cui l’Italia hanno modificato la loro, la Nuova Zelanda, che era stata fra le promotrici di quella delibera, ha cambiato ministro degli esteri e la prima azione del nuovo è stata di chiedere il ristabilimento dei rapporti diplomatici con Israele. Aggiungete che molti paesi asiatici e africani (uno per tutti, l’India), cercano oggi un nuovo rapporto con Israele e sono disposti a superare le vecchie posizioni terzomondiste, apprezzando la tecnologia israeliana, ma anche la nuova politica assertiva di Netanyahu. E questo consente allo stato ebraico di non essere più totalmente dipendente dai vecchi “amici” europei e dall’America.

Insomma, la diplomazia non consiste necessariamente nel piegarsi umilmente alle prepotenze degli altri, secondo lo stereotipo antico dell’ebreo oppresso. Funziona meglio dire le proprie ragioni, pretendere dagli amici che si comportino come tali, non accettare passivamente l’ingiustizia, insomma rivendicare la propria identità e i propri diritti, con chiarezza e razionalità, ma anche con tutta l’energia necessaria. Perché, come dice un celebre aforisma delle “Massime dei padri” nella Mishnà: “se io non sono per me, chi è per me”?

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